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INTOCCABILI

 

di Lodato e Travaglio

ROMA - 15/06/2005 da: http://www.prom.it/rainews/rubrica/libri/incontro.asp?id_info=4854

La mafia non si fa più sentire, di mafia non si parla più. Ma intanto agisce, oggi più indisturbata che mai. Il nuovo libro di Marco Travaglio e Saverio Lodato colma un vuoto di (dis)informazione e raccoglie centinaia di documenti che ripercorrono la cronaca italiana di Cosa Nostra. Un libro che racconta qual è lo stato attuale, sia della mafia che della lotta alla mafia.Con particolare attenzione agli intrecci tra mafia e classe politica. Abbiamo intervistato gli autori.

L'intervista di Anna Maria Esposito

Nel 1963 la Rai mandò in onda il primo reportage sulla mafia. Si intitolava 'Rapporto da Corleone'. Lo relizzarono Gianni Bisiach e Orazio Barrese per il rotocalco televisivo all'epoca diretto da Enzo Biagi. Oggi dopo oltre quarant'anni, non solo Enzo Biagi non è più nel servizio pubblico - e non per raggiunti limiti d'età - ma soprattutto, l'informazione televisiva di mafia non parla più. Il pubblico radiotelevisivo non può più fruire di programmi d'inchiesta e di approfondimento per comprendere gli sviluppi del fenomeno mafioso.

Diamo il benvenuto a Saverio Lodato, inviato dell'Unità, esperto da sempre di questioni di mafia su cui ha scritto numerosi libri, e Marco Travaglio, anch'egli autore di molti libri, esperto di cronaca giudiziaria di cui scrive su Repubblica, L'Unità e Micromega. Con voi parliamo del libro che avete scritto a quattro mani e che s'intitola Intoccabili. Intanto per chi ci ascolta chiariamo subito: chi sono gli intoccabili di cui parlate, Travaglio?
M. Travaglio: Gli intoccabili di cui parliamo sono coloro che in realtà sono stati toccati, in questi anni, che hanno dimostrato di essere intoccabili perché anche quando la magistratura, durante gli anni della procura di Palermo diretta da Giancarlo Caselli, ha avuto il coraggio di portarli a giudizio - come avrebbe portato a giudizio un cittadino raggiunto dagli stessi sospetti e dalle stesse prove - sono poi riusciti a farla franca non tanto giudiziariamente quanto mediaticamente. Si sono travestiti da innocenti e addirittura da assolti, eppure gran parte di loro - parlo di Dell'Utri, parlo di Mannino - hanno avuto condanne di primo grado, secondo grado. Andreotti è il caso più clamoroso: tutti pensano che sia stato assolto, mentre in realtà è stato ritenuto colpevole di associazione per delinquere con la mafia fino alla primavera del 1980, reato commesso ma prescritto. Questa è una sentenza definitiva della suprema Corte di Cassazione.

Quella stagione, anzichè alimentare speranze e alimentare altri tipi di processi su rapporti alti della mafia, ha alimentato sfiducia proprio perché è stata raccontata la favola delle assoluzioni, dell' impossibilità di raggiungere questi livelli. Col risultato che oggi di mafia non si parla più, se non folcloristicamente - la badante di Provenzano, cose di questo genere - e quei processi non si fanno più, tant'è che da sei anni la Procura di Palermo ha completamente abbandonato il filone delle collusioni mafia-politica, mafia-magistratura, mafia-forze dell'ordine, mafia-colletti bianchi, mafia-banche, mafia-finanza... e quindi tutti i protettori della mafia vivono indisturbati. Ogni tanto si fa una retata, ma non è quello il problema.

La mafia, aveva detto Giovanni Falcone, come tutte le cose umane è nata, ha avuto uno svolgimento e avrà una fine. Lodato, non solo la mafia non si è esaurita, ma è come se ci fosse stato un clamoroso balzo all'indietro nella lotta alla mafia. Ha vinto la strategia cosiddetta dell'inabissamento?
S. Lodato: Ha vinto la strategia dell'inabissamento. Noi in questo libro Intoccabili vogliamo raccontare qual è lo stato attuale, sia della mafia che della lotta alla mafia. Noi oggi dobbiamo prendere atto, con una certa drammaticità, che lo Stato non è in condizione di fare la lotta alla mafia; non la vuole fare, e la può fare soltanto quando si tratta di portare alla sbarra i rappresentanti della faccia criminale, militare dell'organizzazione. Nel momento in cui si parla di complicità con la politica e con le istituzioni, lo Stato arretra. Lo Stato è uno Stato, quello nostro, che nel momento in cui la mafia non spara più, non commette più stragi, non commette più grandi delitti, scende a patti con la mafia. Questa è una stagione in cui noi stiamo convivendo con la mafia. Il nostro libro si intitola Intoccabili, ma l'altra faccia degli intoccabili sono gli introvabili. Non è un caso - Travaglio prima faceva riferimento a questa telenovela che ormai si è scatenata sui presunti fiancheggiatori di Bernardo Provenzano. Dobbiamo ricordare che nel 1963 inizia la latitanza di Bernardo Provenzano. E' una latitanza che dura da 42 anni. Nel 1963 viene istituita in Italia la prima Commissione antimafia. Oggi siamo all'ottava Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno mafioso. Io credo che, se noi vogliamo fotografare - come cerchiamo di fare in questo libro - lo stato di salute della mafia e lo stato di salute della lotta alla mafia, dobbiamo semplicemente partire da questo data comune, il 1963: da una parte un capo di Cosa Nostra imprendibile e introvabile, dall'altra parte un Paese che convive talmente col fenomeno da studiarlo ininterrottamente ormai da quarant'anni. Senza dovere poi tornare indietro nella notte dei tempi, perché purtroppo tutti sappiamo che il fenomeno mafioso non data dal 1963. Ma io mi chiedo in quale Paese al mondo esiste una commissione d'inchiesta su un fenomeno che viene rinnovata per quarant'anni di seguito? Delle due l'una: o queste Commissioni parlamentari d'inchiesta, diciamo la verità, hanno ormai fatto il loro tempo - questo è anche un problema serio - oppure si studia quello che non si vuol combattere, si cerca di approfondire quello che non si vuole debellare. Quindi credo di rispondere in questo mondo alla domanda che lei mi faceva, sul perché ancora oggi siamo qui, a tanti anni di distanza, a riparlare delle stesse cose. Lo Stato convive con una mafia che non spara. Lo Stato reagisce in qualche modo quando la sfida mafiosa supera certi livelli. Siccome negli ultimi anni - dopo le stragi di Capaci, di via d'Amelio, le uccisioni dei giudici Falcone, Borsellino, e di tanti magistrati che sono stati assassinati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, uomini politici - la mafia ha finalmente capito che forse il delitto in grande stile da questo punto di vista non paga, noi oggi abbiamo una mafia che si è inabissata...

Possiamo dire dunque che la strategia dell'inabissamento avviata negli ultimi anni dalla Cupola non solo ha reso confusi e vischiosi i confini tra legalità e illegalità, tra Stato e anti-Stato, ma ha trascinato con sè anche l'inabissamento dell'informazione e della coscienza civile? M. Travaglio: Assolutamente sì, nel senso che per ottenere i vantaggi che le consentono di vivere e ingrassare in silenzio, nel silenzio delle armi, la mafia ha dovuto trattare con le istituzioni. Ci sono state trattative con altissimi ufficiali dei carabinieri, con personaggi importanti della finanza e della politica, ci sono stati addirittura dei mandanti esterni rispetto alla mafia per le stragi del '92 e del '93. Questo ce lo dicono chiaramente le sentenze. C'è stato dunque un lavoro da un lato di strage dall'altro di trattativa che poi ha consentito la pace delle armi e la convivenza reciproca. La mafia convive con lo Stato, lo Stato convive con la mafia. Da questo punto di vista l'informazione purtroppo svolge il ruolo dell'ultimo rimorchio: anziché trainare, anziché suscitare l'interesse, anziché andare ad aggredire questo fenomeno proprio nel momento in cui è più forte - perché paradossalmente la mafia tanto è più forte quanto non spara: spara quando è debole, quando è in difficoltà - semplicemente l'informazione è diventata una specie di protesi della politica.

Nell'introduzione al vostro libro-denuncia, l'economista Paolo Sylos Labini ricorda le dimissioni che presentò nel '74 da membro della commissione tecnico-scientifica del ministero del Bilancio allora presieduto da Giulio Andreotti, perché aveva nominato Salvo Lima sottosegretario. Come è possibile oggi individuare un comportamento mafioso, tra virgolette, e secondo voi quel gesto definito eroico avrebbe lo stesso effetto di allora, contribuirebbe a risvegliare l'opinione pubblica?
S. Lodato: Io credo che Sylos Labini stesso, quando racconta questo episodio che lo vide protagonista nel '74, si dica meravigliato dal fatto che un comportamento che doveva essere di ordinaria forma di testimonianza, di presa di distanza da un fatto grave che stava avvenendo, venne preso invece come un atto di eroismo. Il problema è proprio questo: che il silenzio dell'informazione sull'argomento mafia, il silenzio della politica, ha creato le condizioni per cui oggi chi vuole confrontarsi con questo fenomeno in maniera determinante, in maniera coerente, assume inevitabilmente le vesti dell'eroe, l'eroe solitario. Noi dicevamo prima, lo Stato, in realtà, la lotta alla mafia non l'ha mai fatta in questi cinquant'anni, e forse può sembrare un'affermazione dura. Io non credo che sia un'affermazione dura, dico che tutti coloro che la lotta alla mafia l'hanno fatta in Sicilia - fatto che non va mai dimenticato perché troppo spesso si dimentica che il più alto tributo di sangue a questa lotta l'hanno pagato dei siciliani - siano stati tutti dei signori che facevano questa battaglia in maniera isolata: dei volontari isolati, degli eroi sobri, che non avevano dietro le spalle lo Stato, che non avevano dietro le spalle i loro corpi di appartenenza, il poliziotto non aveva dietro tutta la polizia, i carabinieri non avevano dietro tutti i carabinieri. Pensiamo anche, per esempio, a Piersanti Mattarella, democristiano, o a Pio la Torre, segretario regionale del Partito comunista in quegli anni in Sicilia: non avevano dietro le spalle tutti i loro partiti. Quindi sono state sempre delle battaglie isolate. Oggi siamo in una situazione in cui questo silenzio dell'informazione genera dei mostri, e i mostri sono appunto gli intoccabili e gli introvabili.

Un intero capitolo di Intoccabili è intitolato 'Cent'anni di solitudini', dedicato agli uomini e alle donne che hanno portato avanti la lotta alla mafia pagando spesso con la vita la loro missione. Uno dei grandi misteri che hanno segnato gli ultimi anni dell'antimafia è stata la mancata perquisizione del covo di Totò Riina. Sotto processo l'allora capo dei Ros e attuale capo del Sisde, generale Mori. Ma al processo si è arrivati solo per volontà del Gup, che ha respinto una richiesta di archiviazione. La verità giudiziaria sembra però lontana. C'è secondo voi una inconfessabile verità politica che non verrà mai alla luce?
S Lodato: Penso di sì. Io credo che di questa vicenda sia stata più importante l'indagine che non il dibattimento. Il dibattimento è chiamato a giudicare se dei fatti sono reato oppure no. Ma i fatti sono già stati accertati dalle indagini, sono proprio chiarissimi, tutti i protagonisti li ammettono, e sono molto semplici: alle 8 e mezza del mattino del 15 gennaio '93 Toto Riina viene arrestato. Secondo alcuni consegnato, secondo altri vittima di un mirabolante blitz dei Ros dei carabinieri. Viene preso. Alle 4 e mezza del pomeriggio i Ros staccano ogni strumento di osservazione, di vigilanza davanti alla casa dove questo signore aveva trascorso l'ultima parte di latitanza, e se ne vanno, lasciandolo incustodito, non perquisendolo. Chi lo perquisisce? Lo perquisisce Cosa Nostra, che porta via tutto. Comprese le carte che molti collaboratori di Riina dicono che Riina teneva nelle casseforti nelle varie case dove egli abitava nella sua latitanza. Che cosa c'era in quelle carte? E' là la chiave per capire perché non hanno perquisito il covo. Quali nomi c'erano nelle carte di Riina, di quali trattative Riina aveva tenuto la documentazione? Forse la trattativa con gli stessi carabinieri, forse trattative con politici della prima e della seconda Repubblica. Chi ha in mano quelle carte? Chi ricatta chi? Ecco, queste sono le domande che ci facciamo. Ma sul solo fatto che la mafia ha perquisito il covo che i carabinieri non hanno perquisito, su questo non c'è dubbio. Allora, questi sono fatti, noi non facciamo i poliziotti o i magistrati, non è che ci interessa sapere se è pure reato. Ci interessa sapere, come mai chi non ha perquisito il covo di Riina invece di essere degradato è stato promosso generale e capo del Sisde?

                

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