Una
risorsa di nome Canapa di Willy Pasini
http://www.usidellacanapa.it/medicina/sballo.html Sballo Sicuro
Le accuse del governo USA e i dati della ricerca scientifica
PRIMA ACCUSA: "Nei forti consumatori di canapa
indiana alcune abilità decisive per l'attenzione, la memoria e
l'apprendimento risultano compromesse..."
Molte persone sono convinte che i consumatori di
canapa indiana siano dei sognatori con il livello di attenzione di
un moscerino e una memoria non degna di questo nome. Errore.
L'immagine che emerge dai laboratori di psicologia è che vi potrebbe
essere tutt'al più un nocciolo di verità in questo stereotipo; anzi
alcuni studi non hanno riscontrato alcun indizio di danni mentali,
neppure lievi, nei consumatori accaniti.
Perfino gli studi che ne trovano, si prestano a varie
interpretazioni, non necessariamente preoccupanti per i consumatori
di marijuana.
Prendiamo ad esempio le ultime scoperte su cui si basa l'accusa in
oggetto. Harrison Pope e la sua équipe alla Harvard University hanno
controllato 65 studenti del college che fumavano marijuana tutti i
giorni con un gruppo di controllo che fumava al massimo ogni paio di
mesi: dopo un giorno senza droga i soggetti hanno fatto una serie di
test sulle facoltà mentali.
Nella maggior parte dei test le differenze tra i due gruppi erano
lievissime; per esempio, in un test che consisteva nel ricordare
liste di parole, i consumatori abituali di canapa indiana
ricordavano meno parole del gruppo di controllo nel rapporto di una
a dieci.
In uno dei testi fumatori accaniti hanno avuto risultati
notevolmente peggiori. Il test consisteva nell'osservare e imitare
le semplici regole impiegate da uno sperimentatore per assodare
carte con diverse forme colorate, adattandosi ogni qual volta la
regola cambiava. I consumatori occasionali sbagliavano, attenendosi
alla regola vecchia, solo in circa li 5% dei casi, mentre i fumatori
accaniti sbagliavano nell'8% dei casi. Pope prende molto sul serio
questo fatto: "Nel mondo reale succede continuamente che la gente si
trova dover affrontare situazioni in cui le regole cambiano.
D'accordo. Ma le accuse mosse alla canapa indiana negli anni
successivi sono state assai più pesanti: i consumatori abituali di
marijuana e hashish rendono peggio sul lavoro o a scuola, sono
portati a delinquere o a sviluppare problemi psichiatrici, ovvero
presentano onde cerebrali anomale. Eppure a tutti questi studi è
possibile ribattere con la stessa obiezione: i problemi sono causati
dalla marijuana, o semmai è più probabile che proprio chi ha già dei
problemi si metta a fumare marijuana?
Nel caso della delinquenza, della schizofrenia e delle malattie
mentali in genere l'ago della bilancia pende verso la seconda
spiegazione. La marijuana può peggiorare i problemi, ma non li
provoca. Alcuni schizofrenici, per esempio, sono attratti dalla
droga perché allevia il loro senso di alienazione; e la maggior
parte dei ricercatori ora accetta che le prove che legano la
marijuana a onde cerebrali anomale perdono ogni valore quando si
escludono dagli esperimenti persone con problemi psichiatrici,
malattie serie o una storia di generale tossicodipendenza.
Ma che dire dei problemi più complessi e di difficile soluzione,
come quello rilevato nel test dell'associazione delle carte? Dopo
tutto, potrebbe anche essere che gli studenti più
intelligenti fumino solo ogni tanto, mentre gli altri
diventino consumatori abituali, nel qual caso i risultati del test
potrebbero avere ben poco a che fare con il consumo di cannabis.
A questo proposito vi sono due opinioni contrastanti. Pope crede,
nel suo stesso studio, che la canapa indiana abbia un ruolo
determinante perché la sua équipe ha tenuto in considerazione
fattori ovvi come le differenze nel quoziente di intelligenza,
l'anamnesi psichiatrica e l'uso di altre droghe. Altri studiosi
invece non sono convinti. Quello che preoccupa alcuni critici è che
in questo esperimento, cosi come in altri, le donne consumatrici di
droga hanno ottenuto risultati di gran lunga migliori degli uomini
nella maggior parte dei test.
Maschi devianti
"Non vedo alcuna ragione per cui dovrebbe esservi una differenza
legata al sesso nelle risposte cognitive alla canapa indiana", dice
John Morgan, farmacologo presso il Collegio di medicina
dell'Università di New York e coautore di un nuovo libro controverso
che sostiene la depenalizzazione, Marijuana myths, marijuana facts
("Marijuana: miti e dati"). Morgan crede che il motivo per cui i
maschi hanno ottenuto risultati inferiori alle femmine è che sono
essi "devianti" in maniera impercettibile, che sfugge all'attenzione
del ricercatore. Ma se anche le scarse prestazioni conseguite nei
test fossero effettivamente da porre in relazione alla canapa
indiana? Certo questo non vorrebbe dire automaticamente che il forte
consumo di "erba" provoca danni cerebrali a lungo termine. Una
possibilità è che i forti consumatori, privati per un giorno della
loro droga preferita, soffrano di sintomi da astinenza, o diventino
così malcontenti e distratti da rendere male nei test. Un'altra
possibilità è che un solo giorno senza droga non sia sufficiente a
dissipare gli effetti dell'ultima "canna". I nuovi esperimenti dell'équipe
di Harvard, in cui i consumatori di marijuana sono sottoposti ai
test durante un periodo di astinenza durato 28 giorni, dovrebbero
dare risposte adeguate. Altre ricerche suggeriscono che sarà
difficile trovare prove di un drammatico calo delle facoltà mentali,
perfino come conseguenza di un forte consumo a lungo termine. Negli
ultimi 25 anni, Jack Fletcher e i suoi colleghi dell'Università del
Texas, a Houston, sono stati più volte in Costarica per esaminare le
facoltà mentali di forti consumatori di canapa indiana. Alcuni di
questi hanno fumato 10 spinelli al giorno per più di trent'anni, e
nonostante questo la loro capacità di imparare e ricordare liste di
parole è risultata solo leggermente danneggiata. E anche quando
hanno dovuto affrontare prove più ardue, come ricordare informazioni
e contemporaneamente battere un tasto Morse del telegrafo il più
velocemente possibile, i loro risultati sono stati pienamente nella
norma.
"Gli effetti sono elusivi e al di sotto della soglia clinica", dice
Brian Page, un antropologo dell'Università di Miami (Florida USA),
che ha contribuito a questo studio, "ma potrebbero risultare
rilevanti per un soggetto che ambisce a diventare un avvocato o un
operatore di arbitraggio a Wall Street". E aggiunge: "Chi vende
biciclette farebbe meglio a non guidarle quando è sotto gli
influssi". Come minimo, il buon senso ci dice che non dovrebbe. Il
verdetto della ricerca sull'impatto della marijuana sulla sicurezza
stradale è più oscuro. In Gran Bretagna, tra gli automobilisti
coinvolti in incidenti seri, circa uno su 10 risulta positivo al
test per la canapa indiana; studi effettuati in aree urbane degli
USA riportano percentuali che arrivano al 37%. Comunque, molti di
questi guidatori risultano positivi anche al test per l'alcol, e
perfino nei casi che in cui è accertata solamente la canapa non
sarebbe corretto parlare di "guida in condizione di alterazione
fisica e psichica correlata a sostanze stupefacenti", proprio perché
questa droga rimane per lungo tempo nel corpo.
La marijuana in effetti limita la destrezza e le facoltà visive
nella simulazione di guida; ma esperimenti di guida su strada
mostrano che perfino alte dosi di marijuana hanno un effetto minore
dell'alcol forse anche perché di solito fumare non rende spericolati
come bere. In uno degli esperimenti effettuati, è stato osservato
che la canapa indiana, assunta a basse dosi, rendeva i guidatori più
cauti. A grandi linee, lo stesso dovrebbe risultare vero anche
per i più lievi effetti che può avere, a lungo
termine, l'"erba" sul cervello. Ricercatori come Pope e Morgan
possono guardare i dati in modo molto diverso, ma sono d'accordo su
una cosa: per i neuroni le sbronze forti sono ben peggio dell'erba.
SECONDA ACCUSA: "Negli USA più di 120.000 persone si
sottopongono ogni anno a cure mediche a causa della loro dipendenza
da canapa indiana..."
Dopo anni di declino, l'uso di derivati della canapa
indiana fra gli adolescenti è in rapido aumento in quasi tutti i
paesi industrializzati. Dunque è in arrivo una generazione di
tossicodipendenti da canapa indiana?
Il borghese medio che si concede uno o due spinelli alla settimana
può trovare ridicola quest'idea; ma ai medici che hanno in cura la
minoranza di consumatori ormai incapaci di controllarsi, la
questione appare ben più seria. All'atto pratico, si tratta di
valutare anzitutto quali siano le proporzioni di questa minoranza, e
poi di capire se la depenalizzazione (o addirittura la
liberalizzazione) potrebbe farla lievitare. L'esperienza dei Paesi
Bassi suggerisce che la risposta al secondo quesito è "No". Al primo
interrogativo è invece ben più difficile rispondere. Il dato delle
120.000 persone in cura per uso di Cannabis, fornito dall'Istituto
nazionale statunitense contro l'abuso di droghe (National Institute
on Drug Abuse, NIDA) non può essere preso sul serio.
Esso include infatti gente arrestata per crimini legati alla canapa
indiana, a cui la cura medica viene offerta come alternativa al
processo penale, cosi come lavoratori che vengono sorteggiati per un
test casuale delle urine, risultano positivi alla canapa e optano
per la riabilitazione al fine di evitare il licenziamento. Questi
numeri non ci dicono nulla sul numero di persone che si trovano
effettivamente in una condizione di dipendenza. Alla Columbia
University di New York Denise Kandel, una specialista in
epidemiologia della dipendenza, ha imboccato un'altra strada.
Analizzando i dati raccolti ogni anno durante l'United States
national household survey on drug abuse (l'indagine nazionale sul
consumo di droga) è giunta alla conclusione che sintomi
impercettibili di assuefazione sono assai più diffusi tra gli
adolescenti di quanto si pensasse in precedenza.
Statistiche inattese
Circa il 15% degli adolescenti che fumano marijuana riferiscono di
avere tre o più "sintomi" di dipendenza compresi in una lista di sei
possibili sintomi. I sintomi vanno dal "sentirsi dipendente" o non
essere capaci di diminuire il consumo fino all'usare quantità sempre
maggiori di canapa per raggiungere lo stesso effetto. Applicando
questo stessi criteri all'alcol, risulta che la marijuana negli
adulti dà dipendenza quanto l'alcol, e perfino di più negli
adolescenti. Questo sconvolge i consumatori di marijuana, ma non
Kandel la quale ritiene che i ragazzi siano insolitamente
"sensibili" alla marijuana per ragioni biologiche nonché sociali.
Per come la vede lei, il motivo per cui abbiamo così tanti alcolisti
è semplicemente il fatto che ci siano tante persone che bevono.
Il problema con questo tipo di ricerca è che tutto dipende da cosa
si intende per "dipendenza". Un tossicodipendente solitamente viene
considerato come una persona soggetta sia a crisi di astinenza che a
danni alla salute a lungo termine. Ma i criteri di autovalutazione
di Kandel sono basati su una definizione più ampia. Se li
applicassimo al caffè, molti di noi si qualificherebbero
"dipendenti". Allo stesso modo molte persone descriverebbero se
stessi come "dipendenti" dalla televisione, o dal cioccolato, o dal
fare le compere. Un'analisi di Kandel suggerisce che i giovani
fumatori di marijuana mostrano sintomi di dipendenza con maggiore
facilità dei loro coetanei che bevono birra, ma non ci dice quale
delle due sostanze sia più pericolosa nel creare dipendenza.
Quello che è chiaro è che, superati i vent'anni,
questa dipendenza risulta assai meno frequente; e tra le persone che
ancora fumano droga dopo i cinquant'anni, meno di uno su 30 risulta
dipendente secondo i criteri di Kandel. Le percentuali di dipendenza
dalla nicotina seguono un andamento opposto.
Questo ci porta alla statistica forse più significativa sul potere
di creare dipendenza della canapa indiana: più del 90% delle persone
che l'hanno provata hanno già smesso da tempo. Mentre la maggioranza
dei bevitori e dei fumatori continua a bere e a fumare sigarette ben
oltre il primo rigoglio della giovinezza, molte persone mollano lo
spinello dopo i trent'anni.
TERZA ACCUSA: "Fumare marijuana può provocare
disfunzioni del tessuto polmonare..."
Il partito anticannabis asserisce che fumare un paio
di spinelli è dannoso per i polmoni quanto fumare un intero
pacchetto di sigarette. I loro oppositori dicono che fumare
marijuana non ha mai causato la morte di nessuno per cancro ai
polmoni. Ma allora, fumare marijuana è più o meno dannoso che fumare
tabacco?
A simili quesiti cerca di trovare una risposta Donald Tashkin, uno
specialista dei polmoni dell'Università della California, a Los
Angeles. Negli ultimi 15 anni l'équipe di Tashkin ha tenuto sotto
stretto controllo il sistema respiratorio di 130 consumatori
abituali di 'marijuana, confrontandoli con gruppi di persone che
fumano solo tabacco, tabacco e marijuana, o niente del tutto. E' il
più importante studio di questo tipo mai eseguito al mondo, e i
risultati fino ad adesso suggeriscono che sotto certi aspetti, la
marijuana è in effetti più pericolosa delle sigarette. Ma in un
punto, molto importante, lo spinello può essere preferibile,
specialmente per gli atleti.
Anzitutto le cattive notizie. Mentre i fumatori di sigarette
coinvolti in questo esperimento ne consumavano 20 o più al giorno, i
fumatori di marijuana raramente andavano oltre tre o quattro "canne"
quotidiane; e nonostante questo, gli uni tossivano e sibilavano
quanto gli altri. In entrambi i gruppi, circa uno su cinque si
lamentava di espettorare muco e soffriva di attacchi di bronchite.
Persino al momento del controllo dei danni cellulari ai polmoni, tra
i due gruppi era difficile scegliere. In entrambi i casi si
trovarono troppe cellule mucipare (o caliciformi) lungo le vie
respiratorie e troppo poche cellule ciliate, e si riscontrarono
anomalie nei nuclei cellulari e, nei geni, mutazioni già note per il
loro ruolo nello sviluppo iniziale del cancro. La vicinanza dei
risultati può sembrare sconcertante, dato che i fumatori di
marijuana consumavano molto meno materiale. Ma ci sono delle buone
ragioni, spiega Tashkin. La prima e che gli spinelli apportano ai
polmoni circa il triplo di catrame delle sigarette perché sono meno
pressati e sono privi di filtro. La seconda è che i fumatori di
marijuana inalano più profondamente e trattengono il respiro più a
lungo. "Siamo riusciti a quantificare questi effetti e abbiamo visto
che il tempo di inalazione era di circa quattro volte superiore",
dice Tashkin. "Questo dà luogo a un deposito di catrame maggiore di
circa il 40%". L'ultima considerazione di Tashkin (che alcuni
ricercatori contestano) è che il fumo di marijuana è più ricco di
benzopirene e di altri composti aromatici policiclici che scatenano
la mutazione cancerosa nelle cellule. Allora fumare marijuana fa
venire il cancro, dopo tutto? Forse. Nonostante il quadro poco
ridente della biologia cellulare, gli epidemiologi finora non sono
riusciti a trovare un chiaro legame tra la marijuana" e l'insorgere
di serie affezioni polmonari. Questo può essere perché il legame non
c'è, oppure può essere perché l'epidemia di marijuana" (come la
chiama Tashkin) è ancora giovane, e la gente che ha cominciato a
fumare negli anni Sessanta non ha ancora raggiunto l'età in cui il
cancro si presenta più frequentemente.
Nel frattempo alcuni ricercatori si preoccupano di un altro aspetto
del fumo di marijuana: la
sua capacità di interferire con le cellule del
sistema immunitario che combattono le infezioni polmonari. L'équipe
di Tashkin ha appena scoperto che le cellule isolate dai polmoni di
consumatori di marijuana sono insolitamente inefficaci nell'uccidere
i batteri, il 35% in meno di analoghe cellule appartenenti a
fumatori di sigarette. Le cellule esposte alla marijuana sono
risultate anche al di sotto della norma nel produrre molecole adatte
a scatenare reazioni infiammatorie. In normali fumatori di
marijuana, gli effetti possono risultare troppo lievi perché la
differenza sia percepibile, ma Tashkin teme che non si possa dire lo
stesso dei malati di AIDS, molti dei quali usano la canapa indiana
per stimolare l'appetito.
La fortuna degli atleti
Buone notizie, invece, per giocatori di football e di cricket: la
marijuana non blocca le vie respiratorie e non porta all'enfisema.
Nonostante tutte le mutazioni cellulari osservate dall'équipe di
Tashkin, i ricercatori hanno scoperto che il forte consumo di
marijuana non produce alcun effetto misurabile sulla funzionalità
polmonare. In effetti, nei soggetti esaminati, il consumo di tre
spinelli al giorno non ha provocato diminuzioni né della capacità
polmonare né delle capacità respiratorie.
La ragione di questo colpo di fortuna? Potrebbe essere ricondotta
proprio alle cellule immunitarie impigrite, specula Tashkin: "Se la
canapa indiana diminuisce la capacità delle cellule immunitarie di
produrre le citochine infiammatorie, forse riduce anche i danni alla
mucosa nelle vie respiratorie periferiche".
QUARTA ACCUSA: "La canapa indiana provoca nel
cervello modificazioni a lungo termine simili a quelle osservate nei
consumatori di altre droghe.."
Negli anni Settanta, esperimenti effettuati sugli
animali suscitarono infondati timori che il consumo di Cannabis
potesse produrre dei buchi nella materia cerebrale. Gli esperimenti
recentemente commissionati dall'Istituto nazionale statunitense
contro l'abuso di droghe sono più sofisticati, ma le polemiche
infuriano.
George Koob, un ricercatore dell'Istituto di ricerche "Scripps" di
La Jolla (California, USA) sostiene che le esperienze effettuate su
animali portano a conclusioni più immediate: "Più cose scopriamo
sulla neurobiologia della dipendenza, più elementi in comune vediamo
tra il THC (tetraidrocannabinolo, il principio attivo più importante
nella canapa indiana) e le altre droghe". E, secondo Koob, uno di
questi "elementi in comune" appena scoperto è la capacità della
canapa indiana di scatenare cambiamenti chimici nel cervello, che
portano a forti sintomi da astinenza.
Negli esseri umani, alcuni ricercatori sostengono di rilevare chiari
segnali di insonnia, ansia e perfino sintomi di tipo influenzale nei
forti consumatori di canapa in astinenza. Ma se c'è una cosa su cui
tutti sono d'accordo, è che questi sintomi sono modesti e variabili.
Per contrasto, i ratti di Koob sono a pezzi. Questo significa forse
che la marijuana dà più assuefazione di quanto pensiamo?
Neanche per sogno, sostiene Roger Pertwee, farmacologo universitario
e presidente della Società per la ricerca sui cannabinoidi. Il fatto
è che quei sintomi non sono tanto osservati quanto fabbricati. Agli
animali vengono prima iniettate forti dosi di THC e,
successivamente, un secondo farmaco che blocca i recettori di THC
nel cervello. Senza il blocco, i forti sintomi da astinenza non si
osservano, perché il corpo impiega tanto tempo a smaltire la canapa
indiana che perfino i ratti fortemente drogati sperimentano una
"discesa" più dolce.
Nel campo degli esperimenti su animali è in corso un altro acceso
dibattito, che riguarda gli effetti a breve termine della marijuana
sulla biochimica del cervello. L'eroina, la cocaina, l'alcol e la
nicotina scatenano un'ondata di dopamina in una piccola struttura
del mesencefalo denominata nucleus accumbens. Molti ricercatori
considerano questo effetto come il segnale che una sostanza dà
assuefazione.
Lo scorso anno, alcuni esperimenti hanno dimostrato che la canapa
indiana apre il rubinetto della dopamina nei ratti, il che ha
portato all'idea che questa droga deve dare più assuefazione di
quanto si fosse ritenuto in precedenza. Ma per i critici, questo è
solo un altro esempio di quei vecchi esagerati timori.
Quello che nessuno vi dice, dice John Morgan, farmacologo al
Collegio di medicina dell'Università di New York, è che ai ratti la
marijuana non piace. Per loro è facile restare schiavi dell'eroina,
o della cocaina, ma non della marijuana. Né, aggiunge, i ricercatori
sono del tutto onesti su imbarazzanti osservazioni, come per esempio
il fatto che vi sono molte droghe che non danno alcuna assuefazione
e tuttavia stimolano la produzione di dopamina nel cervello.
E' facile da capire che i biologi vogliono trovare semplici tratti
di natura chimica comuni a tutte le droghe che danno assuefazione.
Sfortunatamente, nel giudicare i rischi e i piaceri delle diverse
droghe, le differenze sono tanto importanti quanto le analogie. E,
perlomeno dal punto di vista soggettivo, l'intensa euforia della
cocaina e il flash orgasmico dell'eroina hanno ben poco in comune
con gli effetti più sottili dell'"erba".
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