Muratori cottimo e stress: la cocaina invade i cantieri
Di paolo berizzi brescia da
Repubblica del 20/9/06
Si drogano per abbattere la fatica. E aumentare la
produttività. Tirano cocaina e ingrossano lo stipendio. Si sentono
indistruttibili. Sgobbano anche quindici ore di fila in cantiere.
Dall´alba fino a sera. Da lunedì a venerdì. Poi, il fine settimana,
si devastano nei locali. Ancora polvere bianca, e alcool. Stavolta
per sballare. E così l´orologio gira alla rovescia: in giro la
notte, a letto, sfatti, di giorno. È il doping dei nuovi muratori.
Una generazione avvelenata cresciuta nel Nord onnivoro e opulento,
dove il cemento non dà solo da vivere.
Stupefacenti per abbattere la fatica e aumentare la produttività. I
sindacati: hanno preso il posto dell´alcool.
È anche un ´ occasione di riscatto sociale. Cotto e
mangiato il sabato sera nei privé delle discoteche del Garda. Uno su
cinque, dicono fonti attendibili di medicina del lavoro, ne fa uso.
Almeno tra i giovani. Sono manovali dipendenti, ma soprattutto
cottimisti: più lavorano, più guadagnano. Tremila, quattromila euro
il mese. Abbastanza per pagare le rate della Mercedes. Comprano la
"neve" a 30 euro a dose dai marocchini del Carmine, 20 se sei
cliente fisso. La scorta la fanno il sabato notte. Nella casbah del
centro storico, o alla stazione. Così sono a posto per tutta la
settimana. Si alzano dal letto e se la sparano dopo il caffè. Prima
di andare in uno dei 15 mila cantieri che si aprono ogni anno nel
Bresciano. «Questi nuovi drogati sono il frutto avvelenato della
deregulation dell´edilizia - dice Ettore Brunelli, medico del
lavoro, assessore verde alla Mobilità di Brescia - . La nostra è
un´economia dopata che genera doping. Basta farsi un giro nei
paesotti della bassa bresciana. Guardare i macchinoni. E sopra
questi ragazzi muscolosi con gli occhi schizzati di fuori. Le stesse
facce le vedi all´ alba sui furgoncini. Sembrano indemoniati, sembra
che vadano in guerra. E invece vanno a costruire case».
Cose che succedono nel quadrilatero del mattone e della coca.
Bergamo, Brescia, Verona, Milano. Duecentomila muratori tra regolari
e "in nero". Centoventimila imprese censite. Più le altre, quelle
fantasma che servono a riciclare il denaro della malavita siciliana
e calabrese. A spremere come limoni gli schiavi apprendisti venuti
dal Sud e dall´Est del mondo. Sono sempre sopra le righe questi
operai dopati. È come se le loro braccia andassero a batteria.
Invece vanno a coca. Movimenti in automatico, accelerati. Energia a
getto continuo. Incomprensibile agli occhi dei padri delle
costruzioni, i loro nonni, gente tosta venuta su a capriolo, polenta
e cemento. Al massimo alzava un po´ il gomito la vecchia guardia del
calcestruzzo, ché «un bicchiere di vino non ha mai ucciso nessuno».
Calavano dai crinali della Valle Camonica. Prima di loro vedevi
arrivare le mani; dei nipoti, invece, noti soprattutto l´ innaturale
sopportazione della fatica. La tempra artificiale.
Dice Francesco Cisari, segretario provinciale della Cgil: «Il
settore è completamente destrutturato. Si lavora con ritmi
pazzeschi. C´è un cottimismo sfrenato e così, per essere sempre
pronti e in forza, i nuovi muratori usano gli stupefacenti».
Aggiunge: «Una volta la piaga del settore era l´alcolismo. Ma quello
fiaccava il corpo. La coca invece ti fa sentire potente. In grado di
sopportare orari di lavoro massacranti». E anche di produrre danni
irreversibili. «I muratori che si fanno di coca sono pericolosi per
sé e per gli altri», spiega Maurizio Marinelli, direttore del centro
studi sulla sicurezza pubblica, un osservatorio sulle dinamiche
impazzite della società. Ma non bisogna stupirsi. «Sono la naturale
conseguenza di un territorio malato com´è quello del Nord. Le
imprese coi loro profitti gonfiano le banche, e dietro ci sono
fenomeni inquietanti come questo», ripete il parlamentare diessino
Franco Tolotti. A Brescia sembra di essere tornati agli anni ‘90,
quando dai paesini dell´hinterland, Castel Covati e Travagliato,
batterie di carpentieri specializzati salutavano gli amici al bar e
partivano per tirare su case in Africa e Iraq. «Lavoravano come
matti tre o quattro mesi, poi tornavano e per altri quattro mesi
andavano in giro a fare la bella vita, a rovinarsi di droga e
alcol», racconta ancora Ettore Brunelli. Come fecero, si suppone, i
cottimisti che costruirono il terzo anello dello stadio di San Siro.
I Mondiali di Italia ‘90 erano alle porte. Il giorno della paga i
poliziotti fecero irruzione allo stadio. Circondarono gli operai
mentre venivano saldati dai caporali. Nella buste del salario,
assieme ai soldi, trovarono decine di dosi di cocaina e eroina. «Di
quella storia non si è più saputo nulla - ricorda Marco Di Girolamo,
responsabile di Fillea per la provincia di Milano - . Ma di certo
segnò una pagina oscura nel nostro settore». Sono passati sedici
anni. È come se il Nord avesse fatto di colpo un passo nell´800.
Allora erano i governi che pianificavano la distribuzione della
cocaina ai soldati e agli operai delle fabbriche per aumentare la
produzione. Oggi sono i padroncini che si fanno di roba.
Autonomamente. Per girare con il portafogli gonfio. «È anche un
problema di identità. La coca per i muratori è una forma di
partecipazione sociale. Come dire: ci sono anch´io». Caterina
Gozzoli insegna psicologia del lavoro all´università Cattolica di
Brescia e di Milano. Lei parla di modelli sociali da inseguire. «Non
è solo questione di soldi. È l´emarginazione cui ti costringe la
società se non stai al passo. Diventa un circolo vizioso».
Nel cantiere dei muratori drogati ognuno lavora per tre. La mente si
spegne come un grande interruttore. Si sentono solo i rumori dei
macchinari. L´abbaio assillante del martello pneumatico. Gli affondi
della ruspa che rovista nel fango. Loro, gli operai, farebbero a
meno anche del panino. Dicono che della "schisceta" non ce ne
sarebbe nemmeno bisogno. Hanno occhi sbarrati o mobilissimi. Le
parole che s´infrangono una addosso all´altra. Un dialetto
torrenziale balbettato in fretta. «Mica perdiamo tempo noi», dice in
bresciano stretto toccandosi i bicipiti tatuati un uomo sulla
trentina che si chiama Leo mentre impasta la malta in un cantiere di
Castenedolo. Chiedergli della droga sul lavoro è un boomerang:
«Queste cazzate tenetele per voi che è meglio». I suoi colleghi di
mattone li puoi incrociare la mattina all´alba. Sulle strade
provinciali che tagliano le campagne di Orzinuovi e di Chiari, che
seguono il corso del fiume Mella indicando la via del lavoro alle
utilitarie e ai Transit con su la manovalanza. Oppure nell´immensa
cintura di Milano coi suoi 55 mila operai, quasi tutti pendolari
bergamaschi. E certo nella placida bassa bergamasca, che non ha
niente a che vedere con le valli dove negli anni ‘80 era l´eroina
era l´estrema via di fuga dal mal di montagna. «Molti incidenti sul
lavoro, o per strada, oggi coinvolgono muratori che hanno assunto
stupefacenti - dice Alessandro Fusini, segretario Fillea della Cgil
- . Fanno in una giornata quello che uno farebbe in due giorni.
Magari lo fanno male, ma lo fanno. E se sopra di loro non hanno
capi, se sono lavoratori autonomi, fanno quello che vogliono. Non
devono rispondere a nessuno». Nemmeno al loro corpo.
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