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PALERMO / Cronaca di un'amicizia tra mafiosi finita con le accuse in un'aula di tribunale
Rapisarda spara su Dell'Utri
Il finanziere siciliano conferma che i boss diedero soldi alla Fininvest

 

di TIZIANA LENZO

PALERMO «Fu Gaetano Cinà a presentarmi Marcello Dell'Utri. Un giorno Cinà venne a trovarmi invitandomi ad assumere i fratelli Dell'Utri. E io non dissi di no. Sapevo bene, infatti, che era vicino se non addirittura parente di Stefano Bontate, noto mafioso, che io stesso avevo conosciuto, e fu solo per questo che acconsentii alla richiesta».Davanti ai magistrati della seconda sezione del Tribunale di Palermo, che dovranno giudicare l'ex manager di Publitalia, il racconto di un'amicizia trasformata in accuse giudiziarie: quella tra Dell'Utri e Filippo Alberto Rapisarda.Entrambi siciliani, uno di Palermo, l'altro della provincia di Caltanissetta, si conoscono a Milano al numero 7 di via Chiaravalle dove hanno sede l'"Inim" e la "Bresciano", società di proprietà di Rapisarda. È il 1977. Rapisarda è a Milano già da qualche anno.«Nel 1956, avevo 18 anni, mi trasferii a Roma. Successivamente, tra il '62 e il '63, andai a Milano e solo saltuariamente tornavo in Sicilia». Così sul pretorio il "grande accusatore", assistito dagli Silvio Romanelli e Paola Mora (che è anche sua moglie), inizia il suo racconto. Nelle sue parole sfila la "Milano da bere", la città vista come l'Eldorado dai giovani del Sud in cerca di successo, ma sfilano anche capitali mafiosi che alla fine degli anni '70 sarebbero finiti nelle aziende di Berlusconi con la mediazione di Dell'Utri. In quegli anni Berlusconi diventa uno dei più importanti imprenditori milanesi e si espone, quindi, alla pericolosa attenzione di gruppi criminali operanti in città, e anche della stessa Cosa Nostra».In quest'ottica si inserirebbero anche le "trattative", riferite da Rapisarda, condotte da Dell'Utri. E in quest'ottica rientrerebbe la sua assunzione alle dipendenze di Rapisarda e successivamente la riassunzione da parte di Berlusconi. Marcello Dell'Utri rimane con Rapisarda cinque anni, fino a quando l'imprenditore si rifugia in Venezuela per sfuggire a un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta. «Prima di andare via, incontrai Bontate e Teresi che avevano un appuntamento con Marcello e mi chiesero un'opinione sulle tv commerciali. Dopo alcuni giorni li trovai in via Chiaravalle con i soldi nei sacchi: avevano consegnato i primi dieci miliardi a Dell'Utri». Parole pesanti, accuse tremende. Dal Sudamerica all'Europa, Rapisarda racconta la sua latitanza: «Dal Venezuela tornai in Europa e mi stabilii a Parigi. Abitai prima in casa di un'amica bulgara, poi mi spostai in un appartamento affittato da Dell'Utri in Rive Gauche a circa cento metri dall'Etoile. Ma lì rimasi solo due, tre mesi, perché cominciai ad avere sospetti su Dell'Utri e decisi di trasferirmi in un altro edificio, anche perché la mia latitanza mi imponeva di non rimanere a lungo nello stesso posto. Così mi trasferii in un appartamento di proprietà di Omar Sharif, e successivamente in un edificio dove abitavano anche Sophia Loren e Carlo Ponti».Rapisarda ricostruisce anche un presunto summit che sarebbe avvenuto intorno all'80 a Parigi. Un incontro riservato con il boss Stefano Bontate e Marcello Dell'Utri. E sarebbe stato proprio durante questo "summit" che Dell'Utri avrebbe chiesto al capomafia 20 miliardi. Un "prestito" che sarebbe dovuto servire ad aiutare il gruppo Fininvest, allora in difficoltà. Ancora Rapisarda: «A Parigi ricevetti la visita di Marcello Dell'Utri. Avevamo appuntamento al bar del "George V" ma con mia grande sorpresa lì vidi anche Bontate e Mimmo Teresi con cui Dell'Utri di appartò per discutere. Quindi andammo nell'appartamento dove Dell'Utri chiese di avere del denaro per acquistare un pacchetto di film per Canale5, dal momento che non avevano liquidi neppure per pagare gli stipendi. Il finanziamento venne proposto come un prestito per lo sviluppo delle tv».Il teste racconta anche delle minacce ricevute dal boss Alfredo Bono per ritrattare le accuse all'ex manager di Publitalia: «Conosco Alfredo Bono dal '58, eravamo ragazzi, correvamo insieme con le auto, poi mi spiegarono chi era, capii che apparteneva ad un certo ambiente. Ero sempre gentile con lui perché non volevo mettermi contro questa gente. Ma dopo la mia prima deposizione del primo agosto 1996, Bono venne a minacciarmi. E questo non accadde una sola volta. Venne più volte con la scusa di chiedere dei soldi, ma poi mi chiedeva sistematicamente di ritrattare». Finita la latitanza e tornato in Italia, Rapisarda trova un potente Dell'Utri alla "corte" di Berlusconi, viene coinvolto nel crac miliardario dell'impresa di costruzioni Bresciano, e punta l'indice contro Dell'Utri e il suo gemello Alberto. Ai magistrati Rapisarda racconta dei rapporti tra il manager, Berlusconi e Cosa Nostra. L'inchiesta però viene archiviata e tra i due torna il sereno. «Capii che loro erano talmente forti nel mercato che dovevo per forza ingraziarmeli, così feci finta di niente. Con Dell'Utri ritornammo ad essere amici, addirittura sua moglie battezzò mia figlia, che oggi ha nove anni». Nel '93 viene aperta la prima sede di Forza Italia. Rapisarda: «Dell'Utri mi disse che bisognava costituire un movimento politico per contrastare l'eventuale ascesa della sinistra. Mi sottolineò che se il partito di Occhetto fosse salito al potere, noi saremmo finiti in galera e ci sarebbe stato tolto tutto. Così diedi i soldi a Forza Italia e successivamente anche a Gianfranco Micciché (coordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia, ndr)».Il manager accusato di concorso esterno in associazione mafiosa ascolta impassibile. Alla sospensione dell'udienza, Dell'Utri si lascia andare, e dichiara: «Ultimamente lo capisco. Per fare dichiarazioni simili Rapisarda deve davvero essere arrivato al limite della sua esistenza. È nei guai fino al collo, è disperato, queste sue accuse sono un estremi tentativo di salvataggio. I Pm certo devono fare il loro lavoro, ma mi meraviglia ugualmente il fatto che gli stiano ancora dietro». Sui presunti incontri con Bontate e Teresi e sui finanziamenti di Cosa Nostra, Dell'Utri è laconico: «Non è vero niente». Sul club di Forza Italia aperto in via Chiaravalle a Milano, Dell'Utri invece commenta: «Il club lo ha aperto lui spontaneamente, nel suo interesse e tornaconto».Ma cosa ha spinto Rapisarda ad accusarlo? «Questo non so e non posso dirlo, so solo che mente».Già, mente...

Rapisarda & Dell'Utri

da : http://old.lapadania.com/1998/settembre/23/230998p10a1.htm

PALERMO / Cronaca di un'amicizia tra mafiosi finita con le accuse in un'aula di tribunale
 

Rapisarda spara su Dell'Utri
Il finanziere siciliano conferma che i boss diedero soldi alla Fininvest
 

di TIZIANA LENZO
 

PALERMO «Fu Gaetano Cinà a presentarmi Marcello Dell'Utri. Un giorno Cinà venne a trovarmi invitandomi ad assumere i fratelli Dell'Utri. E io non dissi di no. Sapevo bene, infatti, che era vicino se non addirittura parente di Stefano Bontade, noto mafioso, che io stesso avevo conosciuto, e fu solo per questo che acconsentii alla richiesta».Davanti ai magistrati della seconda sezione del Tribunale di Palermo, che dovranno giudicare l'ex manager di Publitalia, il racconto di un'amicizia trasformata in accuse giudiziarie: quella tra Dell'Utri e Filippo Alberto Rapisarda.Entrambi siciliani, uno di Palermo, l'altro della provincia di Caltanissetta, si conoscono a Milano al numero 7 di via Chiaravalle dove hanno sede l'"Inim" e la "Bresciano", società di proprietà di Rapisarda. È il 1977. Rapisarda è a Milano già da qualche anno.«Nel 1956, avevo 18 anni, mi trasferii a Roma. Successivamente, tra il '62 e il '63, andai a Milano e solo saltuariamente tornavo in Sicilia». Così sul pretorio il "grande accusatore", assistito dagli Silvio Romanelli e Paola Mora (che è anche sua moglie), inizia il suo racconto. Nelle sue parole sfila la "Milano da bere", la città vista come l'Eldorado dai giovani del Sud in cerca di successo, ma sfilano anche capitali mafiosi che alla fine degli anni '70 sarebbero finiti nelle aziende di Berlusconi con la mediazione di Dell'Utri. In quegli anni Berlusconi diventa uno dei più importanti imprenditori milanesi e si espone, quindi, alla pericolosa attenzione di gruppi criminali operanti in città, e anche della stessa Cosa Nostra». In quest'ottica si inserirebbero anche le "trattative", riferite da Rapisarda, condotte da Dell'Utri. E in quest'ottica rientrerebbe la sua assunzione alle dipendenze di Rapisarda e successivamente la riassunzione da parte di Berlusconi. Marcello Dell'Utri rimane con Rapisarda cinque anni, fino a quando l'imprenditore si rifugia in Venezuela per sfuggire a un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta. «Prima di andare via, incontrai Bontate e Teresi che avevano un appuntamento con Marcello e mi chiesero un'opinione sulle tv commerciali. Dopo alcuni giorni li trovai in via Chiaravalle con i soldi nei sacchi: avevano consegnato i primi dieci miliardi a Dell'Utri». Parole pesanti, accuse tremende. Dal Sudamerica all'Europa, Rapisarda racconta la sua latitanza: «Dal Venezuela tornai in Europa e mi stabilii a Parigi. Abitai prima in casa di un'amica bulgara, poi mi spostai in un appartamento affittato da Dell'Utri in Rive Gauche a circa cento metri dall'Etoile. Ma lì rimasi solo due, tre mesi, perché cominciai ad avere sospetti su Dell'Utri e decisi di trasferirmi in un altro edificio, anche perché la mia latitanza mi imponeva di non rimanere a lungo nello stesso posto. Così mi trasferii in un appartamento di proprietà di Omar Sharif, e successivamente in un edificio dove abitavano anche Sophia Loren e Carlo Ponti».Rapisarda ricostruisce anche un presunto summit che sarebbe avvenuto intorno all'80 a Parigi. Un incontro riservato con il boss Stefano Bontate e Marcello Dell'Utri. E sarebbe stato proprio durante questo "summit" che Dell'Utri avrebbe chiesto al capomafia 20 miliardi. Un "prestito" che sarebbe dovuto servire ad aiutare il gruppo Fininvest, allora in difficoltà. Ancora Rapisarda: «A Parigi ricevetti la visita di Marcello Dell'Utri. Avevamo appuntamento al bar del "George V" ma con mia grande sorpresa lì vidi anche Bontate e Mimmo Teresi con cui Dell'Utri di appartò per discutere. Quindi andammo nell'appartamento dove Dell'Utri chiese di avere del denaro per acquistare un pacchetto di film per Canale5, dal momento che non avevano liquidi neppure per pagare gli stipendi. Il finanziamento venne proposto come un prestito per lo sviluppo delle tv». Il teste racconta anche delle minacce ricevute dal boss Alfredo Bono per ritrattare le accuse all'ex manager di Publitalia: «Conosco Alfredo Bono dal '58, eravamo ragazzi, correvamo insieme con le auto, poi mi spiegarono chi era, capii che apparteneva ad un certo ambiente. Ero sempre gentile con lui perché non volevo mettermi contro questa gente. Ma dopo la mia prima deposizione del primo agosto 1996, Bono venne a minacciarmi. E questo non accadde una sola volta. Venne più volte con la scusa di chiedere dei soldi, ma poi mi chiedeva sistematicamente di ritrattare». Finita la latitanza e tornato in Italia, Rapisarda trova un potente Dell'Utri alla "corte" di Berlusconi, viene coinvolto nel crac miliardario dell'impresa di costruzioni Bresciano, e punta l'indice contro Dell'Utri e il suo gemello Alberto. Ai magistrati Rapisarda racconta dei rapporti tra il manager, Berlusconi e Cosa Nostra. L'inchiesta però viene archiviata e tra i due torna il sereno. «Capii che loro erano talmente forti nel mercato che dovevo per forza ingraziarmeli, così feci finta di niente. Con Dell'Utri ritornammo ad essere amici, addirittura sua moglie battezzò mia figlia, che oggi ha nove anni». Nel '93 viene aperta la prima sede di Forza Italia. Rapisarda: «Dell'Utri mi disse che bisognava costituire un movimento politico per contrastare l'eventuale ascesa della sinistra. Mi sottolineò che se il partito di Occhetto fosse salito al potere, noi saremmo finiti in galera e ci sarebbe stato tolto tutto. Così diedi i soldi a Forza Italia e successivamente anche a Gianfranco Micciché (coordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia, ndr)».Il manager accusato di concorso esterno in associazione mafiosa ascolta impassibile. Alla sospensione dell'udienza, Dell'Utri si lascia andare, e dichiara: «Ultimamente lo capisco. Per fare dichiarazioni simili Rapisarda deve davvero essere arrivato al limite della sua esistenza. È nei guai fino al collo, è disperato, queste sue accuse sono un estremi tentativo di salvataggio. I Pm certo devono fare il loro lavoro, ma mi meraviglia ugualmente il fatto che gli stiano ancora dietro». Sui presunti incontri con Bontate e Teresi e sui finanziamenti di Cosa Nostra, Dell'Utri è laconico: «Non è vero niente». Sul club di Forza Italia aperto in via Chiaravalle a Milano, Dell'Utri invece commenta: «Il club lo ha aperto lui spontaneamente, nel suo interesse e tornaconto».Ma cosa ha spinto Rapisarda ad accusarlo? «Questo non so e non posso dirlo, so solo che mente». Già, mente...

                

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