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Il destino manifesto

Il “destino manifesto”

di Eric Foner

Lo sviluppo più sensazionale nella vita della giovane repubblica fu l’ascesa dell’Ovest. L’espressione «destino manifesto», che suggeriva l’idea che gli Stati Uniti avessero una missione assegnata loro da Dio di diffondersi su tutto il continente nordamericano, fu usata la prima volta da un giornalista di New York, John L. O’Sullivan, nel 1845. Ma la sostanza dell’idea era familiare già da molto tempo. Gli Stati Uniti erano stati scelti da Dio per il più grande esperimento nella storia umana, la conquista della libertà, e la sua espansione era parte integrante di questo destino provvidenziale. A differenza di altre nazioni, l’America, con la sua struttura federale, la separazione dei poteri, un sistema politico sempre più democratico, e la pratica di ammettere nuovi territori nell’Unione come Stati con pari diritti, poteva godere insieme dell’impero e dell’autogoverno. In verità, il senso della vastità dello spazio, della costante opportunità di potersi spostare quando la ricerca della felicità sembrava richiederlo divennero in quegli anni la componente principale della libertà americana. Nel mito e nell’ideologia nazionali, l’Ovest, secondo le parole di Wallace Stegner; sarebbe rimasto «l’ultima patria degli americani nati liberi».

L’ascesa dell’Ovest non era semplicemente una mitica avventura, ma un dato inevitabile della vita americana. Tra il 1791 e il 1850, almeno diciotto nuovi Stati aderirono all’Unione. Negli Stati Uniti, scrisse lo Storico francese Michel Chevalier, che visitò il paese negli anni trenta, la libertà era un’«idea concreta» tanto quanto un’idea «mistica»: essa significava una «libertà di azione e di movimento che l’americano usa per espandersi sul vasto territorio che la provvidenza gli ha donato, e per piegarlo al proprio vantaggio». I confini nazionali facevano poca differenza ai fini dell’espansione; in Florida, Louisiana, Texas e in altre zone i coloni americani si precipitarono a chiedere terra che cadeva sotto la giurisdizione della Spagna, della Francia, del Messico e delle tribù indiane, fiduciosi che la sovranità americana si sarebbe rapidamente mossa al loro seguito. La fame di terra di chi considerava il «vuoto» continente come una garanzia di future opportunità economiche, supportava il lato «pratico» del destino manifesto. In verità, permettendo il continuo rafforzamento di un ordine sociale basato su piccoli produttori indipendenti, la conquista e lo sfruttamento economico dell’Ovest lasciavano sperare che gli Stati Uniti avrebbero evitato di seguire la china dell’Europa e diventare una società stratificata, con una classe molto ampia di dipendenti poveri. L’Ovest era quindi essenziale per mantenere le condizioni sociali della libertà. Quando, nel 1803, Jefferson acquistò dalla Francia il vasto territorio della Louisiana, raddoppiando l’estensione di quello che egli definiva «l’impero della libertà», credeva di aver spinto molto in là nel futuro il temuto giorno in cui un’America sovrappopolata e divisa per classi avrebbe cessato di essere la patria della libertà.

L’idea che il loro fosse l’impero della libertà autorizzava gli americani a ignorare alcune spiacevoli verità sull’espansione verso ovest. Per cominciare, il continente non era, di fatto, vuoto. Per secoli, l’Ovest era stato terreno d’incontro di popoli, le cui relazioni erano condizionate dalla conquista quanto dalla libera scelta. Esso era anche, quindi, il luogo di contrastanti definizioni della libertà. «La vita che il mio popolo vuole è una vita di libertà», avrebbe proclamato più tardi il grande capo dei Lakota Sioux, Toro Seduto. L’idea della libertà dei nativi americani. che si centrava sulla volontà di preservare la propria autonomia culturale e politica e mantenere il controllo delle terre dei padri, era tuttavia incompatibile con quella dei coloni occidentali, per i quali la liberà comportava il diritto di espandersi attraverso il Continente e costruire fattorie, ranch e miniere sulla terra che gli indiani consideravano propria. L’allontanamento degli indiani — ottenuto con la frode, l’intimidazione e la violenza — era ritenuto indispensabile per il trionfo del destino manifesto e della missione americana di diffondere la libertà.

[Eric Foner, Storia della libertà Americana, Firenze, Donzelli, 2000, pp.75-79]

 

                

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