MICHAEL MOORE
Non ho mai visto una testa presidenziale più intronata di
quella che ho visto l'altra sera durante la conferenza stampa di George W. Bush.
Parla ancora di ritrovare le «armi si distruzione di massa», questa volta nella
«fattoria dei tacchini» di Saddam. Tacchini, esattamente. Chiaramente la Casa
Bianca pensa che ci siano abbastanza cretini nei 17 stati ancora in bilico che
se la bevono. Penso li aspetti un brusco risveglio... Sono stato rinchiuso per
settimane nella sala di montaggio a finire il mio film (Fahrenheit 911).
Per questo non mi sono fatto vivo negli ultimi tempi. Ma dopo la riproposizione
di Lyndon Johnson che ha avuto luogo la notte scorsa nella East Room - in cui si
prometteva fondamentalmente di spedire ancora altre truppe nell'inghiottitoio
iracheno - beh, dovevo scrivere due righe.
Innanzitutto, riusciamo a farla finita con questo linguaggio
orwelliano e cominciare a chiamare le cose con il loro nome? Quelli che sono in
Iraq, non sono «imprenditori». Non sono lì per riparare un tetto o per spalmare
calcestruzzo su un piano stradale. Sono mercenari e soldati di ventura. Sono lì
per i soldi, e la paga è molto buona - se riesci a vivere abbastanza per
godertela. La Halliburton non è un «società» che sta facendo affari in Iraq. Sono
profittatori di guerra che stanno sfilando milioni dalle tasche dell'americano
medio. Nelle guerre passate sarebbero stati arrestati - o peggio.
Gli iracheni che si sono ribellati all'occupazione non sono
«rivoltosi» o «terroristi» o «il nemico». Sono la rivoluzione, come i
minutemen americani, e il loro numero è destinato a crescere - e vinceranno.
Ha afferrato il concetto, signor Bush? Ha fatto chiudere un maledetto
settimanale, lei grande dispensatore di libertà e democrazia, e allora si è
scatenato l'inferno. Il giornale aveva 10.000 lettori in tutto! Perché fa quel
sorrisetto da furbo?
Un anno dopo aver pulito la faccia della statua di Saddam
con la bandiera americana prima di tirarla giù, siamo in una situazione tale che
è troppo pericoloso per un operatore dell'informazione tornare oggi da solo in
quella piazza e fare un servizio sulla magnifica celebrazione del primo
anniversario. Naturalmente, non ci sono celebrazioni, e quei coraggiosi
giornalisti embedded con i loro capelli cotonati non possono neppure
uscire dal recinto di sicurezza del forte nel centro di Bagdad. In realtà loro
non vedono mai quello che sta accadendo in Iraq (la maggior parte delle immagini
che vediamo in televisione sono riprese dai media arabi o europei). Quando
guardate un servizio «dall'Iraq», quello che vedete è un comunicato stampa
fornito dalle forze d'occupazione Usa e rivenduto a voi come notizia.
Al momento ci sono in Iraq due miei
cineoperatori/fotoreporter che lavorano per il mio film (all'insaputa del nostro
esercito). Parlano con i soldati e stanno raccogliendo i veri sentimenti e le
opinioni su ciò che sta veramente succedendo. Ogni settimana mi spediscono a
casa il metraggio via Federal Express. Avete capito bene, Fed Ex, e chi ha detto
che non abbiamo portato la libertà in Iraq? La storia più buffa che i miei
collaboratori mi hanno raccontato è il fatto che quando scendono dal volo a
Baghdad non devono far vedere il passaporto o passare il controllo immigrazione.
Perché no? Perché loro non hanno viaggiato da un paese straniero a un altro -
loro stanno arrivando dall'America in America, un posto che ci appartiene, un
nuovo territorio americano chiamato Iraq.
Si parla tanto fra gli oppositori di Bush del fatto che
dovremmo consegnare questa guerra nelle mani delle Nazioni unite. Perché gli
altri paesi del mondo, paesi che hanno tentato di dissuaderci da questa follia,
dovrebbero ora rimettere ordine nel nostro caos? Mi oppongo a che l'Onu, o
chiunque altro, rischi la vita dei propri cittadini per tirarci fuori dalla
nostra debacle. Mi dispiace, ma la maggioranza degli americani ha appoggiato
questa guerra, una volta iniziata, e, per quanto triste, quella maggioranza deve
ora sacrificare i propri figli finché sarà versato abbastanza sangue da far sì
che forse - proprio forse - Dio e il popolo iracheno possano infine perdonarci.
Fino a quel momento, godetevi la «pacificazione» di Falluja, il «contenimento»
di Sadr City e la prossima Offensiva del Tet - oops, volevo dire, «l'attacco
terrorista da parte di un gruppuscolo di fedeli baathisti» (adoro scrivere
queste parole, «fedeli Baahtisti» fa tanto Peter Jennings) - seguite da una
conferenza stampa in cui ci si dirà che dobbiamo «mantenere la rotta» perché
stiamo «conquistando i cuori e le menti della gente».
Presto scriverò ancora. Non disperate. Ricordatevi che il
popolo americano non è poi così stupido. Certo, possiamo farci spaventare tanto
da farci portare in guerra, ma prima o poi ci riprendiamo sempre - ciò per cui
questo non è come il Vietnam è il fatto che non ci sono voluti quattro lunghi
anni per capire che ci avevano mentito.
traduzione maria luisa moretti
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