In America Latina la discussione sulle droghe ruota intorno
all’attuazione del “Plan Colombia” e della più recente
“Iniziativa Regionale Andina” (Ira) del presidente
George W.
Bush.
Poiché il dibattito si articola su posizioni estreme,
risulta difficile trovare punti di incontro tra le parti. Da
un lato, molti governi del continente latino-americano
insistono nel sostenere, con il governo degli Stati Uniti,
che queste iniziative sono necessarie per affrontare e
risolvere il problema del “narcotraffico” – termine che cito
tra virgolette perché si tratta di una categoria ideologica
e non scientifica, come sostiene il diplomatico peruviano
Hugo Contreras. La violenza e l’instabilità che derivano dal
“narcotraffico”, non solo in Colombia, ma in tutto il
continente latino-americano, metterebbero in pericolo la
governabilità e la stabilità macro-economica, indispensabili
perché siano garantiti gli investimenti a sostegno
dell’Accordo di libero commercio in America (Alca).
Sull’altra sponda, i rappresentanti delle società civili, le
popolazioni delle zone coinvolte, scienziati, accademici e
organizzazioni non governative che difendono l’ambiente e i
diritti umani, sostengono che entrambe le iniziative sono
“narcotizzate”, militarizzate e andinizzate.
L’ipotesi principale è che il traffico di droga e
l’insicurezza causata da violenza, sovversione e terrorismo,
siano solo pretesti per l’intervento
strategico-militare-poliziesco degli Stati Uniti in America
Latina. L’obbiettivo di tale dispiegamento di forze, stando
a questa posizione, sarebbe quello di esercitare un
controllo militare, economico e politico sul bacino idrico
andino-amazzonico: una regione ricca di risorse naturali
come petrolio, oro, minerali, pietre preziose, legno, piante
dalle proprietà ancora inesplorate.
La conca andino-amazzonica è attualmente la principale fonte
d’acqua dolce nel mondo (75% del totale), e perciò molto più
importante dei pur vasti bacini dei fiumi Mississippi, Nilo,
Mesopotamia, Gange e Yang Tse Kiang. Non solo: la
bio-diversità di flora e fauna, nonostante la distruzione
causata negli ultimi decenni dallo sfruttamento del mondo
occidentale, costituisce tuttora una riserva mondiale in
gran parte inesplorata.
Sono queste – secondo gli antagonisti del Plan Colombia – le
ragioni che inducono gli Stati Uniti al controllo della
regione, ignorando il diritto di amministrare le risorse
della propria terra rivendicato da governi e popoli
indigeni. Il dispiegamento strategico non si rivolge
principalmente contro bande e/o cartelli di trafficanti o
contro organizzazioni di guerriglieri e/o terroristi, ma
contro popoli interi da sottomettere e sfrattare per poter
amministrare i loro territori con razionalità capitalista.
La discussione sul futuro della regione sarebbe stata finora
imposta dagli Stati Uniti in base alla concezione per cui
lottare contro il traffico di droghe significa lottare
contro coloro che finanziano i guerriglieri e i terroristi,
causa dell’instabilità nazionale e regionale.
La natura militare-poliziesca dell’intervento statunitense
in America Latina individua nella Colombia la principale
causa di instabilità del continente sudamericano. Secondo
questo modo di vedere, il paese è diviso territorialmente e
socialmente: da un lato il governo colombiano (che controlla
è i territori della frangia centrale del paese: cioè l’asse
del caffè, dell’energia idrica, dell’industria agraria, dei
minerali e le zone degli aeroporti e dei porti
internazionali); dall’altro i guerriglieri delle Forze
armate rivoluzionarie della Colombia, che presidiano la zona
sud orientale, vale a dire gran parte del petrolio presente
nel territorio, l’allevamento intensivo, la produzione di
coca, pasta di coca e cocaina e i principali fiumi
dell’Amazzonia.
Ci sono poi ancora gli Eserciti di liberazione nazionale
(Eln) – attualmente posizionati nella zona nord occidentale
e nell’Orinoco (dove si trovano piantagioni di cotone e, in
parte, di caffè, coca e papavero) – e gli eserciti
paramilitari dell’Autodifesa unita della Colombia (Auc), che
controllano la zona di Maddalena Medio (dove si alleva
bestiame e si producono coca, papavero, zucchero e caffè).
In questo contesto si è inserita la vicenda del Plan
Colombia, formulato nel 1998 dall’allora fiammante
governo Pastrana, disegnato dagli Stati Uniti nel 1999 e
finanziato dagli stessi con oltre un miliardo di dollari.
Il piano ha tre obbiettivi: “narcotizzare”, militarizzare e
andinizzare il conflitto. La “narcotizzazione” è il
pretesto, la militarizzazione è il metodo e l’andinizzazione
è l’estensione del contesto geografico e socio-economico dei
territori da controllare.
Per “narcotizzazione” si deve intendere l’uso
propagandistico del problema droga, dietro al quale si cela
il tentativo di tagliare le finanze delle forze
insurrezionali e di assegnare a forze istituzionali filo-Usa
il controllo di un affare che sfugge almeno per il 30%.
La militarizzazione è il tentativo di gendarmizzare le forze
armate autoctone rendendole organiche ad esercito, marina e
aviazione, in modo da prevenire futuri conflitti di
espansione territoriale e colpi di Stato.
L’andinizzazione è la ricerca del consenso dei
governi dei paesi confinanti, affinché vedano di buon occhio
un eventuale intervento diretto degli Stati Uniti, costretti
anche nel caso di un negoziato fra governo e guerriglia a
mantenere un ruolo di primo piano.
Questi tre elementi si fondano ovviamente nella prospettiva
del profitto economico, imposta dalle grandi multinazionali
del nord del mondo portatrici del cosiddetto modello
neo-liberale alla mano.
In gioco – affermano – ci sono gli investimenti e il
consolidamento dell’Alca, l’Accordo di Libero Commercio
delle Americhe. |