La Strage dei Kurdi
un grazie per la segnalazione all'amico Roberto
Renzetti ( www.fiscamente.net )
UNA DELLE PIU' POTENTI ARMI DEI PADRONI E' LA PERDITA DI MEMORIA.
Riporto il testo integrale di un articolo tratto da "Le Monde
Diplomatique" del 1998 che ricostruisce una delle pagine più tragiche
della storia irachena: lo sterminio dei curdi con il gas avvenuto il
16 marzo 1988 nella città di Halabja. Il testo rappresenta anche un
atto di accusa agli americani che, a quei tempi, erano formalmente
alleati dell'Iraq di Saddam ( nella guerra contro l'Iran) ed anzi, dopo l'avvenuta strage,la Casa
Bianca aveva persino concesso a Saddam Hussein crediti supplementari
per un miliardo di dollari.
Quando l' amico Saddam gasava i kurdi
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Marzo-1998/9803lm18.01.html
La ricerca di armi chimiche e batteriologiche irachene è stata al
centro della recente crisi del Golfo. Il rifiuto di Baghdad di
permettere agli esperti delle Nazioni unite di ispezionare i siti
presidenziali, dove queste armi sarebbero nascoste, avrebbe
giustificato la nuova campagna di bombardamenti. I tempi cambiano.
Dieci anni or sono, l'uso sistematico di gas venefici contro le
popolazioni kurde del nord Iraq non aveva destato altrettanta
commiserazione negli Stati uniti. A sei mesi dal martirio della città
di Halabda, la Casa bianca aveva persino concesso a Saddam Hussein
crediti supplementari per un miliardo di dollari. Vero è che, allora,
quello che sarebbe diventato il "nuovo Hitler" era ancora l'alleato
dell'Occidente contro la rivoluzione islamica iraniana...
di Kendal Nezan
Il 16 marzo 1988, nel bel mezzo di una mattina di primavera, i
bombardieri iracheni invadono il cielo di Halabja, città di 60.000
abitanti all'estremo sud del Kurdistan iracheno, a pochi chilometri
dalla frontiera iraniana (1). Il giorno precedente, la città era
caduta nelle mani dei peshmergas (partigiani) dell'Unione patriottica
del Kurdistan (Upk) di Jalal Talabani, sostenuti dai Guardiani della
rivoluzione iraniani. Abituata alle alterne offensive e
controffensive nel conflitto Iraq-Iran che devastavano la regione dal
settembre del 1980, la popolazione crede sulle prime che si tratti di
una classica operazione di rappresaglia. Chi fa in tempo si mette al
riparo in rifugi di fortuna. Gli altri sono sorpresi da bombe
chimiche che, a ondate successive, Mirage e Mig iracheni gli
rovesciano addosso. Un odore nauseante di mele imputridite riempie
Halabja. Al calar della notte, le incursioni aeree cessano e comincia
a piovere. Poiché le truppe irachene hanno distrutto la centrale
elettrica, gli abitanti partono alla ricerca dei loro morti nel
fango, alla luce delle torce. L'indomani, si trovano di fronte a uno
spettacolo spaventoso: strade lastricate di cadaveri, persone
sorprese dalla morte chimica nei loro gesti quotidiani: neonati
ancora attaccati al seno materno, bambini tenuti in mano dal padre o
dalla madre immobilizzati, come in un'istantanea, pietrificati. In
poche ore, 5.000 morti, 3.200 dei quali, rimasti senza famiglia,
vengono tumulati in una fossa comune. Le immagini di questo massacro
fanno il giro del mondo grazie a corrispondenti di guerra iraniani
raggiunti dalla stampa internazionale che si reca sul posto e dà un
certo spazio a questo avvenimento senza precedenti. Il fatto è che
l'uso di armi chimiche è formalmente proibito dalla convenzione di
Ginevra del 1925 soltanto l'Italia di Mussolini ha infranto questo
divieto nella guerra d'Abissinia. Ma stavolta è contro il suo stesso
popolo che uno stato usa i gas chimici..
A dire il vero, l'Iraq ha fatto uso di armi chimiche contro i kurdi
fin dal 15 aprile 1987, due settimane dopo la nomina di un cugino di
Saddam Hussein, Hassan Ali Al Majid, alla testa dell'ufficio per gli
affari del nord, cioè del Kurdistan. Il decreto n. 160 del 29 marzo
1987 del Consiglio di direzione della rivoluzione (Ccr) gli dava i
pieni poteri per l'avvio della soluzione finale del problema kurdo,
mai risolto nonostante la politica di arabizzazione intensiva, gli
spostamenti forzati di popolazioni, le esecuzioni dei capi, e persino
a dispetto di una guerra che si protraeva, a intervalli, dal 1961.
Investito del potere di vita e di morte, il proconsole iracheno
decide di evacuare e di distruggere tutti i villaggi, di raggrupparne
gli abitanti in campi allestiti lungo i grandi assi stradali e di
eliminare fisicamente le popolazioni ritenute ostili. Nell'ambito di
questa strategia, l'uso di armi chimiche è caldeggiato per "ripulire"
le sacche di partigiani e i villaggi di montagna, difficilmente
raggiungibili. Condotte a partire dal 15 aprile contro una trentina
di villaggi nelle province di Suleymanieh e di Erbil, i primi
esperimenti chimici di Hassan Al Majid fanno centinaia di morti e si
dimostrano terribilmente efficaci. Il 17 aprile, dopo un attacco con
armi chimiche che fa 400 morti nella valle di Balisan, 286
sopravvissuti, feriti, tentano di raggiungere Erbil per farsi
medicare. Vengono fermati dall'esercito e abbattuti. Deciso a
convincere i suoi colleghi, e soprattutto il presidente Saddam
Hussein, dell'efficacia del suo metodo, il capo dell'ufficio per gli
affari del nord fa filmare i massacri, le deportazioni nonché
l'effetto dei gas chimici sulla popolazione. Formati dagli
specialisti della Stasi della Rdt, i servizi iracheni hanno un gusto
pronunciato per gli archivi, anche quando documentano le loro azioni
più spaventose. Durante l'insurrezione kurda del marzo 1991, parte di
questi archivi cadrà nelle mani della resistenza che li passerà
all'organizzazione umanitaria Human Rights Watch negli Stati uniti.
La custodia e la consultazione di queste 18 tonnellate di documenti
politici e di polizia, che presto saranno consultabili su Internet,
sono assicurate dall'università del Colorado.
Grazie a loro si potrà scrivere la storia della campagna di genocidio
operata dal regime del presidente Saddam Hussein contro i kurdi. Si
viene così a sapere che il 26 maggio 1987 Hassan Al Majid riunisce i
responsabili del partito Baas ai quali dichiara: "Appena avremo
concluso le deportazioni, cominceremo ad attaccarli [i peshmergas] da
tutte le parti. [...] Li accerchieremo con armi chimiche. Useremo
queste armi non per un solo giorno, continueremo ad attaccarli per
quindici giorni. [...] Ho detto ai compagni-esperti che mi servono gruppi di guerriglieri
in Europa per uccidere il maggior numero possibile [di membri kurdi
dell'opposizione]. Lo farò, con l'aiuto di Dio. Li vincerò e li
perseguirò fino in Iran, dove chiederò ai mujaheddin [del popolo
iraniano] (2) di attaccarli (3). Il 3 giugno 1987, il proconsole
firma la direttiva personale n. 28/3650 che dichiara "zona proibita" un territorio di oltre 1.000
villaggi kurdi in cui dovrà essere cancellata ogni vita umana e
animale. Secondo queste disposizioni, "ogni movimento di cibo, di
persone o di macchine verso villaggi proibiti per ragioni di
sicurezza è totalmente vietato [...]. Quanto alla mietitura, deve
essere conclusa prima del 15 luglio, dopo di che l'agricoltura non
sarà più autorizzata in questa regione [...].
Le forze armate devono uccidere ogni essere umano o animale presente
in queste zone".
Con questi ordini, le forze irachene si lanciano in un attacco che
raggiunge il suo apice con le operazioni "Anfal" (dal titolo di un
versetto del Corano che autorizza il saccheggio dei beni degli
infedeli) tra febbraio e settembre 1988. L'ultima operazione è
lanciata il 25 agosto, pochi giorni dopo il cessate- il-fuoco fra
Iraq e Iran che pone fine a otto anni di guerra.
Sedici divisioni e un battaglione di armi chimiche, in totale 200.000
uomini appoggiati dall'aviazione, conducono una "campagna di pulizia
finale" nella provincia kurda del Bahdinan lungo la frontiera turca.
Operazione provoca l'esodo verso la Turchia di quasi 100.000 civili.
Nel luglio 1988, l'esercito spiana al suolo con la dinamite la città
di Halabja considerata dai kurdi un importante luogo di cultura. La
città aveva anche raggiunto una certa notorietà nel mondo
anglosassone grazie al fascino che la sua sovrana, Adela Khanum,
protettrice delle arti, esercitava sugli inglesi all'inizio del
secolo. A questa Medici in terra islamica, Londra, diventata potenza
mandataria dopo la grande guerra, aveva assegnato il titolo di Khan
Bahadur principessa dei Bravi. Noti fin dai tempi di Senofonte per la
loro abilità nell'uso delle armi tradizionali e nell'arte della
guerra, questi Bravi hanno finito per soccombere sotto i colpi di un
invisibile nemico, il gas. Le distruzioni delle città e dei villaggi
kurdi proseguono nel 1989. In giugno, Qala Diza, 120.000 abitanti
alla frontiera iraniana, è evacuata, fatta saltare con la dinamite e
rasa al suolo. E' l'ultima grande operazione di questa campagna. Il
23 aprile 1989, con il decreto n. 271, il Consiglio di direzione
della rivoluzione revoca i poteri speciali conferiti a Hassan Al
Majid e, in dicembre, il presidente Saddam Hussein, ritenendo risolta
la questione kurda, abolisce il comitato per gli affari del nord del
Ccr, che aveva istituito dieci anni prima. Al termine di questo folle
genocidio, il 90% dei villaggi kurdi e una ventina di borghi e di
città scompaiono dalle carte geografiche (4). Circa 15 milioni di
mine, disseminate nella campagne, rendono impraticabili agricoltura e
allevamento. Un milione e mezzo di contadini kurdi sono internati in
campi. La guerra di Baghdad contro i kurdi, iniziata nel 1974, si
conclude con oltre 400.000 morti, di cui quasi la metà scomparsi,
ossia circa il 10% della popolazione kurda dell'Iraq. La sorte degli
scomparsi è evocata, nel maggio 1991, da una delegazione kurda
durante i negoziati di pace rimasti senza esito con Baghdad.
Interrogato sulla sorte delle 182 000 persone di cui non si avevano
notizie, Hassan Al Majid si spazientisce: "Sono le vostre solite
esagerazioni. Il numero complessivo di persone uccise durante l'Anfal
non ha probabilmente superato la cifra di 100.000!". Quanto ai mezzi
messi in atto, egli non ne fa mistero nel verbale di una riunione
tenutasi nel gennaio 1989 (5): "Sarei forse incaricato di mantenere
in forma tutta questa gente, di prendermi cura di loro? No, li
seppellirò con i bulldozer. Mi chiedono i nomi di tutti i prigionieri
per pubblicarli. Dove dovrei sistemare questa enorme quantità di
persone? Ho cominciato a suddividerle nei governatorati. Ho dovuto
mandare i bulldozer qua e là". A quel tempo il regime non teme
reazioni internazionali. Nel verbale della riunione del 26 maggio
1987, il proconsole Al Majid proclamava: "Li ucciderò tutti con armi
chimiche! Chi dirà qualcosa? La comunità internazionale? Che vada al
diavolo!" (6). Con questo linguaggio brutale, il macellaio del
Kurdistan, promosso in seguito governatore del Kuwait quindi ministro
della difesa, ostenta un giustificato cinismo. Ritenuto all'epoca un
baluardo contro il regime islamista di Tehran, l'Iraq ha l'appoggio
dei paesi dell'Est e dell'Ovest nonché dell'insieme del mondo arabo,
tranne la Siria. Tutti gli stati occidentali gli forniscono armi e
denari. Menzione speciale per la Francia: oltre la vendita di Mirage
e di elicotteri, Parigi si spinge fino a prestargli aerei Super-Etendard in piena guerra contro l'Iran. La Germania consegna a
Baghdad gran parte della tecnologia delle armi chimiche e, in una
insolita cooperazione militare Est-Ovest, ingegneri tedeschi
perfezionano gli Scud iracheni di origine sovietica, aumentandone la
portata perché possano colpire le città iraniane più lontane, come
Tehran. Nonostante l'immensa emozione manifestata dall'opinione
pubblica in seguito all'uso di gas su Halabja, la Francia, potenza
depositaria della convenzione di Ginevra del 1925, si accontenta di
un comunicato sibillino di condanna per "l'uso di armi chimiche in
qualunque luogo". L'Onu invia sul posto un esperto militare spagnolo,
il colonnello Dominguez, la cui relazione, resa pubblica il 26 aprile
1988, si limita a rilevare che "armi chimiche sono ancora state
utilizzate sia in Iran che in Iraq" e che "aumenta il numero di
vittime civili" (7). Quello stesso giorno, il segretario generale
dell'Onu dichiarava che "le nazionalità sono difficilmente
individuabili, tanto per le armi che per coloro che le utilizzano".
E' evidente che le potenze alleate dell'Iraq non desiderano una
condanna di Baghdad. Nell'agosto 1988, la sottocommissione dei
diritti dell'uomo delle Nazioni unite ritiene, con undici voti contro
otto, che non c'è motivo di condannare l'Iraq per violazione dei
diritti umani. Soltanto i paesi scandinavi, con l'Australia e il
Canada e organismi come il Parlamento europeo e l'Internazionale
socialista salvano l'onore con una chiara condanna del regime
iracheno. Un cambiamento si intravede solo dopo la fine del
conflitto Iraq-Iran e con l'afflusso in Turchia, nel settembre 1988,
di profughi che fuggono davanti a una nuova offensiva con armi
chimiche. Il presidente francese François Mitterrand, in un
comunicato del 7 settembre, esprime la propria "preoccupazione
davanti alle notizie riguardanti i mezzi di repressione usati contro
le popolazioni kurde in Iraq, e in particolare per l'uso di armi
chimiche". Senza voler entrare in problemi che competono alla
sovranità irachena, aggiunge Mitterrand, "i legami di amicizia che
legano l'Iraq e la Francia le consentono a maggior ragione di far
conoscere il proprio sentimento". Il presidente George Bush blocca
una risoluzione adottata, su iniziativa del senatore Claiborne D.
Pell, dalle due Camere e che prevede sanzioni contro l'Iraq. La Casa
bianca si spinge fino a concedere a Baghdad un nuovo credito di un
miliardo di dollari. Solo dopo l'occupazione, nell'agosto 1990, del
ricco emirato del Kuwait, il presidente Saddam Hussein diventa la
bestia nera degli Stati uniti e viene designato come il "nuovo
Hitler" dal presidente Bush. L'utile spauracchio sopravviverà alla
guerra del Golfo: non solo le truppe americane non tenteranno nulla
per rovesciare il dittatore, ma lasceranno, nella primavera 1991, che
la guardia presidenziale reprima nel sangue la rivolta popolare,
quella stessa alla quale il presidente degli Stati uniti aveva
chiamato il popolo iracheno.
IL PKK su Halabja
L'IPOCRISIA DEL GOVERNO USA, LA VERITA' SUL MASSACRO DI HALABJA E LA
NEGAZIONE DELL'IDENTITA' KURDA.
(Kurdish Media - 20/3/2000)
Il messaggio lanciato dal Dipartimento di Stato americano per
commemorare il 12° anniversario del massacro di Halabja ha, in
realtà, mostrato l'ipocrisia di uno stato che nasconde le sue
responsabilità e si presenta sempre come il paladino della giustizia
mondiale. Nelle 445 parole del messaggio mai una volta il
Dipartimento ha osato scrivere la parola "Kurdistan" e "Nazione
kurda" e la cosa più ridicola è che il dittatore Hussein non ha
alcuna difficoltà a pronunciare la parola Kurdistan per intendere
Kurdistan meridionale o Iraq del nord. Gli Usa non vogliono
evidentemente turbare la profonda sensibilità della Turchia sulla
materia in questione.
"Le vittime di Halabja chiedono giustizia e il supporto della
comunità internazionale", parole veramente commoventi da parte del
più ricco stato del mondo che non dice però cosa vuole fare per dare
questo "supporto ". L'altra cosa strana di tutta la faccenda è che le
N.U. sborsano ancora milioni di $ di risarcimento alle vittime
dell'invasione del Kuwait ma non danno un centesimo alle vittime
kurde del genocidio del 1988. Le sanzioni imposte sull'Iraq
completano l'opera ed oggi i superstiti di Halabja hanno due nemici
Saddam e gli USA. Bisogna anche ricordare, per dover di cronaca, che
fino al 1988, l'Iraq era il primo cliente degli Usa per quanto
riguarda la vendita delle armi e che fino a pochi mesi prima
dell'invasione del Kuwait, gli USA hanno continuato a comperare a
basso costo il petrolio iraqeno ( evidentemente il massacro di 5000
civili non turbò più di tanto il governo USA, che non prese alcuna
iniziativa anti-iraqena appena avuta notizia del massacro.) Anche il
Regno Unito non esce pulitissimo dalla faccenda, basti ricordare che
dal 1987 al 1990 le importazioni britanniche di petrolio iraqeno
aumentarono del 400%. Chiediamo troppo se per il 13° anniversario di
Halabja il Dipartimento di Stato USA si decidesse a considerare i
kurdi una nazione e la loro terra il Kurdistan? Grazie.
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