INDAGINE MEDIASET
MILANO — «Non meno di 600 mila dollari», versati «nel 1997 da
Carlo Bernasconi» (manager Fininvest morto nel 2001), «a seguito di
disposizioni di Silvio Berlusconi e al fine di favorire Silvio Berlusconi»,
su conti svizzeri dell'avvocato inglese David Mills affinché costui,
chiamato a testimoniare in inchieste italiane sulla Fininvest, «dichiarasse
il falso, negasse il vero o tacesse in tutto o in parte fatti a sua
conoscenza» in due sue deposizioni dinanzi al Tribunale di Milano: il 20
novembre 1997 nel processo per le tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza
(dove Berlusconi rispondeva di corruzione), e il 12 dicembre 1988 nel
processo All Iberian (che vedeva Berlusconi imputato di finanziamento
illecito al Psi di Craxi e falso in bilancio).
Con questo capo d'imputazione, il presidente del Consiglio e fondatore della
Fininvest ha ricevuto un «invito a comparire» nel quale la Procura di Milano
gli contesta due ipotesi di reato: la corruzione in atti giudiziari del
teste (il testimone di un processo è equiparato a un pubblico ufficiale), e
il concorso nella falsa testimonianza addebitata a Mills.
Tanto l'entourage di Palazzo Chigi quanto l'ambiente della Procura sembrano
aver calato la saracinesca su questa notizia che, in maniera peraltro
imprecisa o incompleta, ha preso a circolare la settimana scorsa in ambienti
politici della maggioranza: per quanto infatti possa apparire incredibile,
l'invito a comparire è stato consegnato da ufficiali della Guardia di
Finanza di Milano allo staff del premier alla fine di novembre, con annessa
convocazione dei due indagati per il 3 dicembre, giorno nel quale né
Berlusconi né Mills si sono però presentati per l'interrogatorio. Riguardano
direttamente Berlusconi entrambe le circostanze su cui Mills (ideatore a
cavallo degli anni '80/'90 dell'architettura all'estero della tesoreria
«parallela» della Fininvest) è accusato di aver mentito. E incrociano i
misteri custoditi da All Iberian, la società off-shore di cui a lungo la
Fininvest negò la paternità; di cui Berlusconi ebbe a ironizzare «con il mio
senso estetico non avrei mai accettato una società con quel nome»; e che
(come però si sarebbe scoperto solo anni dopo), oltre a versare 21 miliardi
di lire a Craxi, nel 1991 aveva bonificato a Cesare Previti i 434.404
dollari istantaneamente girati da Previti al capo dei giudici delle indagini
preliminari romani Renato Squillante (soldi costati a entrambi la condanna
sinora in Appello per corruzione, e valsi a Berlusconi la prescrizione del
reato in Tribunale dopo concessione delle attenuanti generiche negate invece
a Previti).
Nel primo caso, cioè nell'aula del processo per le tangenti Fininvest alla
Guardia di Finanza, il 20 novembre 1997, Mills rispose di aver appreso solo
dai giornali dell'avvio dell'inchiesta All Iberian, quando invece (come egli
stesso ha nel 2004 ammesso in uno dei nuovi interrogatori ancora coperti
però da numerosi omissis) la notte del 23 novembre 1995 aveva avuto
sull'argomento un colloquio telefonico con Berlusconi.
Nel secondo caso, ovvero nella deposizione invece del 12 gennaio 1998
proprio al processo All Iberian, Mills affermò di nulla poter dire sulla
effettiva proprietà delle società offshore Century One e Universal One,
quando invece (come si sarebbe scoperto solo di recente, anche qui con sua
ammissione) «beneficiari economici» delle due società «erano Marina e
Piersilvio Berlusconi sotto il controllo di Silvio Berlusconi».
Con l'invito a comparire, adempimento che di solito arriva quasi alla fine
di una inchiesta (qui i termini per la richiesta di rinvio a giudizio o di
proscioglimento dovrebbero scadere tra meno di un mese, alla fine di
gennaio), emerge di colpo l'iceberg giudiziario la cui punta era affiorata
grazie a un omissis incompleto. Nel «coprire» gran parte del verbale di un
Mills ancora titubante il 7 novembre 2004, infatti, nella primavera scorsa a
pagina 9 era tuttavia sfuggito alla Procura questo passaggio, che aveva
indirettamente svelato indagati e oggetto dell'inchiesta: «Mi auguro non si
possa certo dire che io sia mai stato "comperato"».
Luigi Ferrarella 29 dicembre 2005
Mills : il comparto B
da Repubblica del 19/2/06 di Giovanni Pons
MILANO Silvio Berlusconi, David Mills e la storia dei diritti Tv gonfiati.
Non è il titolo di una soap opera hollywoodiana, ma di una tecnica
sopraffina con cui le telenovelas acquistate in California venivano
importate in Italia a mi costo tre volte superiore. Oggi Berlusconi è
accusato dì corruzione, per aver regalato all'avvocato Mills 600 mila curo
in cambio dì una sostanziale "copertura" nelle deposizioni ai giudici. Ma
per capire occorre tornare agli anni '80, agli albori della tv commerciale
in Italia. O almeno al 1982 quando viene costituita a Londra dallo studio
legale Carnelutti, di cui Mills è il referente, la Cmm, finanziaria
destinata a tirare le fila del "comparto riservato" di Fininvest. Un
arcipelago di società, almeno 61, ricostruito da una perizia della Kpmg,
società di consulenza internazionale, commissionata dalla Procura di Milano
nel novembre 1996 e conclusasi due anni e mezzo dopo.
Proprio in quella perizia si ritrovano le parole di Mills che spiegano la
"ratio" della rete parallela dì società off-shore. «Il Gruppo B è
un'espressione utilizzata per differenziare le società ufficiali del Gruppo
A da quelle, pur controllte nello stesso modo dalla Fininvest, che non
dovevano apparire come società del gruppo per essere tenute fuori del
bilancio consolidato. Un promemoria definiva le società del gruppo B "very
discreet" (molto riservate) perché il collegamento con il gruppo Fininvest
rimanesse segreto». L’arco temporale scandagliato dalla Kpmg va dal 1989 al
1996, l'anno in cui Fininvest portò Mediaset in Borsa riuscendo ad abbattere
un indebitamento di circa 4 mila miliardi di lire su un fatturato di 11.500.
Nei sette anni che portano alla quotazione, il denaro che transita
attraverso le società del Gruppo B è una montagna: secondo la Kpmg si tratta
di almeno 3 mila e 500 miliardi di cui 884 occultati off-shore. Dal 1994 in
poi la rete di società viene in parte smantellata o quantomeno trasferita
alle Bahamas. È dunque ragionevole pensare che le pratiche adottate dalla
Fininvest sui diritti televisivi negli anni '80 e fino al 1996 siano state
poi interrotte o ridotte perché incompatibili con la presenza di azionisti
terzi. Però, fino a quel momento, le pratiche borderline sui diritti tv
possono aver avuto un effetto sul fisco italiano e, se verranno provate,
sulla costituzione di fondi neri all'estero. L'inchiesta sui fondi neri del
gruppo parte infatti nel 2001 quando dalla Svizzera arriva la risposta a una
rogatoria della procura milanese che svela come due società offshore
specializzate in diritti tv, la Universal One e la Century One, farebbero in
realtà riferimento a Mediaset.
Un banchiere che negli anni '80 era creditore del gruppo Fininvest racconta
che la pratica in quegli anni era la seguente. Gli emissari di Fininvest e
Rai andavano a Hollywood a trattare l'acquisto dei diritti. Fissato il
prezzo, non li compravano direttamente ma facevano entrare in gioco le
società offshore, attraverso cui i diritti transitavano e lievitavano di
prezzo. Quando arrivavano in Italia sia Rai sia Fininvest acquistavano i
diritti a prezzi almeno triplicati. Inoltre, poiché i diritti tv venivano
ammortizzati in base ai passaggi televisivi futuri, erano fiscalmente
deducibili. La Fininvest, poi, pagava i diritti con un ampio uso
dell'indebitamento bancario e, secondo alcuni analisti, il prezzo elevato
dei diritti tv unito alla campagna acquisizioni al di fuori del business
televisivo (Mondadori, Standa), ha portato la società di Berlusconi nel 1993
a dover subire la richiesta di rientro crediti.
La Fininvest si salva grazie all’ intervento di alcuni investitori
internazionali, trovati dalla Lehman Brothers e dall'imprenditore tunisino
Tarak Ben Animar: si tratta del sudafricano Rupert a capo della Nethold,
del tedesco Leo Kirch e del principe saudita Al Waleed. Sono loro che nel
1995sottoscrivono un aumento di capitale da 1.247 miliardi di lire nella
Mediaset che un anno dopo sbarcherà in Borsa. Il problema della
supervalutazione dei diritti, però, emerge già in quella fase. Il perito del
Tribunale di Bergamo riscontra una differenza in negativo di 103 miliardi di
lire rispetto ai valori di conferimento in Mediaset del 1993. E la
ricognizione sui conti effettuata dai tre nuovi investitori porta a valori
della library assai inferiori di quelli scritti nei bilanci Fininvest.
Rupert, Kirch e Al Waleed trattano e alla fine pagano le azioni Mediaset
6.200 lire l'una, quando poi nel giugno 1996, in seguito a una nuova
iniezione di diritti nella società per oltre mille miliardi di lire, il
valore di sottoscrizione dei titoli lievita a 7 mila lire.
I tre danno una mano a Berlusconi e nei contempo fanno un affare. Ma un
timore c'è: se la pratica della supervalutazione dei diritti, effettuata
negli anni precedenti attraverso le società di Mills, dovesse troncarsi di
colpo, il prezzo di Borsa crollerebbe. Ciò non è avvenuto e in molti pensano
che l'adeguamento del valore dei diritti sia stato graduale, interessando
anche la fase in cui la società era già quotata. Ora il titolo Mediaset
veleggia intorno ai 10 euro e tutti hanno guadagnato. Rupert, addirittura,
ha incassato un altro miliardo di dollari vendendo a Canal Plus le azioni
Telepiù che aveva acquistato dalla Bil (Banque Internationale à Luxembourg).
La Fininvest per legge poteva avere solo il 10 % della tv a pagamento e
molti ritengono che dietro la Bil ci fosse lo stesso Berlusconi. Non a caso
a trattare la vendita delle azioni a Rupert ci pensò proprio Mills, ma il
magnate sudafricano non avrebbe mai concluso l'affare se quelle azioni
Telepiù non fossero state iscritte nell'attivo della banca. Così era ma
nulla esclude chela Bil fosse stata finanziata dalla Fininvest con un
accordo tacito secondo il quale, se le azioni avessero perso di valore, il
prestito sarebbe stato decurtato di un egual valore. La verità la sa solo
Mills, il quale ha ammesso di aver «tenuto Mr B fuori da un mare di guai nei
quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo».
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