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La politica degli Stati uniti in americalatina: in nome del "destino manifesto"
Mai gli Stati uniti hanno posseduto colonie in America latina. Ma colonie di fatto, sì. Dall'inizio del XIX secolo agli anni '30 la politica del "grosso bastone" - interventi armati e occupazioni di stati sovrani - ha permesso a Washington di preparare il terreno ai dittatori che oltre tutto, per la disgrazia dei popoli, si comportano come dei perfetti supplenti
Maurice Lemoine
Fonte: Le Monde Diplomatique - marzo 05
24 maggio 2005
Il 22 febbraio 1927, anniversario della nascita di
George Washington, l'ambasciatore degli Stati uniti
a Parigi, Myron Herrick, invita a un banchetto i
rappresentanti diplomatici degli stati dell'America
latina membri dell'Unione panamericana. «Gli Stati
uniti non sono avidi di terra - dichiara nel suo
discorso conviviale. Non hanno né il desiderio né il
bisogno di nuovi territori. Come sanno tutte le
persone ben informate, hanno costantemente e
volutamente evitato, nell'ultimo quarantennio,
frequenti e facili occasioni per allargare il
proprio territorio. Chi ci accusa di mire
imperialiste o non conosce la storia o non è sincero
(1)». Con la memoria ottenebrata dalle abbondanti
libagioni e dagli splendori della Ville Lumière,
evidentemente aveva dimenticato qualcosa: il Messico
fatto a pezzi, Cuba in catene, Haiti e la Repubblica
dominicana sotto controllo, Panama strappata alla
Colombia, l'invasione del Nicaragua, l'annessione
delle Filippine.
Nel 1823, nel suo messaggio al Congresso, il
presidente degli Stati uniti James Monroe lanciò la
dottrina che consegnerà il suo nome alla storia.
Mentre crolla l'Impero iberico, ridestando le
bramosie britanniche, egli rifiuta qualsiasi
intervento europeo negli affari delle Americhe. La
cosa risponderebbe agli interessi generali se non
fosse che, con il pretesto di lottare contro il
colonialismo straniero, la politica estera degli
Stati uniti non punterà da quel momento a costituire
un blocco continentale su cui Washington aspirava
già a instaurare il proprio dominio.
Senza peritarsi troppo della credibilità delle loro
giustificazioni, gli Usa intervengono manu militari
nel 1824 a Porto Rico, nel 1831 in Argentina, nel
1845 e poi nel 1847 in Messico, nel 1857 in
Nicaragua, nel 1860 nella provincia di Panama e di
nuovo in Nicaragua. Al punto che, nel 1847, i
governi di Cile, Bolivia, Ecuador, Nuova Grenada
(Colombia) e Perù si riuniscono a Lima per esaminare
i problemi posti da questo interventismo Usa. L'anno
successivo, nel 1848, la guerra contro il Messico
conferma le loro preoccupazioni: dal Texas alla
California, gli Stati uniti si annettono metà del
territorio del paese vicino.
Una volta conclusa la Guerra di secessione,
l'America del Nord diventa consapevole della sua
immensa potenza. A partire dal 1880, dopo aver
completato anche la conquista dei territori
dell'Ovest, si volge decisamente verso Sud. Sotto la
presidenza del generale Grant (1869-1877), la teoria
del «Destino manifesto» espone senza tanti orpelli
il progetto degli Stati uniti: controllare il
continente da una costa all'altra.
Certo, hanno sempre molto a cuore la mistica della
«difesa della democrazia». Ma la applicano
attraverso la politica del big stick e l'invio dei
marines. Agli interventi militari specifici si
alternano le invasioni seguite dalla istituzione di
protettorati.
Rimasta sotto dominio spagnolo mentre le altre
colonie d'America ottenevano l'indipendenza, Cuba si
ribella. Dal 1895, José Marti vi porta avanti una
seconda guerra d'indipendenza. Il 15 febbraio 1898,
in condizioni misteriose, la corazzata americana US
Maine esplode nel porto dell'Avana. Prendendo a
pretesto tale incidente, il presidente McKinley
scatena il conflitto contro la Spagna. Riportata una
facile vittoria sulle truppe iberiche con una
«magnifica piccola guerra», come soleva definirla
Theodore Roosevelt, le forze armate americane
prendono possesso di Porto Rico (2). Col Trattato di
Parigi del 10 dicembre 1898, la Spagna rinunzia
anche a Cuba e alle Filippine.
Sotto la pressione dell'occupazione militare, Cuba
«liberata» deve accettare di aggiungere un'appendice
alla sua Costituzione, l'emendamento Platt, votato
dal Senato americano nel 1901. In base a tale
emendamento, l'Avana deve accettare un diritto di
intervento degli Stati uniti per «conservare
l'indipendenza cubana (sic)», e mantenere al potere
un governo che protegga «la vita, la proprietà e le
libertà individuali».
«Onde porre gli Stati uniti nelle condizioni volute
per mantenere l'indipendenza di Cuba e proteggere il
suo popolo, così come per la propria difesa -
precisa il documento - il governo di Cuba venderà o
cederà in prestito agli Stati uniti il territorio
necessario a costituire depositi di carbone e
stazioni navali in alcuni punti stabiliti (...)». È
questo l'atto di nascita della base di Guantanamo
(3).
L'isola ha perso l'indipendenza ancor prima di
averla conquistata.
Ingerendosi nella sua politica interna, nelle sue
istituzioni, nel suo sistema elettorale, nel suo
regime fiscale, gli Stati uniti intervengono manu
militari nel 1906, 1912 e 1917. Protettorato
americano fino al 1934, Cuba successivamente avrà
una serie di governi privi di poteri reali.
«Il persistere a comportarsi male, o l'impotenza che
porta a un allentamento generale dei vincoli tipici
di una società civile, possono rendere necessario
alla fine, in America come altrove, l'intervento di
qualche paese civile. Nell'emisfero occidentale,
l'adesione degli Stati uniti alla dottrina di Monroe
può costringerli, in casi flagranti in cui si
trovano di fronte a tale cattivo comportamento, o a
tale impotenza, ad esercitare un potere
internazionale di polizia, per quanto siano
riluttanti a farlo». Eletto presidente, Theodore
Roosevelt ha lanciato, nel 1903, questo avvertimento
«corollario della dottrina di Monroe».
Per obbligare gli stati latino-americani a
rispettare i loro «obblighi internazionali» e «la
giustizia nei confronti degli stranieri» (vale a
dire i crediti delle nascenti multinazionali), per
«apportare il progresso» e la «democrazia» ai
«popoli arretrati», i marines sbarcano una volta
dopo l'altra in Messico, in Guatemala, in Nicaragua,
in Colombia, in Ecuador. Meno ipocrita, il
presidente Taft dichiara nel 1912: «L'emisfero
intero ci apparterrà, così come ci appartiene già
moralmente per la superiorità della nostra razza».
Senza alcuna parvenza di conquista territoriale o di
dichiarazione di guerra, lo status di una repubblica
latina indipendente diventa inferiore a quello di un
semplice stato degli Usa, in cui l'intervento del
governo federale di Washington si esercita soltanto
in casi molto limitati e richiede comunque
l'autorizzazione del Congresso federale (4). La
difesa della sovranità nazionale si trasforma in una
ribellione contro la potenza che si è arrogata il
protettorato di queste repubbliche, e viene
soffocata nel sangue, a vantaggio di interessi
influenti più che della civiltà.
Dopo la prima concessione ottenuta dal Costarica nel
1878, la United Fruit Company (Ufco) si è ritagliata
un impero bananiero su misura, sulle coste
atlantiche dell'America centrale (così come della
Colombia e del Venezuela). I suoi milioni di ettari
e le sue proprietà costituiscono veri e propri regni
indipendenti. Si tratta di difenderne gli interessi.
Sotto la tutela ispirata di quello che definisce il
suo «goodwill», lo zio Sam - gibus enorme, panciotto
e pantaloni a stelle e strisce come la bandiera
americana - interviene per via diplomatica e
militare, motu proprio, senza alcun controllo, nelle
questioni interne di queste repubbliche.
Si tratta certo di paesi turbolenti, che spesso
vivono in uno stato di anarchia cronica e di
disordine finanziario. Ma certi precedenti -
l'etnocidio dei Pellerossa e la guerra di secessione
- non autorizzano certo il grande vicino del nord ad
atteggiarsi a maestro e a modello.
In questa regione, oltre a difendere i propri
interessi economici, intende semplicemente
assicurarsi il possesso di un futuro canale che
colleghi l'Atlantico al Pacifico.
Dato che la Colombia tardava troppo per acconsentire
alle condizioni impostele per cedere «per cento
anni» questa futura via d'acqua nella provincia di
Panama, gli Stati uniti ne favoriscono la secessione
nel 1903. In cambio di 10 milioni di dollari, il
trattato Hay-Brunau-Varilla del 18 novembre concede
loro l'uso perpetuo del canale e di un'area di otto
chilometri su ognuna delle due sponde; così come la
sovranità assoluta su tutto il complesso. Un
trattato d'alleanza concluso nel 1926 aggrava
vieppiù tali servitù d'uso. L'articolo 6 conferisce
a Washington diritti speciali in tempo di guerra,
facendo virtualmente di Panama, dal punto di vista
militare, un nuovo stato dell'Unione.
Tuttavia, la «diplomazia del dollaro» rivela il suo
aspetto più imperiale e imperioso in Nicaragua.
Anche lì si tratta di assicurarsi il possesso del
futuro canale interoceanico di cui non si è ancora
stabilito il tracciato definitivo. Dopo un primo
sbarco nel 1853 per «proteggere la vita e gli
interessi dei cittadini americani», i marines
tornano nel 1912 per spezzare la resistenza dei
liberali, che rifiutavano di negoziare con gli Stati
uniti un prestito in base al quale questi ultimi
avrebbero ottenuto il controllo finanziario del
Nicaragua.
Una volta salito al potere, il presidente Adolfo
Diaz contratta il famigerato prestito, fornendo come
garanzia le entrate doganali e accettando un
controllore generale americano delle dogane,
nominato dai banchieri di New York con il
beneplacito del Dipartimento di stato. Risale a quei
tempi l'insediamento a Managua di una guarnigione
americana, che vi è rimasta per ben tredici anni,
dal 1912 al 1925.
Nel frattempo, nel 1914, il trattato Bryan-Chamorro
ha dato agli Stati uniti i diritti esclusivi di
costruzione di questo canale senza fine.
I marines tornano sulla scena nel 1927, dopo che il
conservatore Emiliano Chamorro, loro protetto, ha
riconquistato il potere con un colpo di forza. Ci
vorrà la lunga e impari lotta degli «outlaws» del
«piccolo esercito folle» di Augusto Cesar Sandino
per convincerli a riprendere la via di casa nel
1932. Durante tale periodo, gli Stati uniti hanno
creato una Guardia nazionale il cui jefe director
sarà un marine fino al 1932, prima di passare le
consegne al generale Anastasio «Tacho» Somoza.
In Honduras, gli Stati uniti sono intervenuti
ripetutamente nel 1903, 1905, 1919 e 1924 per
«ripristinare l'ordine» (soprattutto quello caro
alla United Fruit e alle compagnie create per lo
sfruttamento dei territori, delle miniere e delle
foreste). Nel 1915, la grande democrazia americana
ha soffocato senza dare nell'occhio anche la piccola
Repubblica di Haiti. Sbarcato alla testa di una
forza di spedizione a Port aux Princes, l'ammiraglio
William B. Caperton impose al governo una
convenzione le cui clausole, sotto una parvenza di
legalità e di volontario consenso, consegnavano agli
americani l'amministrazione civile e militare, le
finanze, le dogane e la banca di stato (sostituita
dalla National City Bank). Per domare la resistenza,
l'ammiraglio proclamò la legge marziale su tutto il
territorio. Stesso discorso e stessa legge marziale
nella Repubblica dominicana, laddove la Convenzione
dell'8 febbraio 1907 permette agli invasori di
amministrare le dogane e di distribuirne gli
introiti ai creditori stranieri.
A questa politica del big stick il presidente
democratico Franklin D. Roosevelt sostituisce nel
1934 la politica del «good neighbourhood» (buon
vicinato). La Conferenza per il mantenimento della
pace (Buenos Aires, 1936) e l'ottava Conferenza
degli stati americani (Lima, 1938) riaffermano la
sovranità assoluta di ciascun paese. Ma, durante la
fase dei protettorati, gli Stati uniti sono riusciti
a organizzare regime autoritari stabili, che si
appoggiano alle forze armate locali, devote ai loro
interessi. La politica di buon vicinato significherà
quindi sostenere tutta una serie di dittatori, da
Rafael Leonidas Trujillo nella Repubblica
dominicana, a Juan Vicente Gomez in Venezuela, Jorge
Ubico in Guatemala, Tiburcio Carias in Honduras,
Fulgencio Batista a Cuba, e alla dinastia dei Somoza
in Nicaragua.
Note:
(1) In Louis Guilaine, L'Amérique latine et
l'impérialisme américain, Armand Colin, Parigi,
1928.
(2) L'isola è sottoposta a un vago regime autonomo sotto l'autorità di
un governatore americano. Nel 1917, dopo lunghe
e ripetute proteste dei leader portoricani
presso il Congresso, viene concessa la
cittadinanza a tutti i portoricani che la
desiderano. Nel 1952, l'isola ottiene il
riconoscimento di stato libero associato,
tuttora in vigore.
(3) All'epoca Washington ricevette le basi di
Guantanamo e Bahia Honda, ma quest'ultima è
stata restituita nel 1912 in cambio
dell'ampliamento della base di Guantanamo.
(4) Louis Guillaine, op. cit.
(Traduzione di R. I.)