settembre 1995
da home page matematto
L’impressione, e soprattutto l’augurio, é
che non faticherete molto ad orientarvi in questa sorta di
articolo-inchiesta. Anche se é pur vero che il binomio
Muccioli-S.Patrignano non é mai stato foriero di pacate (seppur
approfondite) analisi, da qualsiasi punto di vista esse fossero fatte.
In queste righe non avrò certo l’ardire di emettere sentenze, ma di una
cosa sono sicuro: quello che i mezzi di informazione ci hanno sbolognato
su Muccioli non é mai stato, nella quasi totalità dei casi, un giudizio
pienamente obiettivo. E appunto partendo da tale convinzione che ho
compiuto una ricerca bibliografica sul settimanale CUORE facendo
riferimento ai lavori di Anna Tagliacarne, Luisa Pronzato, Roberto Duiz,
Claudio Sabelli Fioretti, Pier Maria Romani tra i soli ai quali va il
merito di aver cercato di documentare anche l’altra faccia della
medaglia, quella che forse costerà disagio, meraviglia, propri di coloro
ai quali viene repentinamente prospettata una realtà diametralmente
opposta a quella magari fino a quel momento immaginata.
Mi auguro solo di riuscire a instillare in voi il dubbio che forse
Muccioli non era quello stinco di Santo che vogliono farci credere, ma
soltanto un uomo che non considerava i tossicodipendenti come titolari
di tutti i diritti ascrivibili ad una persona, ma uomini e donne da
dover sottomettere per cercare di sostituire la sua volontà alla loro,
in una sorta di delirio di onnipotenza.
SanPa non é l’unica comunità per il recupero dei tossici e nelle altre,
per niente pubblicizzate, non si usano gli stessi metodi, pur
raggiungendo e forse superando gli stessi risultati.
la collina degli spiriti
Negli anni settanta Vincenzo Muccioli lavorava come albergatore
all’hotel Stella polare di proprietà della moglie, signora Antonietta,
che a sua volta l’aveva ereditato dai genitori.
Per essere precisi Muccioli un lavoro vero e proprio non ce lo aveva mai
avuto anche per l’agiata posizione economica che il padre, assicuratore
e proprietario terriero, aveva raggiunto in quel di Rimini. E chissà, fu
forse per ingannare la noia di una vita monotona che non riusciva a
frenare il suo bisogno di evadere dalla normalità, che Vincenzo si
avvicinò seppur tiepidamente alle pratiche medianiche, con l’aiuto di un
suo amico, Luciano Rossi. Fu solo più tardi però, ormai quarantenne, che
scoprì di possedere doti da medium e di essere in grado di captare
messaggi extrasensoriali.
La cosa doveva essere di grande impatto emotivo (Muccioli durante le
sedute andava in trance e identificandosi col Cristo predicava la
comunione dei beni) perché nel giro di poco tempo quei pochi che
assistevano diventarono sempre più, fino a costituirsi in un gruppo, il
Cenacolo che si trasferì sulla collina benedetta di S. Patrignano, di
proprietà di Vincenzo, dove tutti insieme si coltivava la Vigna del
Signore. E poiché Muccioli predicava vita umile e povertà i proventi di
questo lavoro, rigorosamente gratuito, sarebbero stati devoluti ai
bisognosi. Risulta superfluo precisare, a questo punto, che gli adepti
del Cenacolo venivano invitati a privarsi dei loro beni terreni e a
rinunciare alle tentazioni della carne. Un po' meno, invece, che per
stupire gli spettatori Vincenzo si presentasse con graffi sul costato e
i piedi, annunciando loro di avere le stimmate. «L’ho visto attraverso
una finestra mentre si praticava dei tagli sulle mani con un trincetto
per la pelle, prima di una seduta medianica» dichiarerà in tribunale
Lino Grossi.
Come sempre in questi casi i più suggestionabili non riuscivano a dare a
queste esperienze la giusta dimensione e finivano per cadere in uno
stato di dedizione assoluta che si rifletteva negativamente persino
sulla loro vita familiare.
«Sono convinta che mio marito sia stato plagiato dal Muccioli e che
costui l’abbia messo contro di me» é la dichiarazione rilasciata al
giudice istruttore da una donna, Maria Teresa Tusino che nel ‘78 sporse
denuncia contro il marito, Giulio Canini, che l’aveva picchiata per il
suo rifiuto a che il figlioletto lo seguisse in comunità. Giulio Canini
é morto suicida qualche anno dopo per cause non del tutto chiare e
sembra lasciando un diario che non é mai stato ritrovato.
Nel frattempo la Vigna del Signore andava sempre meglio e diventava
sempre più affollata anche da quei tossicodipendenti che cominciavano ad
arrivare per farsi curare.
Evidentemente però, non tutti gli adepti dovevano essere così
sprovveduti perché alla richiesta di due loro, Bruno Camosetti e
Guerrino Pieri, di vederci chiaro sull’effettiva destinazione dei
proventi della Vigna dove si allevavano anche cani, cigni e pollame,
l’autorità giudiziaria arrivò a dimostrare che unici beneficiari di
alcuni degli assegni rintracciati erano stati Muccioli e sua zia
Serafina.
Ormai, però, l’attività principale di S. Patrignano era quella di centro
d'accoglienza per i tossicodipendenti che arrivavano a supplicare
assistenza e l’iniziale piccola Vigna del Signore é oggi diventata
un’estensione di 220 ettari di terreno dove 2189 tossicodipendenti e
non, fatturano, con le varie attività produttive, circa 22 miliardi
annui: laboratori di falegnameria, la tristemente nota pellicceria,
allevamenti di ogni genere (quello con i 300 purosangue da gare
internazionali é considerato il migliore d’Europa, ma dei cavalli ne
riparleremo) e perfino un ospedale all’avanguardia per la cura dei
malati di Aids inaugurato nientepopodimeno che da tre dei ministri del
governo Berlusconi (Costa, sanità; Guidi, famiglia; Biondi, giustizia).
Un vero e proprio marchio di garanzia per la struttura, peccato che la
stessa sia stata costruita in gran parte abusivamente. Ma niente paura;
non può certo una quisquilia del genere fermare il guru di S. Patrignano.
E qui entra in gioco un altro aspetto dell’inesauribile Vincenzo: le
amicizie influenti. Il 24 settembre 1994 al Comune di Coriano, di cui
SanPa é frazione, arrivano, presentate dal geometra della comunità,
Sergio Pierini, trentuno richieste di sanatoria per abuso edilizio
perpetrato, guarda un po', proprio quando del Comune era Sindaco (PCI)
lo stesso Pierini. Il perché, poi, della richiesta a che le pratiche
fossero protocollate immediatamente, si capirà solo quando, tre giorni
più tardi, arriverà un decreto approvato dal consiglio dei ministri che
conferisce agli edifici adibiti a comunità terapeutiche e a quelli per
l’inserimento sociosanitario nelle stesse, la qualifica di opere
pubbliche indifferibili e urgenti che pertanto sono esonerate dal
pagamento degli oneri di concessione oltre alla possibilità di una loro
realizzazione in deroga agli strumenti urbanistici. In soldoni :
Vincenzone avrebbe potuto, d’ora in poi, costruire tutto quanto voleva
senza alcun permesso, risparmiare i circa quattro miliardi che avrebbe
dovuto versare per il condono degli abusi già fatti e, di fatto, dunque,
condonare l’intera S. Patrignano, compresa la sua villa, alla quale
torneremo comunque fra poco. Muccioli, quindi, sapeva almeno tre giorni
prima della sua firma, dell’esistenza del decreto legge; questo,
chiaramente nella più innocente delle ipotesi.
Ma le sue amicizie non si fermano certo a quelle arcinote, politiche:
Craxi, De Lorenzo, Benvenuto (che addirittura si vanta di averci fatto
un Primo Maggio a SanPa), ma anche e soprattutto giornalisti, o meglio
chi a una parte di loro dà lavoro: Letizia Moratti, presidentessa della
Rai e moglie di quel Gianmarco Moratti, petroliere, assieme al quale
trascorre i suoi fine settimana proprio nella comunità in una villa
accanto a quella del guru. E con questo credo di aver fugato anche i
vostri ultimi, più ostinati dubbi, sul perché di tutta la piaggeria che
la televisione di Stato (!) ci ha vomitato addosso ogni qualvolta si é
toccato il tasto-Muccioli, negli ultimi tempi.
Ma eccoci alla villa: «Una villa principesca. Una villa di circa 1500
metri quadri, con un grande parco recintato, con fagiani, galli cedroni,
fenicotteri rosa. Una volta c’erano anche i daini. E una gabbia con le
pantere. In cantina c’é la Jacuzzi, l’acquario di pesci tropicali, la
sauna, la cantina di vini pregiati del figlio, il caveau blindato. Per
non parlare del parco macchine: suo figlio Andrea la Mercedes 300 e lo
scooterone Honda, suo figlio Giacomo la Porsche Carrera cabrio e la Bmw
K100 oltre ad una Range Rover per le gare di autocross. Lui, Vincenzo,
girava con la Mercedes 600, la moglie con una Bmw 318 familiare. E
infine il personale di servizio. C’era un maggiordomo in livrea che
serviva il the su vassoi d’argento e in guanti bianchi. E cinque fra
cameriere e stiratrici». A parlare é Roberto Assirelli, testimone contro
Muccioli al processo per il delitto Maranzano. Ha lavorato tredici anni
a SanPa dove é entrato come tossico e ne é uscito guarito: oggi é
assessore PDS al bilancio e alla cultura al comune di Coriano.
A onor del vero va precisato che Muccioli aveva regalato tutti i beni
immobili di appartenenza della comunità alla Fondazione S. Patrignano,
nata sul finire del 1985, qualche mese dopo la sua condanna nel 6/2/85
per gli incatenamenti e prima dell’assoluzione in appello il 28/11/87.
Col trucco, però, niente paura. L’art. 11 dello statuto recita: «se
entro tre anni dal riconoscimento della personalità giuridica (cioè
entro il 26 marzo 1994), il patrimonio della fondazione supera la soglia
dei quattro miliardi la casa potrà ritornare di proprietà dei figli se
ne faranno richiesta entro il 2001. Richiesta da inoltrare al Presidente
della Fondazione», cioè Muccioli stesso! (per la cronaca, oggi SanPa è
valutato oltre 30 miliardi). E i macchinari, i beni mobili, i
famosissimi cavalli, di chi sono?
Già, i cavalli. Per loro Vincenzo non ha mai badato a spese: si dice che
Wejawey sia stato acquistato per due miliardi e trecento milioni mentre
Kassandra per soli due miliardi. E Roberto Assirelli ha detto che per
acquistare purosangue veniva spedito in giro per l’Europa, con i soldi
nascosti in un doppio fondo delle auto che venivano all’uopo preparate
per la comunità in un autosalone di Milano; ma che c’entra questo con il
recupero dei tossicodipendenti?
Il famoso metodo Muccioli
Siamo nel ‘79 quando ai carabinieri arriva un ritaglio di giornale con
su scritto: «Sono prigioniero di queste persone. Telefonate alla polizia
o ai carabinieri. Ho già avuto 7 collassi e sto malissimo». Il
ventisettenne Paolo Morosini, sottoposto a cura intensiva di
disintossicazione, era stato imprigionato da quattro giorni. La vicenda
non ha comunque un seguito perché Muccioli si discolperà affermando «i
drogati sono gente capace di intendere ma non di volere».
Non va a finire allo stesso modo, invece, in un’altra occasione: il 28
ottobre 1980 una ragazza di ventitré anni, Maria Rosa Cesarini, si
presenta alla squadra mobile di Forlì raccontando di essere fuggita da
S. Patrignano dopo essere stata rinchiusa per sedici (!) giorni in una
piccionaia. Quando i poliziotti irrompono nella comunità, trovano
Luciano Rubini e Leonardo Biagiotti incatenati in due locali usati come
canile, Marco Marcello Costi incatenato alla porta in ferro di un locale
di tre metri per uno e Massimo Sola incatenato ad un manufatto adibito a
colombaia. Tutte queste persone deporranno qualche giorno dopo; tutte
tranne una, Leonardo Biagiotti, trovato morto sulla linea ferroviaria a
Castelfranco Emilia, diretto a Milano, caduto dal treno. Vincenzone
viene arrestato con alcuni suoi collaboratori e imprigionato per un
mese; il processo verrà tenuto quattro anni più tardi e finirà con una
condanna a venti mesi per Muccioli in primo grado e assoluzione in
appello. Ma veniamo alle testimonianze di tutti quelli che hanno deposto
all’altro, ben più grave e recente processo che ha investito Muccioli:
quello per l’omicidio di Maranzano, ammazzato nel reparto manutenzione.
A rispondere é Claudio Ghira, ex-medico di S. Patrignano: -Cosa
succedeva alla manutenzione?- «Pestaggi e cure successive. Ricordo una
testa spaccata e ricucita con una ventina di punti. E una milza esplosa
a pugni» -Ci sono stati altri morti oltre a Maranzano?- «No, in quel
modo no.» -In altri modi?- «Molti dei suicidi della comunità sono
quantomeno sospetti...» -Si poteva entrare al reparto manutenzione?-
«No. Ci sono due medici presenti 24 ore su 24. E poi Capogreco, il
responsabile del reparto» -Ma che medici sono se non denunciano questi
metodi?- «Credono in Muccioli. Se sei dentro é perché gli credi» -I
rapporti sessuali sono controllati da Muccioli?- «Certo, ma nessuno
controlla i suoi. Eppure quante volte lo abbiamo visto a letto con i
ragazzi più giovani? Per molti di noi, però, almeno fino a quando non si
riesce a passare dalla fase acritica, anche quello viene visto come un
modo per stare vicino ad una persona che sta male» -Parli di rapporti
omosessuali forzati?- «So di un ragazzo milanese che sicuramente ha
visto i suoi problemi aumentare proprio per le eccessive attenzioni del
babbo. Il capo amava soprattutto avere rapporti orali. Diceva che anche
quelli servivano per far passare energia positiva da lui ai suoi
discepoli» -Voci? Leggende di S. Patrignano?- «No, io stesso ho visto
Muccioli a letto con uno dei suoi ragazzi» -E dov’é oggi?- «E’ morto di
Aids».
Ma il principale accusatore di Muccioli é, in questo processo, il
carceriere Raimondo Crivellin in comunità noto come Piedini. Ha
confessato oltre 500 sequestri di persona compiuti in sette anni di
permanenza nella comunità, pestaggi, inseguimenti; alla fine deporrà per
quasi cinque ore. «Tutti i giorni inseguivo tossici che scappavano da S.
Patrignano. Tutti i giorni ne riportavo. Tutti i giorni ne picchiavo.
Tutti i giorni ne rinchiudevo, soprattutto nella cassaforte della
pellicceria. Un luogo angusto, senza finestre. Per ogni nuovo ospite
Michelone cambiava combinazione alla cassaforte. Ho passato sette anni a
S. Patrignano e il mio compito é sempre stato quello. Non sapevo mai la
ragione di una punizione: eseguivo ordini di Muccioli». Piedini agiva
insieme a Franchino e Toto, Paro-Paro e Sebastiano, tutti nella squadra
punitiva. «Bastava che ci dirigessimo verso qualcuno perché il terrore
gli si dipingesse sul viso. Muccioli sa come far sentire importanti,
soprattutto le menti semplici. Ha scelto me perché ero un cretino. Ho
creduto in Muccioli ciecamente. E ho sbagliato». E a proposito di un
suicidio: «Dopo il primo suicidio, quello di Gabriele Di Paola, Muccioli
mi ordinò di portare via i venti ospiti della manutenzione, il carcere
della comunità. Di notte con due furgoni e qualche macchina insieme a
Toto, Paro-Paro, Sebastiano e Franchino partimmo per la comunità di
Botticella (é una comunità satellite di SanPa, ndr). L’obiettivo era far
scomparire testimoni scomodi in un periodo in cui la comunità era tenuta
d’occhio dalla polizia. Passammo due mesi vivendo da re». E interrogato
sul perché dei sospetti sul suicidio: «Io l’ho visto cadere, ma non so
come ha fatto a precipitare per venti metri con la faccia rivolta verso
il muro. L’ho sentito gridare “No, no”, ho visto che cercava di
aggrapparsi a qualcosa, senza riuscirci. Quando sono corso verso di lui
era morto. Il giorno dopo Natalia Berla é scivolata fuori da un
finestrino piccolissimo, ma noi eravamo già in montagna a divertirci».E
ancora: «Una volta ho chiuso anche Franco Capogreco in cassaforte. Ha
urlato tutta la notte perché soffre di claustrofobia. Quando é uscito
era cianotico. Andava punito, ma non lo so perché. Lo dirà lui ai
giudici». Poi é il turno di Paro-Paro, Marco Ghezzo: «Da S. Patrignano
sono scappate migliaia di persone. Sono molti di più quelli che scappano
che quelli guariti. Lui i guariti li conta ogni volta che escono. Se uno
entra tre volte ed esce tre volte vale per tre guarigioni».
Per finire la testimonianza (a mezzo lettera, non é una deposizione) di
una ragazza, Elisabetta Di Giovanni che oggi ha ventinove anni e che
entrò nella comunità per la prima volta a sedici anni e che é uscita
dalla droga solo molto tempo dopo aver lasciato S. Patrignano, con
l’aiuto di Don Gino Sacchetti. «Durante la mia seconda permanenza a
SanPa in due anni visitai quasi tutti i luoghi di prigionia. Venti
giorni in piccionaia, un luogo circolare molto angusto, dipinto di
arancione e in discesa, dove ti sentivi letteralmente impazzire. Due
mesi al buio nella cassaforte della pellicceria insieme ad un dobermann
malato. In un vecchio casolare abbandonato sdraiata e incatenata con
tutte e due le braccia alla spalliera del letto. Mi veniva liberato un
braccio due volte al giorno per mangiare, mentre per i bisogni
fisiologici bastava un secchio sotto il letto. Una chiusura un po' più
soft invece (quattro mesi in camera), la affrontai a causa di Marco
Rossetti di Bologna. Malauguratamente chiedemmo a Muccioli il permesso
di conoscerci. Dopo qualche mese di mano nella mano, non ne potevamo più
e consumammo il turpe gesto. Marco, pentito, corse a raccontarlo al
babbo e il risultato per me fu la chiusura dopo un’infinita serie di
“gran puttana” in tutte le salse. A lui Vincenzo diede una pacca sulla
spalla. Ma la chiusura più terribile, per quanto la più breve, fu una
settimana nella botte. Si, un tino vero e proprio, di ferro, dove potevi
stare accovacciata e dove una volta al giorno ti passavano il cibo da
uno sportellino, il tutto ad un palmo dal solito secchio con gli
escrementi. Non avevo ucciso nessuno, ma ben più grave era la mia colpa:
ero entrata nella contestazione. Vincenzo aveva rinchiuso, sempre per
futili motivi, tre ragazze considerate da tutti ed anche da lui stesso
fino a qualche giorno prima, guarite. Consuelo, Martina ed Alice, anche
loro contestatarie. Le aveva rinchiuse in un casolare e siccome non
soffrivano abbastanza, dopo qualche giorno sospese loro i viveri. Era
terribile passare da quel capannone e sentire tutto il giorno le povere
tre cantare. Mi sentivo ad Auschwitz. Dopo qualche giorno fece portare
Alice, la più fragile delle tre, leggermente handicappata, sul piazzale
e, con una macchinetta, le rasò i capelli, tra battute deplorevoli e
risate grasse. Alice di Roma riuscì a scappare e la ritrovarono
l’indomani morta per overdose in Piazza Tre Martiri. Criticai
pesantemente l’operato del mio padre-padrone che mi fece rinchiudere
nella botte. ...E’ difficile parlare di SanPa. Ci sarebbe troppo e
ancora troppo da dire: mille episodi, tutti eloquenti e dolorosi, ma il
vero problema é che lo Stato italiano consideri recupero dei
tossicodipendenti quello che avviene a S. Patrignano. Alfio Russo? L’ho
conosciuto e sarei pronta a giurare che le cose siano andate pressappoco
così. Maranzano con le sue fughe rompeva, e Vincenzo ha deciso di
metterlo nel settore punitivo: nelle mani di quel pazzo violento, col
cervello di un bambino di due anni. Sicuramente ha anche raccomandato ad
Alfio di essere particolarmente duro e di farlo scoppiare per bene.
Alfio felice, non se lo sarà fatto ripetere due volte e per il povero
Maranzano si devono essere aperte le porte dell’inferno. Poi, poi forse
una reazione, anche debole, minima ed Alfio ha dato sfogo alla sua
furia. Poi succede l’irreparabile e via di corsa dal capo a cercare la
soluzione. Soluzione che Vincenzo, scommetto senza scaldarsi più di
tanto, ha trovato nella discarica. E’ impossibile, per chi é stato a S.
Patrignano credere che Vincenzo non fosse al corrente di tutto. »
Io non credo in un aldilà, non so voi; ma se esiste non vorrei essere
nei panni del fantasma di Muccioli quando incontrerà quello di Roberto
Maranzano.
matematto
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