Le informative segrete
del Sisde dopo la lettura in aula del proclama di Leoluca Bagarella
OGGETTO: Intervento di Leoluca Bagarella al processo di Trapani.
http://www.societacivile.it/memoria/articoli_memoria/sisde.html
1. Il 12 luglio scorso, durante
un’udienza di un processo
a Trapani, Leoluca Bagarella, intervenuto in video-conferenza, ha
fatto un intervento – a nome di tutti i detenuti del carcere
dell’Aquila sottoposti a regime carcerario “duro” – contro
l’articolo 41 bis.
Si è trattato di un’iniziativa senza precedenti nella storia di Cosa
Nostra, un’iniziativa che si iscrive in una campagna di pressione
condotta dai mafiosi con strumenti non brutali ma piuttosto
sofisticati, che mira ad una revisione del regime carcerario cui
sono sottoposti.
Il 41 bis non soltanto rende più “dura” la vita quotidiana
all’interno del carcere ma soprattutto – e questo per Cosa Nostra è
intollerabile – rende molto difficili i collegamenti con l’esterno.
I capi di Cosa Nostra detenuti se non riescono a far recapitare i
loro ordini all’esterno perdono il controllo delle famiglie e con
l’andare del tempo, vengono di fatto delegittimati.
Bagarella, nel suo inedito comunicato, ha parlato di “promesse non
mantenute” e di strumentalizzazioni “politiche”.
La protesta di Bagarella segue di qualche mese un’altra inconsueta
iniziativa mafiosa: nel marzo scorso Pietro Aglieri ha scritto una
lettera al Procuratore Nazionale Antimafia, Vigna, e al Procuratore
Capo di Palermo, grasso, nella quale viene rivolto un appello alle
istituzioni che con “lungimiranza” dovrebbero garantire anche ai
mafiosi “processi equi”.
Tra marzo e luglio, e cioè tra la lettera di Aglieri e quella di
Bagarella, la risposta del ceto politico alle istanze di Cosa Nostra
è stata totalmente negativa: il progetto di legge Pepe-Saponaro, che
prevede effetti retroattivi della riforma del giusto processo (con
evidenti ricadute positive anche sulla posizione di mafiosi
condannati) non procede, mentre sul 41 bis, tutte le forze
politiche, pressoché all’unanimità, si sono espresse contro
l’abolizione e a favore di eventuali ulteriori inasprimenti. La
situazione vede dunque i capi di Cosa Nostra di fronte ad una
vanificazione delle speranze, alla quale è verosimile intendano
reagire.
2. In questo momento, secondo attendibili fonti d‘ambiente,
Cosa Nostra, superata la crisi degli anni ’90 è tornata ad essere
decisamente forte in termini economici, di controllo del territorio
e di infiltrazione nei settori più sensibili della società
siciliana.
Questo stato di cose rende ancora più impellente l’esigenza, per la
mafia, di mantenere aperti quei collegamenti tra latitanti e capi
detenuti, che il 41 bis rende molto precari. A ciò si aggiunga lo
stato di disagio dei quadri medio-bassi dell’organizzazione: infatti
mentre i capi riescono comunque a garantire un elevato livello di
vita ai propri familiari, per i gregari, tagliati fuori dagli
affari, e per le loro famiglie la situazione è più difficile. Per
questo, come dimostrano le iniziative di Aglieri e di Bagarella e le
informazioni d’ambiente, i boss hanno deciso di “non accettare”
comunque il protrarsi di questo status.
Le stesse fonti indicano che, vista l’inefficacia delle proposte di
“pacificazione”, i capi di Cosa Nostra in carcere potrebbero aver
deciso di reagire con gli strumenti criminali tradizionali colpendo
obiettivi ritenuti paganti.
Secondo le stesse fonti avrebbero però affermato l’intenzione
“stavolta…” di “non fare eroi”.
3.
Queste informazioni analizzate alla luce:
- delle intercettazione di telefonate pubblicate anche dalla stampa,
tra Bernardo Provenzano e Pino Lipari, dalle quali si evince che le
stragi del ‘92 (Falcone-Borsellino) e del ’93 (attentati di
Roma-Firenze-Milano) sono state un errore (“con lo Stato non si fa
la guerra, ma si deve convivere”);
- degli effetti indubbiamente controproducenti per tutta
l’organizzazione mafiosa di una strategia di contrapposizione
frontale con le istituzioni;
- dell’inefficacia delle “proposte” di Aglieri e della protesta di
Bagarella,
inducono a ritenere altamente probabile che, a breve o medio
termine, Cosa Nostra torni a colpire selettivamente e
simbolicamente, evitando, però, le ricadute negative di una
eventuale eliminazione di personalità assimilabili a Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino, e agli altri esponenti delle istituzioni
assassinati in passato (“non faremo eroi”).
Il messaggio criminale che una simile iniziativa dovrebbe veicolare
al mondo della politica ed alla pubblica opinione dovrebbe quindi
essere tale da suscitare attenzione, con poche o nulle reazioni
dello Stato e, possibilmente – per essere realmente efficace –
provocare effetti istituzionali destabilizzanti.
L’obiettivo potrebbe quindi essere una personalità della politica
che indipendentemente dal suo effettivo coinvolgimento in affari di
mafia, venga comunque percepito come “mascariato”, come compromesso
con la mafia e quindi non difendibile a livello di opinione
pubblica.
Questa linea di ragionamento induce a ritenere che
l’onorevole Marcello Dell’Utri possa
essere percepito da Cosa Nostra come un bersaglio ideale “(insieme
ad altri esponenti siciliani della Casa delle Libertà).
L’esponente palermitano di Forza Italia è sotto processo per
associazione esterna di stampo mafioso, viene sistematicamente
definito su vari organi di stampa (ed anche in recenti trasmissioni
televisive) come comunque compromesso con amicizie mafiose.
Nel gennaio scorso venne pubblicato con grande risalto il testo di
intercettazioni telefoniche in cui esponenti di mafia parlavano
della necessità di sostenerlo alle elezioni, mentre è di questi
giorni il grande clamore con il quale i media riportano le
“rivelazioni” del colonnello Riccio circa i presunti incontri tra
l’esponente di Forza Italia e il boss Madonia e nella stampa
quotidiana è stata proposta l’equazione “Lima-Dell’Utri”.
La sua esposizione mediatica dai contorni negativi e la sua
vicinanza al Presidente del consiglio potrebbero essere ritenute
dalla mafia utili per mandare un messaggio di forte impatto
criminale e destabilizzante.
Analogamente destabilizzante, in questa ottica, potrebbe
ritenersi un attentato ai danni dell’On.le
Previti il cui profilo pubblico è molto simile a quello
dell’On.le Dell’Utri, anche il relazione ai rapporti con il
Presidente del Consiglio.
Se la mafia, come sostengono le fonti, vuole tornare a colpire è
verosimile che scelga un’operazione di forte impatto, con ricadute
destabilizzanti sul piano politico ed idonea – comunque a far capire
allo Stato (come non sono stati in grado di fare Aglieri e Bagarella)
che i capi di Cosa Nostra non intendono accettare lo status-quo.
Roma, 17 luglio 2002
APPUNTO
OGGETTO: Lettera aperta inviata al Segretario dei Radicali Italiani
firmata da 31 detenuti mafiosi sottoposti all’art. 41 bis nel
carcere di Novara.
Nei giorni scorsi, 31 detenuti sottoposti al regime
carcerario differenziato previsto dall’art. 41 bis, attualmente
ristretti nel carcere di Novara, hanno fatto pervenire al Segretario
dei Radicali Italiani, CAPEZZONE Daniele, una lettera aperta, con la
quale hanno inteso protestare vivamente contro il comportamento
degli avvocati penalisti, già loro difensori, ed ora membri del
Parlamento della Repubblica.
I firmatari della missiva, tra cui figurano elementi di vertice
della mafia siciliano, quali GRAVIANO Giuseppe e MADONIA Salvatore,
rimproverano ai destinatari delle doglianze il cambiamento di
atteggiamento in ordine all’opportunità di mantenere in vigore le
misure previste dall’art. 41 bis: in sostanza, i promotori
dell’iniziativa in argomento hanno rimarcato come detti
parlamentari, allorché svolgevano la professione forense,
deprecassero l’applicazione del 41 bis, per poi diventare
strenuamente favorevoli ad un’ulteriore, lunga proroga della misura
stessa.
L’”avvertimento” indirizzato ai penalisti palermitani divenuti
parlamentari, accusati di trascurare le aspettative di tanti
imputati già difesi in sede giudiziaria, viene interpretato in
ambienti d’interesse come indicativo dell’intenzione dei detenuti
per fatti di mafia di pianificare azioni delittuose in loro danno.
Roma, 19 luglio 2002
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