L'inganno
sulla riforma |
Referendum, la tv inganna
di :
Giovanni Sartori
13 giugno 2006 Corriere della Sera
L’incombente
referendum sulla nuova
costituzione investe
argomenti molto difficili. I più
non li capiscono, e quindi se ne
disinteressano. A torto perché
una scelta sbagliata danneggerà
tutti, ivi inclusi i
disinteressati. Ma tant’è. Il
referendum è indetto, e il
dovere della Rai come servizio
pubblico è di spiegarlo
onestamente e imparzialmente.
Come? Come si fa? La nostra tv
non lo ha mai fatto,
probabilmente nemmeno sa come
farlo, e comunque se ne impipa.
In Saxa Rubra l’imparziale è un
imbecille; l’intelligentone si
schiera e, se l’azzecca, viene
debitamente ricompensato dal
vincitore. Da aprile il
vincitore è cambiato. Ma il
nuovo vincitore continua a
sonnecchiare, consentendo così
che il referendum costituzionale
sia gestito, senza nemmeno
cambiare un guardalinee, dalla
tv colonizzata da Berlusconi.
Facendo un passo
indietro comincio da questa
domanda: qual è il problema che
viene specificamente posto da un
referendum? In questo contesto
non si tratta più di descrivere
un testo ma di strutturare una
scelta. Perché è meglio
approvare? Perché è meglio
rifiutare? Questo è il quesito
posto agli italiani, e questo è
il quesito che il nostro
cosiddetto servizio pubblico
pervicacemente elude.
Pilucco tra i vari
spot e filmatini che per
dovere di ufficio mi sono dovuto
sorbire in questi giorni. Un
tema molto insistito, non a
caso, è quello della riduzione
del numero dei parlamentari. Il
tema è popolare e gli strateghi
al servizio di Sua Emittenza
hanno capito che è più facile da
vendere agli ignari di tutto. E
così si ripete a distesa che i
deputati passeranno, con la
riforma, da 630 a 518 e i
senatori da 313 a 252. Vero o
falso? Semi-vero, e quindi semi-
falso. E anzi più falso che
vero. Non solo perché la
sinistra ha proposto un taglio
più drastico, ma anche perché ne
propone l’attuazione subito
mentre la destra la rinvia
addirittura al 2016. Mediaset,
poi, è ancora più imbrogliona.
Perché nella sua animazione di
questo punto le figurine dei
parlamentari si trasformano in
simboli dell’euro. Come per
dire: votate Sì e risparmierete
soldi. E questa non è una mezza
verità ma una sicura falsità.
Secondo esempio: il
bicameralismo perfetto
(paritario). La riforma Bossi-
Berlusconi lo ha eliminato. Ma
lo aveva anche eliminato prima
la sinistra. Sul che la Rai
tace, mentre il problema
dovrebbe essere di chi lo abbia
sostituito peggio. Imperturbato
lo spot Rai illustra così: «La
riforma prevede tre tipi di
leggi», norme approvate soltanto
dalla Camera (alle quali però il
Senato federale può proporre
modifiche); secondo, norme
approvate soltanto dal Senato
federale (alle quali la Camera
può anch’essa proporre
modifiche); e infine «norme che
disciplinano norme sia dello
Stato e delle Regioni». Quasi
tutti i costituzionalisti hanno
detto che questo è un caos
ingestibile. Ma questo non va
detto. I vari Mimun, Mazza,
Giuliana Del Bufalo, o chi per
loro (non so chi confezioni
queste pillole papaverine) si
chiamano fuori dichiarandosi
«neutrali».
Neutrali? Per
carità. Un referendum è come
ricorrere a un tribunale. La
destra ha imposto la sua
riforma, la sinistra la
contesta. Nel tribunale si
devono udire entrambe le parti,
e poi il giudice (il demos
votante) decide. Ma il nostro
referendum sta procedendo
inaudita altera parte, senza
contraddittorio. A me sembra
incredibile, oltreché
vergognoso. Eppure sino al
momento nel quale scrivo il
consiglio di amministrazione
della Rai e il suo presidente
Petruccioli hanno fatto finta di
non vedere che «mamma Rai» sta
disorientando gli italiani con
un’informazione che è, in
realtà, disinformazione.
Giovanni Sartori, Corriere della Sera,
21-05-2006
Bene o male le alte cariche dello Stato sono
in carica. Male più che bene Prodi è
riuscito a confezionare un governo. Così per
una diecina di giorni il popolo si può
rilassare. Ma a fine maggio ci saranno
importanti elezioni amministrative (tra
l’altro a Roma e Milano). Dopodiché il 25
giugno arriva il referendum confermativo, o
sconfermativo, della nuova costituzione.
Anche se il buon popolo forse non lo
avverte, quest’ultimo è il voto più
importante di tutti. La costituzione
stabilisce le regole della politica e della
gestione del potere. Regole malfatte, che
non funzionano, creano un Paese che non
funziona. Regole che limitano poco e male il
potere sono regole che portano all’abuso di
potere. Per di più, le costituzioni durano;
e se sono buone costituzioni è bene che
durino. Ma durano anche perché sono
difficili da cambiare. Il che sottintende
che se facciamo una cattiva costituzione il
rischio è che ce la dovremo tenere.
Dobbiamo davvero cambiare ab imis la
costituzione vigente? L’argomento dei
«cambisti» è che chi difende la costituzione
del ’48 è un «conservatore», un invecchiato,
un sorpassato, sordo alle esigenze del
progresso. Ma questo è uno slogan di bassa e
sleale propaganda. Alla stessa stregua è
conservatore il medico che ci conserva in
vita, il pompiere che ci conserva la casa
che sta bruciando e l’ecologista che si
batte per conservare un’aria pulita.
Scorrettezze polemiche a parte, il discorso
serio è che cambiare una buona
(relativamente buona) costituzione per una
cattiva costituzione è un «cambismo» stolto
e dannoso. Una costituzione è da conservare
finché non si dimostri che sia necessario
rifarla e, secondo, a condizione che sia
sostituita da una costituzione migliore. E
sfido chicchessia a dimostrare che la carta
Bossi-Berlusconi sia preferibile, nel suo
insieme, a quella del '48.
Le difese della nuova Carta sono due. La
prima è che finalmente crea una Italia
federale. Benissimo. Il guaio è che quel
progetto è fatto con i piedi. Ma sul
federalismo «alla Bossi» è doveroso dedicare
un (prossimo) pezzo a sé. La seconda difesa
- di Calderisi e Taradash, lettera al
Corriere del 13 maggio - merita invece di
essere affrontata subito, e argomenta che la
nuova costituzione ha il fondamentale merito
di eliminare il bicameralismo simmetrico, o
paritario (due Camere con uguale potere),
perché «sottrae la fiducia al Senato».
L’argomento è davvero tirato per i capelli.
C’è bisogno di impiombare il Paese con una
macchinosa devolution per così poco?
Basterebbe un articoletto che dica più o
meno così: che nel caso di maggioranze
diverse nelle due Camere (altrimenti non c’è
problema) il voto di fiducia compete
soltanto alla Camera dei deputati. Per
andare da Roma a Firenze Calderoli mi
vorrebbe far passare da Pechino.
Grazie no: preferisco la via diritta.
L’argomento è anche manchevole perché riduce
il problema al voto di fiducia. Ma in
Parlamento si votano leggi tutto il tempo e
ogni volta il governo deve ottenere una
maggioranza che approva. Anche se il caso
viene limitato alla legislazione
concorrente, non ci siamo lo stesso. L’
ultimo affondo del Nostro è che «se il 25
giugno dovesse prevalere il no alla riforma
la spinta conservatrice (sic , ci risiamo)
sarebbe tale da congelare qualsiasi
tentativo riformatore della nostra Carta del
’48». Ma perché mai? Sono decenni che i
costituzionalisti propongono ritocchi
migliorativi di quel testo. Se l’ultimo «riformone»
verrà bocciato forse è l’occasione buona per
arrivare finalmente alle «riformine» che
occorrono
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