Di michele gambino
Uno stato di tensione permanente. Così può essere definita per semplicità
l'attitudine mai sopita di alcuni apparati militari e dell'intelligence italiani
nei confronti della politica e delle istituzioni. Dal "tintinnar di sciabole"
denunciato nel '64 da Pietro Nenni allora vice presidente del Consiglio del
governo di centrosinistra, passando per i vari golpe annunciati, fino alla
scoperta della Gladio, con la sua prigione di capo Marrargiu pronta per molti
anni a rinchiudersi alle spalle di deputati del Pci regolarmente eletti in
Parlamento. Uno stato di tensione che in tempi più recenti ha subito un
allentamento, ma non è mai cessato del tutto: troppo poco ancora sappiamo,
malgrado ciò che sembra, dei delitti della Uno Bianca, quel gruppo di poliziotti
che si muoveva e colpiva in Emilia Romagna, la regione più "rossa" d'Italia,
come un commando in terra straniera. Troppo in fretta sono stati archiviati i
malesseri dei reparti speciali all'esplodere del "caso Folgore" in Somalia, e le
castronerie assortite dello Zibaldone del colonnello Celentano. E troppo poco si
è discusso delle pulsioni allo scontro di alcuni apparati di polizia e
carabinieri che sfociarono a Genova in una furia sproporzionata ai fatti. Una
vicenda lunga, difficile da raccontare, specie in una seconda Repubblica che
vuole lasciarsi alle spalle la storia senza elaborarla e capirla. Una storia che
ormai sembra riecheggiare solo, e stranamente, negli infuocati appelli
elettorali del premier Berlusconi all'anticomunismo, e nel feeling tra gli
uomini di An e una parte dei vertici militari.
Visto che non si studia a scuola, e che nessuno ne scrive più, vale la pena
ricordarla ogni tanto la storia di "quest'altro" stato, con la "s" minuscola.
Parallelo per collocazione, antidemocratico per convinzione.
L'adesione al Patto atlantico
Una storia che comincia da lontano, e che si trasmette da una generazione di
militari all'altra, da una struttura all'altra dei servizi segreti: dal
Sifar al
Sid, dal Sid
al
Sismi. Sono cambiati i nomi e in larga parte anche i comportamenti. Non è
però cambiata, per alcuni versi, la cultura di fondo. Che è quella anticomunista
e subordinata agli Usa dei generali che rimisero in piedi i nostri apparati
militari alla fine della guerra. Non sono opinioni, ma documenti: l'adesione del
nostro Paese al Patto Atlantico comportò l'assunzione di numerosi obblighi, tra
cui quello di passare notizie e ricevere istruzioni da una struttura della Cia,
il servizio segreto americano, dislocata in Italia e denominata "Brenno".
Gli Stati Uniti avrebbero quindi fornito "assistenza militare ed economica al
movimenti clandestino anticomunista".
Qualcuno obietterà che questa impostazione di fondo ha impedito all'Italia di
entrare nell'orbita del comunismo sovietico. Ma questa è fanta-storia. Qui ci
occupiamo invece degli effetti concreti di questa direttiva segreta. Che in
Italia si è tradotta in anni di golpe striscianti, di omicidi politici, di
stragi fasciste compiute con la copertura degli apparati di sicurezza. Che per
una volta tanto, nell'Italia delle mazzette, non agivano per denaro, ma in nome
di un interesse comune a quello di chi metteva le bombe: il mantenimento del
Sistema.
De Lorenzo e il "Piano Solo"
Questo percorso a volo radente sull'Italia parallela può cominciare da un
generale di robusta costituzione, col vezzo del monocolo all'occhio. Si chiamava
Giovanni de Lorenzo, era siciliano, ed era stato imposto nel 1956 alla guida del
Sifar dall'ambasciatrice americana Claire Booth Luce, col preciso incarico di
tenere d'occhio l'allora capo dello Stato Giovanni Gronchi, considerato troppo a
sinistra. Abile manovriero, De Lorenzo riscuoteva qualche simpatia anche a
sinistra, pur essendo stato, fin dal 1946, tra quelli che nascondevano armi in
caso di una vittoria elettorale comunista. Da capo dei servizi, De Lorenzo diede
vita a quel sistema delle schedature illegali su cui è stato costruito lo
spionaggio italiano. Nel 1962, quando il turbolento dopoguerra era ormai un
ricordo lontano, sottoscrisse il piano "Demagnetize" della Cia, in base al quale
"La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo
prioritario che deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo". Applicando alla
lettera il "Demagnetize", possiamo dire oggi, De Lorenzo preparò un colpo di
Stato che sarebbe scattato nel caso in cui il governo di centro-sinistra avesse
varato un piano di riforme autenticamente progressista. Nel corso di dieci
drammatici giorni, nel luglio '64, i democristiani Moro e Rumor, il repubblicano
La Malfa e il socialista Nenni discussero il programma di governo avendo ben
presenti le manovre di De Lorenzo e dei suoi ufficiali. Il colpo di Stato
imminente aveva già anche un nome: "Piano Solo", perché lo avrebbero fatto i
soli carabinieri, affiancati però da ex parà e repubblichini, addestrati per
l'occasione nella struttura di Gladio a capo Marrargiu, sotto la supervisione
del colonnello Renzo Rocca, che poi morì in un suicidio con molti dubbi. Quanto
la minaccia del golpe abbia pesato sui politici italiani - proprio mentre a
Dallas veniva assassinato Kennedy - non lo sappiamo. Certo è che quasi tutti le
riforme promesse vennero cancellate: "Abbiamo lavorato in un tintinnar di
sciabole", disse alla fine un Nenni stanco e affranto.
Piazza Fontana e il golpe Borghese
A fare pulizia negli apparati militari, mentre il Sifar veniva ribattezzato Sid,
fu chiamato l'ammiraglio genovese Eugenio Henke. Si trattò, in realtà, di una
mano di vernice sulla facciata: tra il '66 e il '68 il Sid mise sul suo libro
paga diverse decine di elementi della destra eversiva (vedi
on Maceratini)[1], e ne mandò duecento a
"studiare" in Grecia, dove i colonnelli avevano preso il potere con un colpo di
Stato. Alcuni di loro, tornati da quel corso accelerato, furono coinvolti nella
preparazione della strage di piazza Fontana, che segnò ufficialmente l'inizio
della strategia della tensione.
Una anno dopo la strage, nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970, tocca al
principe fascista Junio Valerio Borghese, ex decima Mas, salire alla ribalta con
un nuovo tentativo di golpe, denominato in codice "Tora Tora" in cui erano
coinvolti a vari livelli, alti esponenti della gerarchia militare, mafiosi e
piduisti. Il golpe rientrò dopo essere già cominciato con l'occupazione del
ministero dell'Interno. Non si sa ancora chi diede l'ordine della ritirata. Il
Sid, che nel frattempo era passato sotto la guida di un amico del principe
Borghese, Vito Miceli, piduista e futuro deputato del Msi, ebbe un ruolo
ambiguo, evitando di trasmettere alla magistratura il molto che sapeva su quel
tentativo di rovesciamento delle istituzioni. Gli studiosi di oggi ipotizzano,
sulla base dei documenti noti, che a fermare tutto fosse stato
Licio Gelli;
forse, disse il pentito Paolo Aleandri, "a causa del mancato appoggio americano". Dopo
il 1970 proseguono le stragi - Brescia, Peteano, l'Italicus - attuate da
elementi di estrema destra con coperture nelle istituzioni, ma inizia a cambiare
la strategia di fondo complessiva degli apparati italiani che fanno capo alla
Cia. L'ala golpista viene definitivamente sopraffatta in favore della teoria
degli opposti estremismi: lasciare spazio ai due terrorismi di destra e
sinistra, favorendo però una stabilizzazione "verso il centro" del quadro
politico. Da questo nuovo corso discende, nel 1974, la caduta dei regimi
fascisti in Portogallo e Grecia. In Italia i contrari a questa teoria si
riuniscono sotto la sigla "Rosa dei venti", cui è legato l'ultimo progetto
para-golpista conosciuto, e in altri gruppi estremisti che continuano a godere
della protezioni dei falchi della Nato. A livello pubblico esplode lo scontro
nei servizi tra
Vito Miceli, l'amico del golpista Borghese, e il generale
Maletti, un moderato di destra che gode del potente appoggio di Giulio Andreotti.
Senza più coperture da parte dei vertici militari viene arrestato il capo del
Movimento armato rivoluzionario, Carlo Fumagalli, e viene ucciso in uno scontro
a fuoco un altro leader dell'estrema destra, Giancarlo Esposti. Lo stesso
Andreotti, con un intervista ad un settimanale, "brucia" l'ambiguo agente "Z"
Guido Giannettini. La loggia P2, espressione più articolata e politica dello
"Stato parallelo", si trasforma in un esercito di tarme che non sogna più di
rovesciare lo Stato, ma inizia a svuotarlo dal di dentro, come un armadio di
legno marcito.
Da Liberazione del
21 Novembre 2002
[1]MACERATINI
GIULIO- Parlamentare della Repubblica. Come militante delle
organizzazioni neofasciste italiane, negli anni Sessanta e Settanta ha avuto un
ruolo importante nella strategia della tensione. Dirigente dapprima, a partire
dal 1960, di un gruppo neonazista e antisemita chiamato Gioventù mediterranea,
in stretta relazione con il gruppo Avanguardia nazionale giovanile di Delle
Chiaie, Maceratini è poi diventato dirigente di Ordine nuovo, l'organizzazione
di Pino Rauti. Quando le due organizzazioni eversive di Delle Chiaie e Rauti si
riuniscono nel Fronte nazionale, in vista del golpe di Junio Valerio Borghese
del 1970, Giulio Maceratini è nominato da Borghese dirigente giovanile del
Fronte. Due anni prima, nel 1968, era tra i giovani che parteciparono a un
famoso viaggio "di studio" nella Grecia dei colonnelli. Maceratini fu poi,
secondo una testimonianza al processo di piazza Fontana, uno dei responsabili
dei campi paramilitari neofascisti in Italia. Intervistato da Paolo Biondani sul
Corriere della sera nel dicembre 2002, il neofascista Martino Siciliano ha
dichiarato: «Ho sentito con le mie orecchie Rauti e Maceratini spiegare che
dovevamo passare all’eliminazione fisica degli avversari politici».
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