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IL PIANO SOLO

 

 

IL generale De Lorenzo

Nell’analisi della Commissione Stragi (relazione Pellegrino)

 

AVVERTENZA: La relazione Pellegrino non va letta come una sorta di maxi-sentenza definitiva, ma soltanto come <<la formulazione di un giudizio storico-politico globale>>.

Come ogni analisi storico-politico essa è, comunque, soggetta a integrazioni e mutamenti.

 

 

Gli eventi dell'estate del 1964 sono notissimi tanto da escludere l'utilità di ripercorrere nel dettaglio il loro svolgimento.

Basterà qui ricordare come la prima esperienza di un governo di centro sinistra (e cioè con la partecipazione organica del PSI alla maggioranza e al governo), che fu presieduto dall'on. Aldo Moro, ebbe vita difficile e breve anche quale esito delle tensioni che ne avevano preceduto la costituzione e ne accompagnarono, frenandola, l'azione.

La crisi che seguì non sembrò apparentemente più complessa di altre che l'avevano preceduta o che l'avrebbero seguita. Fu risolta con la costituzione di un nuovo governo sempre presieduto dall'on. Aldo Moro, avente la medesima base parlamentare, ma nel cui programma la spinta riformatrice risultò fortemente attenuata.

Apparentemente l'esito politico apparve determinato dalle forti preoccupazioni nutrite in larghi strati del ceto dirigente italiano sulla possibilità che l'esperienza del centro sinistra determinasse non soltanto una

modificazione della collocazione dell'Italia nel quadro internazionale, ma anche una fuoriuscita dell'ordinamento italiano dal modello occidentale.

Basterà, come esempio di tale diffuso disagio, rimarcare quanto scrisse in sede enciclopedica uno dei maggiori giuristi dell'epoca, nei primi anni sessanta, spingendosi a manifestare la preoccupazione che, proseguendo sul cammino di ulteriori riforme strutturali (implicito era il riferimento, dopo la nazionalizzazione dell'energia elettrica, alla progettata riforma del regime di appartenenza dei suoli edificabili e alle leggi di programmazione economica) la sovrapposizione di un momento finalistico superindividuale all'interesse individuale avrebbe potuto condurre ad una così intensa funzionalizzazione delle categorie astratte del diritto soggettivo e dell'atto di autonomia privata, da determinare addirittura

 

"la fine del diritto civile...splendida creazione dell'intelletto e dell'attività umana"

 

ed insieme

 

"la fine sul piano etico e sociale di valori ancora più sostanziali che investono la stessa dignità dell'uomo, come essere libero e dei quali il diritto civile costituisce la forma giuridica"[1].

 

La preoccupazione che le istanze riformatrici potessero minare in qualche modo i valori e gli assetti garantiti dall'ordinamento ed attentare al complesso delle libertà (anche economiche) individuali - pur nutrita in alcuni casi, come quello ricordato, da alte idealità - era indubbiamente ingiustificata ed eccessiva, ma valse a raffreddare, con la svolta del 1964, il processo di attuazione della Costituzione nella sue parti di più forte impatto sociale.

Ciò che peraltro si vuole qui sottolineare è soltanto che l'involuzione del centro sinistra e l'attenuazione della sua spinta riformatrice apparvero come l'esito naturale di un clima culturale diffuso nel paese, dato che l'unico indice di un'anomalia nella soluzione della crisi governativa del 1964 fu quanto il segretario del PSI Pietro Nenni scrisse a caldo sull'Avanti!:

 

"Improvvisamente i partiti ed il Parlamento hanno avvertito che potevano essere scavalcati. La sola alternativa che si è delineata nei confronti del vuoto di potere conseguente ad una rinuncia del centro sinistra, è stata quella di un governo di emergenza, affidato a personalità cosiddette eminenti, a tecnici, a servitori disinteressati dello Stato che nella realtà del Paese qual è, sarebbe stato il Governo delle destre, con un contenuto fascistico-agrario-industriale, nei cui confronti il ricordo del 1960 sarebbe impallidito"[2].

 

E' notissimo peraltro come soltanto dopo pochi anni due famose campagne di stampa portarono in luce vicende sotterranee che indubbiamente avevano influito sugli eventi e cioè da un lato un'intensa ed assidua attività di controllo operata dal SIFAR su gran parte del ceto dirigente nazionale, dall'altro il ruolo avuto nella soluzione della crisi da parte del massimo vertice militare, nel suo rapporto con il Capo dello Stato, con l'approntamento di uno specifico piano emergenziale denominato Piano Solo.

La completa emersione di tali vicende é stato il risultato di un lungo processo istituzionale che ha coperto uno spazio temporale superiore al ventennio.

In estrema sintesi basterà quindi ricordare le inchieste amministrative affidate alle Commissioni Beolchini e Lombardi ed al generale Manes, il segreto di Stato posto dal Governo sulle loro risultanze, le resistenze governative opposte alla costituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta, la cui legge istitutiva fu approvata soltanto in data 31 marzo 1969, la defatigante delle acquisizioni documentali da parte della stessa Commissione, che concluse i suoi lavori sulla base di una documentazione ancora incompleta.

La possibilità di una completa conoscenza (peraltro nei limiti di cui in seguito si dirà) di tali avvenimenti si è avuta soltanto quando il Governo assunse l'autonoma decisione di rimuovere il segreto di Stato a suo tempo opposto su alcune parti dei documenti relativi al cosiddetto Piano Solo e alle ricordate inchieste amministrative e conseguentemente il Presidente del Consiglio trasmise in data 28 dicembre 1990 (e quindi dopo più di un quarto di secolo dello svolgersi degli eventi!) la versione integrale di tale documentazione alle Presidenze della Camera e del Senato, che a loro volta l'hanno trasmessa al Comitato parlamentare per i servizi e a questa Commissione di inchiesta.

Quest'ultima nella seduta del 10 gennaio 1991 deliberò di trasmettere al Parlamento, per la pubblicazione, gli atti ricevuti ad eccezione di alcune parti che si é ritenuto opportuno mantenere riservate, in applicazione del criterio suggerito dai Presidenti della Camera e del Senato di non divulgare quelle parti di documenti che avessero carattere esclusivamente privato o familiare ininfluenti ai fini dell'indagine.

Per vero anche tale documentazione non può ritenersi completa mancando all'interno della stessa un documento di notevole importanza e cioè la lista delle personalità che, secondo il Piano Solo, dovevano essere "enucleate" (e cioè in sostanza arrestate) per essere trasferite in Sardegna.

Inoltre sulla genuinità della documentazione acquisita sono insorte perplessità a seguito di note dichiarazioni del colonnello La Bruna; indagini esperite sia in sede giudiziaria sia direttamente da questa Commissione non sono valse a sciogliere tali dubbi.

 

Peraltro é avviso della Commissione che la documentazione di cui è in possesso è ben sufficiente ad una ricostruzione delle vicende in discorso sostanzialmente completa e alla formulazione sulle medesime, a tanta distanza di anni, di un giudizio meditato e sereno. Anche perché le vicende, per come ricostruite, vengono coerentemente ad inserirsi nel mosaico di eventi anteriori e successivi che la Commissione va ricostruendo ed acquistano all'interno dello stesso, senza alcuna forzatura, un significato che può ragionevolmente affermarsi univoco.

Opportunità di sintesi espositiva convincono la Commissione a non indugiare nel ridescrivere in dettaglio vicende ormai note quali le "deviazioni" del SIFAR dei compiti istituzionali, il ruolo avuto dal generale De Lorenzo nella soluzione governativa dell'estate del 1964, i contenuti del Piano Solo (quest'ultimo documentalmente acquisito e pubblicato), limitandosi quindi ad evidenziare di tali vicende ormai note gli elementi di continuità e/o di contiguità che consentono un loro coerente inserirsi in un quadro complessivo; nonché ad esplicitare le valutazioni che tale inserimento rende ora possibile.

 

Per ciò che concerne le deviazioni del SIFAR può ormai ritenersi certo quanto risulta dalla relazione Beolchini:

 

"L'indagine ha portato anzitutto alla contestazione che nell'ambito della prima sezione dell'Ufficio D l'estensione anomala dei fascicoli ha avuto luogo verso il 1959 ed anzi ha assunto proporzioni allarmanti proprio in quell'anno e nell'anno successivo. Con circolare del 26 febbraio 1959 sono state richieste a tutti i capi degli uffici periferici note biografiche e dettagliate notizie sull'attività 'comunque svolta' dai deputati e dai senatori. Ogni centro di controspionaggio dovette così compiere un'indagine biografica sui parlamentari compresi nella propria giurisdizione e per ognuno di essi è stato formato un fascicolo"[3].

 

A questo punto vi sono quattro righe che fino al dicembre 1990 erano coperte da "omissis", nelle quali si legge:

 

"Si veda, ad esempio, il registro relativo ai parlamentari del Piemonte, nel quale sono indicati i numeri dei fascicoli sulle matrici delle schede biografiche".

 

Il testo poi prosegue affermando:

 

"Nel 1960 vengono raccolte le notizie biografiche relative a prelati, vescovi e sacerdoti delle varie diocesi (...) Si è avuta così in quel periodo e negli anni successivi una espansione enorme del numero dei fascicoli, fino a giungere alle cifre odierne di 157 mila fascicoli, nei quali 34 mila dedicati ad appartenenti al mondo economico, a uomini politici e ad altre categorie di interesse rilevante per la vita della nazione"[4].

 

La Commissione presieduta dal gen. Beolchini individua, nell'ambito delle schedature illegali, una serie di ulteriori gravi irregolarità e nella relazione riferisce di aver raccolto prove che i profili delle persone schedate erano talora riscritti a distanza di tempo, con diverso orientamento, il che accentuava il carattere arbitrario del modo di procedere dell'ufficio.

Era stato accertato che, a partire dal 1960 circa, la ricerca delle notizie si era estesa gradualmente anche alle attività economiche e finanziarie e alle manifestazioni frivole, ordinando indagini, anche con documentazione fotografica, su relazioni extra coniugali, o comunque irregolari, sulla nascita di figli illegittimi, sulle consuetudini sessuali.

 

Di tale attività del servizio è stata in sede storiografica peraltro sottolineata la continuità con pratiche analoghe dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'interno e quindi il suo collegamento diretto all'esperienza fascista dell'Ovra e della sua riproposizione, anche mediante lo stesso personale, nella direzione Affari Riservati.

In sede saggistica si è altresì avanzata l'ipotesi che tale indirizzo, che si istituzionalizzò nel SIFAR nel 1959, derivava da un input proveniente dal Capo Stazione CIA, Thomas Karamessines, nell'ambito delle tensioni politiche derivanti dalla previsione di una possibile apertura al PSI della maggioranza governativa.

Comunque sia di ciò certo può dirsi che le tensioni politiche innescate in Italia dalla prospettiva della cosiddetta "apertura a sinistra" riproducevano specularmente analoghe tensioni determinatesi sul punto in ambiente statunitense.

Come già rammentato in precedenza, era all'epoca in vigore la direttiva NSC 6014 del 16 agosto 1960 che, pur auspicando l'evoluzione del PSI verso posizioni autonome nei confronti del PCI, ribadiva la necessità di continuare a contrastarne l'ingresso nell'area del Governo finché tale evoluzione non fosse stata completata. Ma l'elezione di John Kennedy alla Presidenza degli Stati Uniti nel novembre 1960 aveva introdotto delle divergenze di valutazione all'interno del vertice politico statunitense.

Nel gennaio 1961, appena insediato nella sua carica, Kennedy aveva incaricato Arthur Schlesinger di rielaborare la politica statunitense nei confronti di un possibile esperimento di centro sinistra.

Nel marzo successivo, l'ambasciatore viaggiante del Presidente, Averell Harriman, dopo una breve visita a Roma, riferì in termini positivi nei confronti di un'apertura ai socialisti. Ma la burocrazia del Dipartimento di Stato, la maggior parte dei diplomatici a Roma, la stazione CIA nella capi tale italiana ed i rappresentanti in Europa del potente sindacato statunitense AFL-CIO erano nettamente contrari[5].

L'8 novembre 1961, il segretario di Stato Bean Rusk inviò un telegramma di istruzioni al personale dell'ambasciata statunitense a Roma nel quale era

scritto:

 

"nelle discussioni con i vertici della DC, in particolare Fanfani e Moro, i rappresentanti dell'Ambasciata devono confidenzialmente far capire come siano sensibili ai vantaggi in termini di isolamento del PCI [...] che si possono trarre da un sostegno socialista al Governo. Purché esso sia ottenuto senza alcun compromesso con il PSI in materia di politica estera"[6].

 

La pur cauta apertura di Risk provocò durissime reazioni nell'Ambasciata. Vi fu una riunione collegiale nella quale sarebbero emerse posizioni estreme, fino ad auspicare un intervento militare statunitense in caso di apertura al PSI[7].

 

Viene così ad essere confermata, sostanzialmente sulla base di certezze documentali, l'ipotesi teorica secondo cui nel sistema della doppia lealtà la dinamica del doppio Stato si attiva in momenti di tensione politica e cioè di acuta frizione tra gruppi dirigenti.

In tale contesto di verifica dell'esattezza di un criterio di analisi interpretativa, assume significato un ulteriore profilo emergente dalla documentazione in atto e cioè la possibilità di addebitare al potere politico in ordine a tale deviazione dei servizi non solo un omesso controllo, ma anche una più pesante corresponsabilità.

Il colonnello Rocca riferì alla Commissione Beolchini:

 

"... Ed è qui che forse comincia la deviazione dai compiti istituzionali. Bisogna vedere però di chi è la colpa. All'inizio il gen. De Lorenzo non era in grado di rispondere alle continue domande che gli venivano rivolte dal presidente Gronchi per cui si organizzò e organizzò il servizio per sopperire alle esigenze. [...] Una volta messo in moto l'organismo, non ci fu più bisogno di sollecitazioni, anche perché il gen. De Lorenzo, attraverso i suoi contatti con autorità politiche e finanziarie, aveva acquisito una tale conoscenza dei problemi generali che si trovava nelle condizioni di rispondere anche sulla battuta. In quel periodo, dunque, fu avviata questa attività politica extra istituzionale. E' però dubbia la responsabilità di tale deviazione: non si può dire se la colpa fosse di chi dava gli ordini o di chi li eseguiva o di chi aveva il controllo sul funzionamento del Servizio"[8].

 

Su tali basi diviene quindi possibile alla Commissione affermare che nell'eziologia della sostanziale delega, pressoché costante, della responsabilità per la sicurezza da parte del potere politico al vertice dei servizi, di cui innanzi ci si è già ampiamente occupati, coagirono probabilmente due elementi distinti:

-da un lato il fenomeno della doppia lealtà derivante dal quadro internazionale presupposto; fenomeno che ha quindi influito sull'agire concreto non soltanto degli apparati di sicurezza, ma di una ben più ampia sfera di soggetti politici ed istituzionali;

-dall'altro lo scambio che veniva a realizzarsi tra un potere politico che, utilizzando l'attività dei servizi a fini di competizione interna, restava largamente "disarmato" dinanzi alla richiesta di una più accentuata autonomia da parte dei servizi medesimi.

Per ciò che concerne più specificatamente il Piano Solo, sono noti alla Commissione i contrasti valutativi che lo stesso diede luogo nelle conclusioni della Commissione d'inchiesta Alessi.

In merito, sulla base complessiva delle proprie acquisizioni, alla Commissione appare difficilmente condivisibile la tesi che il Piano Solo abbia costituito il risultato dell'approntamento di un normale piano antinsurrezionale. Già in sede di Commissione di inchiesta si sottolineò infatti che i piani di tal tipo - di regola predisposti in ogni provincia dal locale comando dei carabinieri sotto la direzione del prefetto e di concerto con le forze di Polizia - prevedono anche il concorso delle altre Forze Armate, i cui comandi sono in possesso di particolari disposizioni da adottare in caso di gravi perturbamenti dell'ordine pubblico[9].

Nel caso, invece, la predisposizione del Piano avvenne esclusivamente all'interno dell'Arma dei Carabinieri, e tale esclusività ne determinò la denominazione: Piano Solo.

Inoltre dalla copia del Piano acquisita da questa Commissione e da alcuni degli interrogatori resi al generale Manes, emergono gli ordini di occupazione di sedi di uffici governativi, dei più importanti centri di comunicazione, delle sedi dei partiti di sinistra e dei giornali ad essi più vicini, così come delle sedi della radio e della televisione.

L'occupazione dei giornali doveva protrarsi

 

"per il tempo strettamente necessario a rendere inefficienti tutte le macchine tipografiche, onde rendere impossibile la stampa dei giornali"[10].

 

A ciò si aggiunga che del preteso piano di prevenzione dell'ordine pubblico furono redatte due sole copie, con l'annotazione

 

"appunti e minute, ad essa relativi, sono stati distrutti col fuoco"[11].

 

Se si fosse trattato di un piano di prevenzione di eventuali disordini, precauzioni così impegnative sarebbero state eccessive.

 

Nella premessa dello stesso documento si legge inoltre:

 

"Il successo dell'azione è condizionato - tra l'altro - dai seguenti fattori: [...] atteggiamento improntato alla massima decisione ed energia, scevra da qualsiasi dubbio o tentennamento, galvanizzazione degli uomini, caricandoli di mordente"[12].

 

I documenti mostrano insomma anche modalità più proprie del passaggio alla fase esecutiva di un vero e proprio golpe, mentre sembrano adattarsi con molta difficoltà ad un piano preventivo antinsurrezionale. D'altro canto, le stesse modalità di convocazione degli ufficiali dell'Arma alle riunioni preparatorie sono del tutto irrituali: molti ufficiali superiori furono esclusi dalle riunioni, cui parteciparono, al contrario, vari loro subalterni, evidentemente ritenuti più affidabili.

I piani furono materialmente redatti dagli stessi ufficiali responsabili, escludendo l'ausilio di dattilografi, ancorché sottufficiali dell'Arma.

Si è quindi in presenza di una serie di dati oggettivi, che nel loro complesso situano la vicenda ben al di là della predisposizione di una risposta adeguata ad una eventuale insurrezione.

Peraltro è avviso della Commissione che la valenza e la destinazione funzionale del Piano non può cogliersi astraendosi:

-da un lato dalla considerazione che il piano non fu mai attuato, sicché si è in presenza - come già per Gladio - di una sostanziale

potenzialità operativa;

-dall'altro dalla circostanza che ciò malgrado sembra difficile negare che la predisposizione del piano ebbe un'indubbia influenza sugli esiti della vicenda politica nell'estate del 1964.

 

Sul punto, in altri termini appare improduttivo alla Commissione indugiare sulla "realtà" di un progetto golpista da parte del generale De Lorenzo (e cioè domandarsi se si trattò di una minaccia reale, poi non realizzata per motivi che resterebbero oscuri, dato che di essa si ebbe notizia solo alcuni

anni dopo) ovvero se non vi sia stato nulla di tutto ciò ma soltanto un improvvido attivismo del generale, un maldestro eccesso di zelo la cui importanza sarebbe stata a torto enfatizzata negli anni successivi.

Più fondato appare alla Commissione riconoscere che a fondamento di una valutazione finale possano valere i giudizi espressi sul punto da due protagonisti della vicenda politica e cioè l'on. Nenni da un lato, l'on. Moro dall'altro, giudizi che, pure formulati a circa un quindicennio di distanza l'uno dall'altro in condizioni diversissime, appaiono sostanzialmente coincidenti.

Molti anni dopo, prigioniero delle Brigate Rosse, l'on. Moro avrebbe così descritto la vicenda:

 

"Nel 1964 si era determinato uno stato di notevole tensione per la recente costituzione del centro-sinistra [...], per la crisi economica che per ragioni cicliche e per i concorrenti fatti politici si andava manifestando. Il presidente Segni, uomo di scrupolo, ma anche estremamente ansioso, tra l'altro, per la malattia che avrebbe dovuto colpirlo di lì a poco, era fortemente preoccupato. Era contrario alla politica di centro-sinistra. Non aveva particolare fiducia nella mia persona che avrebbe volentieri cambiato alla direzione del Governo. Era terrorizzato da consiglieri economici che gli agitavano lo spettro di un milione di disoccupati di lì a quattro mesi. [...] Fu allora che avvenne l'incontro con il generale De Lorenzo [...]. Per quanto io so il generale De Lorenzo evocò uno dei piani di contingenza, come poi fu appurato nell'apposita Commissione parlamentare di inchiesta, con l'intento soprattutto di rassicurare il Capo dello Stato e di pervenire

alla soluzione della crisi"[13].

 

E' un giudizio che viene ulteriormente precisato, nel corso del memoriale, laddove può leggersi:

 

"Il tentativo di colpo di Stato nel '64 ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare, secondo una determinata pianificazione propria dell'Arma dei Carabinieri, ma finì per utilizzare questa strumentazione militare essenzialmente per portare a termine una pesante interferenza politica rivolta a bloccare o almeno fortemente dimensionare la politica di centro sinistra, ai primi momenti del suo svolgimento"[14].

 

E' un giudizio che sostanzialmente coincide con quello espresso dall'on. Nenni nell'immediatezza dei fatti e che si è già ricordato, dove chiaramente si evidenzia come l'alternativa che apparve profilarsi ad una riedizione del governo di centro-sinistra fu quella di un Governo di emergenza affidato a tecnici che nella realtà del Paese qual era, avrebbe avuto il sostegno delle destre ed avrebbe attivato una situazione di tensione

 

"nei cui confronti il ricordo del 1960 sarebbe impallidito".

 

Non sembra dubbio alla Commissione che il Piano Solo era destinato ad acquisire attualità operativa, appunto, in previsione di tale evenienza, con modalità che si ponevano al di fuori dell'ordinamento costituzionale.

Così come è indubbio che la percezione in sede politica di tale possibile evenienza valse a determinare, come l'on. Moro esattamente noterà quindici anni più tardi, un forte ridimensionamento della politica di centro sinistra ai primi momenti del suo svolgimento.

Né vi è dubbio che ciò corrispondesse agli interessi perseguiti da settori dell'amministrazione statunitense (e cioè il depotenziamento del centro sinistra, così esorcizzando le preoccupazioni nutrite da ampi strati del ceto dirigente e imprenditoriale italiano) e che si situava all'interno di un disegno strategico più ampio, già evidenziato nelle pagine che precedono, di stabilizzazione del quadro politico italiano, rispetto al quale un'involuzione autoritaria costituiva esito estremo e non gradito.

 

 

A tali valutazioni appare opportuno soltanto aggiungere alcune brevi considerazioni sull'unico (o almeno il principale) punto della vicenda che non appare ancora sufficientemente chiarito: e cioè l'esistenza e (quindi) il mancato ritrovamento della lista delle persone che allo scattare operativo del Piano (il giorno "x") sarebbero state enucleate e forzosamente condotte in una località della Sardegna, che oggi può sicuramente identificarsi nella base Gladio di Capo Marargiu.

Dell'esistenza di tale lista vi sono prove testimoniali plurime agli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta a suo tempo istituita; ma tale lista non fu posta a disposizione della Commissione sul SIFAR, né essa è compresa nella documentazione resa consultabile nel dicembre 1990.

Peraltro la relazione conclusiva dell'inchiesta amministrativa a suo tempo svolta dalla Commissione Lombardi fornisce conferma di un primo invio, avvenuto nell'aprile del 1964, di liste di "enucleandi" da parte del SIFAR ai comandi di divisione dell'Arma.

Alcuni ufficiali superiori del SIFAR affermarono che la spedizione fu effettuata a fine di aggiornamento, ma nelle note di trasmissione, reperite nell'ambito dell'inchiesta amministrativa citata, non si parla di aggiornamento, e nessun comandante di divisione diede ordini in tal senso.

Il 28 giugno vi fu poi una riunione a Roma, dedicata esclusivamente alla distribuzione delle liste, alle disposizioni per il fermo, il trasporto ed il concentramento delle persone che vi erano comprese.

Sempre secondo le conclusioni della Commissione Lombardi, i nomi dei 731 "enucleandi" erano tratti da una rubrica "E" (estremisti), istituita nel 1952-53 e dunque l'elenco non conteneva nomi di personalità politiche, ma soltanto di possibili sabotatori ed eversori.

La Commissione parlamentare d'inchiesta Alessi, però, recepì indicazioni diverse, tra le quali la testimonianza del col. Bianchi, il quale affermò di aver personalmente incluso nelle liste anche nomi di

 

"persone che svolgevano una normale attività politica, ma che soprattutto per la posizione organizzativa rivestita nell'ambito di organizzazioni di opposizione, potevano assumere, in certe evenienze, un ruolo di grande rilievo"[15].

 

Sulla base di questa e di altre testimonianze, la relazione di minoranza giunge alla conclusione che le liste consegnate il 28 giugno non contenessero 731 nominativi, ma un numero non inferiore a 1100-1200.

Una indiretta conferma della rilevanza del numero delle persone da arrestare viene anche dal fatto che non si ritennero sufficienti gli aerei, ma si valutò di dover ricorrere anche a mezzi navali.

La lista, della cui esistenza non può dubitarsi, non fu consegnata, come si è detto, alla Commissione parlamentare sugli eventi del giugno-luglio 1964, né è presente tra i documenti desecretati il 28 dicembre 1990, il che appare una circostanza di rilevante gravità, poiché lascia supporre che la lista stessa contenesse nomi di parlamentari e dirigenti politici, la cui pubblicazione renderebbe impraticabile ogni ipotesi tendente a presentare gli eventi del 1964 come atti tutelativi in previsione di possibili disordini.

A confermare l'esattezza di una tale conclusione sta poi, a meditato avviso della Commissione, un'argomentazione di ordine logico che nasce da una considerazione complessiva dell'intera vicenda, idonea ad individuare nell'indebita prassi di controllo e fascicolazione instauratasi presso il SIFAR dal 1959 un momento comunque (e sia pur latamente) preparatorio della predisposizione del Piano.

Vuol dirsi cioè che se la destinazione funzionale del Piano fu quella già individuata di predisposizione di uno strumento repressivo a fronte della situazione di estrema tensione sociale ("da far impallidire il ricordo del luglio 1960", secondo il giudizio di Nenni), sarebbe davvero illogico ritenere che i risultati dell'attività informativa, instauratasi da anni presso il SIFAR per iniziativa di De Lorenzo, non siano stati tenuti presenti nella predisposizione delle liste degli "enucleandi", inserendo in tali liste anche quelle personalità sindacali e politiche che della protesta popolare avrebbero assunto indubbiamente funzione di guida.

 

Peraltro nel quadro complessivo che la Commissione va ricostruendo, particolare rilievo assumono ulteriori elementi che invece, in una considerazione "isolata" delle vicende dell'estate del '64, hanno avuto importanza minore.

Il riferimento è all'arruolamento sia di carabinieri in congedo richiamati nel quadro di un altro piano riservato, il piano "Sigma", sia (e soprattutto) di gruppi irregolari di civili reclutati dall'Ufficio REI dello stesso SIFAR, un ufficio che teoricamente avrebbe dovuto presiedere alla sicurezza economica e industriale, ma che all'epoca svolse prevalentemente un'attività di distribuzione di denaro che la Confindustria, e forse fonti esterne, destinavano ad azioni di finanziamento di attività anticomuniste.

Su questi reclutamenti riferiscono alla Commissione parlamentare Alessi il sen. Parri ed il col. Cerica.

Interrogato il 1º ottobre 1969, il sen. Parri dichiarò:

 

"Sono gruppi di civili, di ex militari, di ex carabinieri, ma anche di [...] congedati dalla Marina Militare. Questi gruppi avrebbero dovuto assecondare questo colpo che il generale De Lorenzo aveva preparato, anche in funzione di agenti provocatori, con funzioni di squadre di appoggio dei reparti dei carabinieri. [...] Ma qui non si tratta neanche di carabinieri, si tratta di ragazzi di avventura che, messi in contatto con un ufficiale dei carabinieri, avevano persino avuto un po' di armi, un po' di moschetti, avevano avuto delle divise"[16].

 

In una successiva deposizione, Parri aggiungerà altri dati:

 

"Questo particolare dei nuclei di azione [...] si ricollega alle notizie purtroppo incomplete che si sono avute nei riguardi dei nuclei di azione preparati dal generale De Lorenzo per appoggiare, se del caso, eventuali colpi di forza. [...] Coincidono con preparativi, con intese note per altre fonti, esistenti soprattutto in Torino, per quanto riguarda questi nuclei di azione, già preparati, tenuti pronti, finanziati sempre - mi rincresce - principalmente da Valletta, e allestiti per appoggiare le possibili azioni. E questo incarico dato alla Confindustria non posso dire in che modo preciso si ricollega, ma rientra peraltro in tale quadro"[17].

 

A sua volta, il col. Cerica confermò di aver avuto notizie che il col. Rocca in quel periodo, per incarico ricevuto, aveva preso contatto in Liguria ed in Piemonte con ex paracadutisti ed ex marinai, ma non escluse che potesse averlo fatto per compiti di natura informativa.

 

Più in particolare, deponendo il 1º aprile 1968 dinanzi alla Commissione Lombardi, Cerica riferisce, in un brano coperto fino al dicembre 1990 da segreto politico-militare, che nell'autunno 1963 aveva avuto notizia che a Genova e Torino elementi del centro di controspionaggio stavano reclutando elementi già appartenenti alla X MAS e al Battaglione S. Marco[18].

La Commissione parlamentare Alessi non approfondì sufficientemente il problema che, peraltro, oggi, alla luce della documentazione successivamente emersa sulla struttura Gladio assume una rilevanza ben superiore.

Gli elementi di continuità rispetto a fenomeni anteriori e di contiguità con la vicenda Gladio sono davvero innegabili, mentre la utilizzazione da parte del colonnello Rocca di risorse provenienti da gruppi finanziari privati rimanda a fenomeni come Pace e Libertà e a personaggi di frontiera come Luigi Cavallo[19].

Emerge quindi, in termini inequivoci, con riferimento allo specifico periodo considerato l'esistenza di una pluralità di reti clandestine aventi tutte le medesime caratteristiche ed in particolare quella di essere tutte (almeno quelle fin qui considerate) nella disponibilità del servizio segreto militare. Sicché, dal punto di vista dell'analisi ricostruttiva in cui la Commissione è impegnata, giova assai poco domandarsi se si sia trattato di un'unica rete articolata su più livelli, ovvero di più reti collegate dall'unicità di comando, atteso che in entrambe le ipotesi la potenzialità operativa non sarebbe cambiata. E ciò è quello che conta.

Un tal tipo di verifiche consente quindi alla Commissione di confermare l'esattezza di valutazioni già espresse in ordine alla struttura Gladio. Il riferimento è innanzitutto alla strutturazione di Gladio, in funzione alla sua capacità di attivare una mobilitazione più ampia rispetto al numero noto degli arruolati, e, insieme, alla "presupposizione di Gladio" da parte di altre vicende, che pur non riconducibili alla storia della struttura clandestina divengono pienamente comprensibili solo in funzione della coesistenza di questa.

In tale prospettiva la stessa discussione in ordine alla destinazione di Gladio allo scopo  di contrastare dalla retrovie forze di invasione di parte del territorio nazionale, perde di importanza e forse anche di senso, una volta che è certa la compresenza di altre reti clandestine, certamente create con scopi e per finalità diverse.

 

Un'ultima considerazione è infine dovuta.

Le vicende dell'estate del 1964 accentrano intorno alla figura di Aldo Moro un momento in cui gli avvenimenti della storia visibile del Paese subiscono un'intensa torsione per effetto di vicende sotterranee: un fenomeno che si ripeterà, con esiti questa volta sanguinosi e tragici, tredici anni più tardi, come punto di arrivo della drammatizzazione complessiva che la vicenda nazionale conoscerà nel periodo.

 

 

[1] R. Nicolò - Diritto civile, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1964.

[2] Avanti!, 26 luglio 1964.

[3] Gli atti della Commissione Beolchini sono pubblicati in: Atti Parlamentari, X legislatura, Commissione Stragi, Doc. XXIII, n. 25, vol. II, pagg. 28-29.

[4] Ibidem.

[5] Si veda C. Gatti - Rimanga tra noi - Milano, Leonardo, 1991, pag. 55.

[6] Ibidem, pp. 56/57.

[7] Roberto Faenza - Il Malaffare - Milano, Mondadori, 1978, pag. 310.

[8] Commissione Stragi cit. vol. cit. Commissione Beolchini, verbale della seduta del 15 febbraio 1967, pag. 242-243.

 

[9] Commissione parlamentare di inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, atti parlamentari, V legislatura, relazione di maggioranza, Doc. XXIII, n. 1, vol. I, pagg. 590-591.

[10] Commissione Stragi, cit. vol. I, pag. 42.

[11] Ibidem, p. 19.

[12] Ibidem, p. 20.

[13] Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Montenevoso a Milano (a cura di Francesco M. Biscione) - Roma, Coletti, 1993, pag. 45.

[14] Ibidem, pag. 46.

[15] Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di minoranza, pag. 145.

 

[16] Commissione parlamentare di inchiesta, cit., Relazione di maggioranza, cit., 556-557.

[17] Commissione parlamentare cit., Relazione di minoranza, pag. 165.

[18] Commissione Stragi, cit., Doc. XXIII, n. 25, vol. IV, p. 260.

[19] Luigi Cavallo collaborò con Edgardo Sogno alla predisposizione dei "Comitati di resistenza democratica" la cui attività ufficiale era diretta a mobilitare l'opinione pubblica per impedire l'ingresso dei comunisti al governo ma il cui vero obiettivo sarebbe stata un'azione diretta a condizionare il Presidente della Repubblica per costringerlo a sciogliere il parlamento ed a nominare un governo provvisorio con il fine di instaurare un regime di tipo autoritario.

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