Il golpe Borghese pare essere in stretta
relazione con la strage di piazza Fontana. I nomi sembrano più o meno gli
stessi, cosi come le organizzazioni coinvolte : Avanguardia Nazionale e Ordine
Nuovo. Organizzazioni a cui facevano capo i vari Zorzi, Freda, Ventura, Delle
Chiaie, Digilio,Siciliano,Rognoni .....
Poi vediamo sempre l'ombra della Cia, i servizi deviati, pezzi dello stato. Sempre
mossi dalla medesima logica. L'odio anticomunista che tutto giustifica, perfino
una strage, varie stragi, colpi di stato, tutto pur di impedire che possa essere
scalzato il sistema di potere vigente.
Molti degli imputati del golpe come Miceli,
Fanali,
Lo Vecchio,
Casero, De Jorio, faranno parte delle liste trovate a Castiglion Fibocchi
( P2).
Tutto ciò sotto l'occhiuto sguardo dei soliti
mmericani.
Ma chi era questo Junio Valerio Borghese? Un ufficiale fascista comandante
della X-MAS durante la guerra. Esponenti di questa milizia scelta si sospetta
parteciparono alla strage di Portella della Ginestra.
Si noti come il filo sembra incominciare ad
avere un percorso ed un colore sempre più vicino al nero?
giuseppe galluccio
AVVERTENZA: La
relazione Pellegrino non va letta come una sorta di maxi-sentenza definitiva, ma
soltanto come <<la formulazione di un giudizio storico-politico globale>>.
Come ogni analisi
storico-politico essa è comunque soggetta a integrazioni e mutamenti.
IL GOLPE BORGHESE
Nell’analisi della
Commissione Stragi (relazione Pellegrino)
Può ritenersi ormai certo che nella notte tra il 7 e l'8
dicembre 1970 si attivò in Roma un tentativo di vero e proprio colpo di Stato,
che tuttavia durò soltanto poche ore e fu subito interrotto ben prima che si
raggiungesse uno stato insurrezionale. In merito può ormai ritenersi
sufficientemente accertato che:
a) Un gran numero di uomini era stato raccolto e
organizzato da
Junio
Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale in stretto collegamento con
Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale.
b) Sin dal 1969 il Fronte Nazionale aveva costituito
gruppi clandestini armati e aveva stretto relazioni con settori delle Forze
Armate.
c) Borghese stesso, con la collaborazione di altri
dirigenti del Fronte Nazionale e di numerosi alti Ufficiali delle Forze Armate e
funzionari di diversi Ministeri, aveva predisposto un piano, che prevedeva
l'intervento di gruppi armati su diversi obiettivi di alta importanza
strategica; sin dal 4 luglio 1970 era stata costituita una "Giunta nazionale".
Avrebbero dovuto essere occupati il Ministero degli Interni, il Ministero della
Difesa, la sede della televisione e gli impianti telefonici e di
radiocomunicazione; gli oppositori (e cioè gli esponenti politici dei diversi
partiti rappresentanti in Parlamento), avrebbero dovuto essere arrestati e
deportati. Il Principe Borghese avrebbe quindi letto in televisione un proclama,
cui sarebbe seguito l'intervento delle Forze Armate a definitivo sostegno
dell'insurrezione.
d) Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 il piano
comincia ad essere attuato, con la concentrazione a Roma di alcune centinaia di congiurati e con iniziative analoghe in diverse città:
1) Militanti di Avanguardia Nazionale, comandati da
Stefano Delle Chiaie e con la complicità di funzionari,
entrano nel Ministero degli Interni e si impossessano di armi e munizioni che
vengono distribuite ai congiurati.
2) Un secondo gruppo di militanti si riunisce in una
palestra, in via Eleniana, ove attende la distribuzione delle armi, che dovrà
avvenire a seguito dell'ordine di Sandro Saccucci (un tenente dei paracadutisti
stretto collaboratore di Borghese indicato da più parti come massone)) e a opera
del gen. Ricci tra le persone radunate, in parte già in armi, vi sono anche
ufficiali dei Carabinieri.
3) Lo stesso Saccucci (che avrebbe dovuto assumere il
comando del SID) dirige personalmente un altro gruppo di congiurati, con il
compito di arrestare uomini politici.
4) Il gen. Casero e il col. Lo Vecchio (i quali
garantiscono di avere l'appoggio del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica,
gen. Fanali) dovrebbero invece occupare il Ministero della Difesa.
5) Il magg. Berti, già condannato per apologia di
collaborazionismo e ciò nonostante giunto ad alti gradi del Corpo forestale
dello Stato, conduce una colonna di allievi della Guardia forestale, proveniente
da Cittàducale presso Rieti, che attraversa Roma e va ad attestarsi non lontano
dagli studi RAI-TV di via Teulada.
6) Il col. Spiazzi (di cui si è già chiarito il ruolo nei
Nuclei per la difesa dello Stato) muove con il suo reparto verso i
sobborghi di Milano, con l'obiettivo di occupare Sesto San Giovanni, in
esecuzione di un piano di mobilitazione reso operativo da una parola d'ordine.
7) L'insurrezione, già in fase di avanzata esecuzione, fu
improvvisamente interrotta. Fu Borghese in persona a impartire il contrordine;
ne sono tuttora ignote le ragioni, giacché Borghese rifiutò di spiegarle persino
ai suoi più fidati collaboratori.
Sono questi fatti noti, di cui acquisizioni anche recenti
hanno consentito una più ampia ricostruzione e una più approfondita lettura. E
tuttavia gli stessi, anche per come percepiti nella immediatezza degli
accadimenti, appaiono alla Commissione tali da non giustificarne la valutazione
minimizzante che hanno avuto in sede giudiziaria (sentenza Corte d'Assise di
Roma 14 novembre 1978 e Corte di Assise di Appello del 14 novembre 1984 che
condussero al noto esito globalmente assolutorio) ed anche da gran parte
dell'opinione pubblica, apparsa spesso orientata da aspetti velleitari
dell'operazione e dallo scarso spessore di molti dei suoi protagonisti, a
definire l'episodio come un "golpe da operetta".
Per ciò che concerne la valutazione giudiziaria,
scarsamente condivisibili appaiono alla Commissione innanzitutto le motivazioni
con cui già in sede istruttoria furono prosciolti molti di coloro che si erano
radunati, agli ordini del Fronte Nazionale; il proscioglimento fu infatti così
motivato:
"molte persone aderirono al Fronte Nazionale
perché illuse e confuse da ingannevole pubblicità... Nei loro confronti non sono
state avanzate istanze punitive nella presunzione che l'iscrizione, il gesto
isolato e sporadico, il sostegno esterno, la convergenza spirituale di per sé rilevano,
piuttosto che un permanente legame, un atteggiamento psicologico non incidente
sulla 'condizione' processuale degli interessati".
Indipendentemente dalla fondatezza giuridica di tale
dichiarata presunzione, va rilevato che tra le posizioni così archiviate ve ne
erano alcune riferibili a soggetti che negli anni successivi compariranno in
momenti di rilievo dell'eversione di destra, quali Carmine Palladino, Giulio
Crescenzi, Stefano Serpieri, Gianfranco Bertoli (autore della strage di via
Fatebenefratelli a Milano), Giancarlo Rognoni (coinvolto nella strage di P.zza
fontana), Mauro Marzorati, Carlo Fumagalli, Nico Azzi (autore della tentata
strage del 7 aprile 1973 di cui si è già detto).
Analogamente alcuni dati di fatto - pur non contestati -
furono incomprensibilmente svalutati nella decisione della Corte di Assise di
primo grado, che accetto le più ridicole giustificazioni di condotte che
apparivano ictu oculi di straordinaria gravità (come quella del gen. Berti
nell'avere condotto un'intera colonna di militari armati di tutto punto e muniti
di manette, acquistate senza autorizzazione ministeriale appena pochi giorni
prima, fino a poche centinaia di metri dalla sede della radiotelevisione).
Esito di tale complessiva lettura minimizzate può
ritenersi la finale ricostruzione della vicenda, cui approda la Corte di Assise
di Appello romana nella già ricordata sentenza, affermando:
"che i 'clamorosi' eventi della notte in argomento si
siano concretati nel conciliabolo di quattro o cinque sessantenni nello studio
di commercialista dell'imputato Mario Rosa, nella adunata semipubblica di
qualche decina di persone nei locali della sede centrale del Fronte Nazionale
(adunata cui potettero presenziare anche estranei al movimento, e cioè attivisti
dell'M.S.I., incaricati dal loro partito di sorvegliare, senza neppure tanta
discrezione, le attività di J. V. Borghese e dei suoi seguaci), nel dislocamento
di uno sparuto gruppo di giovinastri in una zona periferica e strategicamente
insignificante dell'agglomerato urbano, nel concentramento di un imprecisato
numero di individui, alcuni certamente armati ma i più sicuramente non molto
determinati, nella zona di Montesacro, in un cantiere impiantato dall'impresa di
Remo Orlandini, e, da ultimo, nella riunione di cento o duecento persone, fra
uomini e donne, senza armi in una palestra gestita dall'associazione
paracadutisti nella via Eleniana di Roma".
Così come analogamente minimizzate appare la valutazione
che nella medesima sede viene operata del Fronte Nazionale e del suo
organizzatore:
"La formazione creata e capeggiata da J. V. Borghese,
con l'apporto determinante soprattutto di elementi legati, se non politicamente
ed ideologicamente, almeno sentimentalmente al fascismo, ed al fascismo più
deteriore, quello repubblichino, accolse nel suo seno esaltati, se non
mentecatti, di ogni risma pronti a conclamare in ogni occasione la propria
viscerale avversione al sistema della democrazia liberale, avversione condivisa
dal loro capo, nonché ad alimentare deliranti segni di
rivalsa e speranze e propositi illusori di rovesciare
il regime creato dalle forze andate al potere dopo la disfatta del fascismo:
conseguentemente è indubbio e risulta documentato in atti, che
all'organizzazione del Fronte Nazionale appartennero individui che, in assenza
di qualsiasi elemento che potesse conferire caratteri di concretezza ai loro
discorsi, presero a farneticare di imminenti colpi di Stato, nei quali essi
stessi e il movimento cui si erano affiliati avrebbero dovuto avere un ruolo
determinante, o almeno significativo, a spingere le proprie sfrenate fantasie,
apparse subito comiche alla generalità dei compari, un po' meno sprovveduti di
loro, sino al punto di vagheggiare spartizioni di cariche per sé e per i propri
amici e conoscenti nell'amministrazione centrale e periferica dello Stato, a
predisporre proclami da rivolgere al popolo dopo la auspicata instaurazione del
fantasticato "ordine nuovo", ad immaginare come imminenti sovvertimenti
istituzionali....".
Sorprendente appare alla Commissione che a valutazioni
siffatte si sia potuto giungere nel 1984, cioè al termine del terribile
quindicennio che ha insanguinato la Repubblica; e cioè dopo che una serie di
eventi, con la tragicità della loro evidenza, avevano dimostrato la estrema
pericolosità dei fenomeni, in cui la vicenda della notte dell'Immacolata veniva
ad inserirsi, preannunciando in qualche modo episodi successivi, di cui molti
degli aderenti al Fronte Nazionale furono, come già segnalato, i negativi
protagonisti. Vuol dirsi cioè che una valutazione giudiziaria così minimizzante
dell'episodio avrebbe avuto senso se lo stesso fosse venuto ad inserirsi in un
contesto storico sociale assolutamente pacifico; e cioè affatto diverso da
quello che caratterizzò il Paese per l'intero decennio degli anni '70.
In quel contesto la vicenda della notte dell'Immacolata
non può meritare una così intensa sottovalutazione che stride, fino alla
inverosimiglianza, con la stessa personalità del suo protagonista, (il
Comandante Borghese), quale già all'epoca nota e quale meglio è venuta a
precisarsi a seguito di più recenti acquisizioni: un coraggioso uomo d'armi,
avvezzo a responsabilità di elevato comando, esperto di guerra e di guerriglia,
conoscitore degli aspetti e dei profili occulti del potere, sia in ambito
nazionale che internazionale. Appare francamente inverosimile che personalità
siffatta si sia posta alla testa di un gruppo di "mentecatti" o di "giovinastri"
quali alla autorità giudiziaria sono apparsi gli affiliati al Fronte Nazionale,
per assumere i rischi di pesanti responsabilità senza alcun tornaconto personale
ovvero senza alcuna concreta possibilità di successo.
Peraltro è estremamente probabile che anche gli esiti
giudiziari della vicenda sarebbero stati diversi se intense e molteplici non
fossero state le condotte di occultamento della verità anche da parte degli
apparati.
Le varie fasi del tentativo insurrezionale furono infatti
costellate da contatti tra uomini del Fronte Nazionale e pubblici funzionari, in
cui è difficile distinguere le condotte partecipative di questi ultimi da quelle
di mero favoreggiamento successivo.
Con nota del 13 agosto 1971, infatti, il SID comunicò
all'autorità giudiziaria che le notizie in possesso del Servizio
"portavano all'esclusione di collusioni, connivenze o
partecipazioni di ambienti o persone militari in attività di servizio".
Sin dal 1974 emerse, invece, che il SID aveva occultato
rilevanti elementi di prova sugli avvenimenti della notte dell'Immacolata. Erano
infatti state raccolte, nell'immediatezza dei fatti (e per alcuni versi persino
prima che essi accadessero), informazioni assai particolareggiate sulla
organizzazione del colpo di Stato e sulla identificazione di coloro che - a
diverso titolo - vi avevano avuto parte.
Tra queste informazioni ve ne erano di provenienza non
meramente confidenziale, come le registrazioni dei colloqui avvenuti tra il
Capitano del SID Antonio Labruna e uno dei congiurati, Remo Orlandini, nonché
registrazioni di conversazioni telefoniche raccolte sin dal giorno successivo al
fallimento dell'iniziativa.
Nel settembre 1974 il Ministro della Difesa, Giulio
Andreotti, impose al SID (e per esso al nuovo direttore Casardi e a quello del
Reparto D,
Gian Adelio Maletti) di comunicare
all'autorità giudiziaria le informazioni in possesso del servizio.
Furono quindi inviate tre distinte memorie, che
riguardavano rispettivamente il Golpe Borghese, la "Rosa dei Venti" e ulteriori
fatti di cospirazione dell'estate 1974, a seguito delle quali fu infine esibito
il materiale (che all'epoca si ritenne integrale) raccolto dl Reparto D.
Già da questo materiale risultò evidente che il Servizio
aveva seguito sin dalla nascita il Fronte Nazionale; risultano accuratamente
descritti i contatti con i dirigenti di Ordine Nuovo (tra cui Pino Rauti) e di
Avanguardia Nazionale (tra cui Stefano Delle Chiaie, definito "un tecnico
della agitazione di massa e della cospirazione"); l'addestramento all'uso
delle armi individuali; la preparazioni del colpo di Stato; la disponibilità di
armi e i collegamenti con settori delle Forze Armate (ivi compreso il ricorso
alle caserme per l'approvigionamento delle armi e munizioni in caso di
necessità).
Nessuna contromisura risultò però essere stata predisposta
e il disvelamento della condotta del Servizio al suo interno portò
allontanamento del suo Direttore generale Miceli e al rafforzamento di Casardi e
Maletti.
Fu però soltanto a seguito dell'assassinio del giornalista
Mino Pecorelli (avvenuto in Roma il 21 marzo 1979) che si accertò come solo una
parte delle informazioni fosse stata effettivamente posta a disposizione degli
inquirenti: quelle concernenti il coinvolgimento di alti ufficiali delle Forze
Armate e dello stesso Servizio di informazione erano state in realtà in larga
parte soppresse.
Nel colorito linguaggio del settimanale OP - che appare
sempre di più un singolarissimo crocevia, un luogo fitto di intrecci di svariati
"fiumi carsici" che attraversarono la vita del Paese - ciò verrà
sintetizzato nella espressione "malloppone e mallopponi" a segnalare che
da un originario, grande rapporto erano state ricavate più modeste, purgate
informative.
I contenuti di OP, decrittati alla luce delle acquisizioni
di cui oggi si è in possesso, convincono che tra le responsabilità da occultare
vi fu anche con ogni probabilità quella di Lucio Gelli il cui ruolo sarebbe
stato quello di consegnare la persona del Presidente della Repubblica in mano al
Fronte Nazionale, avvantaggiato in ciò dai rapporti diretti con il gen. Miceli
che davano a Gelli libero accesso al Quirinale.
Questo è il ruolo che a Gelli sarebbe stato assegnato nel
colpo di Stato del 1970 in danno del Presidente Saragat; analogo ruolo Gelli
avrebbe dovuto svolgere in danno del Presidente Leone secondo un altro progetto
eversivo del '73-'74, di cui in seguito più ampiamente si dirà.
In più recenti indagini giudiziarie[1][1],
sulla base di nuovi apporti collaborativi di Spiazzi e Labruna, meritevoli
indubbiamente di ulteriori verifiche, è in particolare emerso:
1. L'attività informativa svolta sul Golpe Borghese e
sulla Rosa dei Venti, contattando soprattutto Remo Orlandini, e la successiva
espunzione e manipolazione dei nastri operata dai responsabili del Reparto D,
affinché non divenisse pubblico il coinvolgimento in tali progetti di alcuni
alti ufficiali, di Licio Gelli e di parte della massoneria, nonché la piena
conoscenza del progetto Borghese e di quelli successivi da parte degli ambienti
militari americani.
2. La consegna allo stesso Labruna ad opera del
giornalista Guido Paglia, divenuto alla fine del 1972 informatore del SID, di
una dettagliata relazione sul ruolo svolto da Avanguardia nazionale nel golpe
Borghese e sugli avvenimenti della notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, relazione
poi trasmessa al gen. Maletti e mai inviata da questi all'autorità giudiziaria,
rimanendo
praticamente inutilizzata.
3. La consegna da parte di Guido Giannettini, sempre a
Labruna, di un'analoga relazione sul golpe Borghese, dalla quale i responsabili
del Reparto D avevano soppresso la nota relativa all'ammiraglio Giovanni Torrisi
affinché non ne emergesse il coinvolgimento nei fatti del 1970.
Vengono in tal modo ad aprirsi nuove prospettive di
indagine, di cui non è qui il caso di dar compiutamente conto, ma che se
utilmente percorse porterebbero in luce più ampie connessioni di apparati
istituzionali e con il
golpe tentato del '70 e con un successivo progetto
eversivo del '73-'74, che avrebbe dovuto perseguire, sempre con modalità
sostanzialmente insurrezionali, la realizzazione di un progetto di revisione
costituzionale, che portasse all'instaurazione di una Repubblica presidenziale,
caratterizzata da programmi socialmente avanzati, ma da forti limitazioni dei
diritti sindacali, concentrazione dei mezzi di informazione e da una forte
scelta atlantista; un progetto di "stabilizzazione" quindi da realizzarsi
attraverso mezzi destabilizzanti (attentati sui treni e in
luoghi pubblici, eliminazione di avversari politici, scontri di piazza) la cui
responsabilità sarebbe stata apparentemente attribuibile alla sovversione di
sinistra, sì da determinare una forte domanda d'ordine e quindi giustificare
l'intervento delle Forze Armate.
In particolare, con specifico riferimento al tentativo
insurrezionale del '70, recenti acquisizioni processuali, soprattutto
dell'autorità giudiziaria di Milano e di Bologna, consentono una lettura
dell'episodio che ne aggrava la rilevanza, avuto riguardo ad una più precisa
individuazione di quanto si sarebbe dovuto verificare.
Ad agire in supporto degli insorti non avrebbero dovuto
essere solo manipoli di congiurati, raccolti intorno a ufficiali infedeli.
In realtà la notte del 7 dicembre sarebbe stato impartito
(come afferma lo stesso Spiazzi) l'ordine di mobilitazione delle strutture
costituite nell'ambito degli uffici I dell'Esercito con funzione di contrasto di
moti comunisti. Si sarebbe trattato dunque della mobilitazione delle strutture
miste, costituite da civili e militari, denominate Nuclei di difesa dello Stato,
e di cui si è detto in altra parte della relazione.
Ciò sembra confermato dalle dichiarazioni di uno dei
componenti di questa struttura, direttamente dipendente dallo Spiazzi (Enzo
Ferro) e da quelle rese sin dal 1974 da altro componente (con ruoli di maggior
rilievo) Roberto Cavallaro.
L'ordine, come riferito da Spiazzi, sarebbe stato
impartito per radio, attraverso i codici del piano di mobilitazione; Spiazzi
afferma che ricevendo, ne chiese conferma, ottenendola, e quindi si mosse;
ricevette poi il contrordine, quando ormai aveva raggiunto le porte di Milano e
fece ritorno in caserma.
Se queste furono le modalità di comunicazione dell'ordine
di mobilitazione, è da presumere che anche gli altri Nuclei siano stati
attivati, anche se la loro stessa esistenza e poi rimasta coperta dal segreto
per oltre vent'anni. E in effetti plurime fonti di recente acquisizione
indicherebbero che la mobilitazione ebbe luogo:
1. a Venezia, di civili e militari, d'innanzi al comando
della Marina militare;
2. a Verona di civili e militari;
3. in Toscana e Umbria, dove i militanti erano stati
dotati ciascuno di un'arma lunga e di una corta e gli obiettivi assegnati;
4. a Reggio Calabria, ove avrebbe dovuto aver luogo la
distribuzione di divise dei Carabinieri.
Si è in presenza, giova ribadirlo ancora, di nuove
acquisizioni processuali non ancora sottoposte al necessario vaglio
dibattimentale. E tuttavia le stesse appaiono idonee a rafforzare il
convincimento della Commissione, nell'ambito delle competenze sue proprie, in
ordine alla sottovalutazione già sottolineata che gli avvenimenti della notte
dell'Immacolata ebbero nelle segnalate sentenze delle Corti di Assise romane e
anche in sede pubblicistica.
Ad una riflessione più meditata che tenga conto, come è
alla Commissione possibile per la specificità dell'angolo prospettico che ne
caratterizza l'indagine, gli avvenimenti oggetto di esame appaiono non già un "golpe
da operetta", quanto il punto di emersione di un ampio intreccio di forze,
cospirative che furono occultamente attive per un lungo periodo; e che,
analizzato nelle sue diverse componenti, rende leggibili una pluralità di
avvenimenti anteriori e successivi, che altrimenti sarebbero destinati a restare
oscuri e quindi inconoscibili nelle loro nascoste ragioni.
Va peraltro riconosciuto che anche in tale più ampia
ricostruzione resta irrisolto quello che sin dall'inizio apparve come uno dei
nodi principali posti in sede analitica dagli avvenimenti del dicembre 1970; e
che attiene alle ragioni per cui il tentativo insurrezionale, che oggi può
ritenersi il frutto di un'ampia cospirazione, rientrò quasi immediatamente dopo
l'iniziale attivazione.
Si è già detto che il contrordine
venne dato dallo stesso Borghese che non ne ha mai voluto spiegare le ragioni,
nemmeno ai suoi più fidati collaboratori
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