Non esistono i servizi segreti deviati, ma le
deviazioni dei servizi segreti
I servizi segreti dell’Italia democratica nascono
ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini
e strutture - del vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante
il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate).
Già nella costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo:
nessun dibattito parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata
dall’allora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano.
Dalla nascita della Repubblica, l’Italia ha atteso più di
tre anni, quindi, per dar vita all’organismo che dovrebbe tutelarne la
sicurezza, il tempo necessario a “scaricare” le sinistre dal governo e ad
aderire al Patto Atlantico.
Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata
Giovanni Carlo Del Re che opera sotto l’esplicita supervisione dall’emissario
della CIA in Italia, Carmel Offie.
In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951
dal gen. Umberto Broccoli – l’uomo che – almeno sulla carta - darà l’avvio a
Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.
Anche Musco, che nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata
Italiana per la Libertà) - una formazione diretta da militari, sostenuta
economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di
vigilare su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta osservanza
CIA e proprio sotto il controllo americano portò a termine l’acquisto dei
terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la base di Gladio.
GLI ANNI DI DE LORENZO
Ma è con l’avvento ai vertici del Sifar del gen. Giovanni
De Lorenzo che i servizi segreti italiani si trasformano e cominciano a giocare
un ruolo preponderante sulla scena politica italiana. La nomina di De Lorenzo
non è casuale: a caldeggiarla, con insistenza, è l’ambasciatrice degli USA
Claire Booth Luce, ma il generale è uomo molto gradito anche alle sinistre che
per anni equivocheranno sui suoi meriti resistenziali.
De Lorenzo assume le redini del SIFAR nel gennaio del
1956. Resterà in carica fino all'ottobre del 1962: quasi sette anni filati,
fatto mai accaduto, neppure in seguito, nella storia dei servizi segreti
italiani. E’ sotto la gestione De Lorenzo che l’Italia sottoscriverà il piano,
redatto dalla CIA, denominato “Demagnetize” il cui assunto è: <<La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in
Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi
mezzo>>.
Gli anni di De Lorenzo al SIFAR sono gli anni delle
schedature di massa degli italiani: verranno raccolti oltre 157 mila fascicoli,
molti dei quali abusivi e falsi, in gran parte del tutto superflui per la
sicurezza, ma utili strumenti di pressione e di ricatto.
Nominato sul finire del 1962 comandante generale dell’Arma
dei carabinieri e quindi costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De
Lorenzo riuscì comunque a mantenere il controllo del SIFAR, facendo in modo che
al suo posto venisse nominato un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e che i posti
chiave del servizio stesso fossero occupati da suoi uomini di fiducia: Giovanni
Allavena - responsabile, contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del
CCS (controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR– e Luigi
Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile) incarico di responsabile
dell’amministrazione del SIFAR e capo dell’ufficio programmazione e bilancio
dell’Arma.
E’ con De Lorenzo ai vertici dei carabinieri che si
acuisce la tensione in Alto Adige, una regione attraversata all’epoca da una
forte vena irredentista filo-austriaca e, nel luglio del 1964, si ode il famoso
“rumor di sciabole” di cui parlò l’allora segretario socialista Pietro Nenni,
allorché la formazione del secondo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo
Moro, si realizzò sotto la minaccia, più o meno velata, di un colpo di stato: il
Piano Solo.
NASCE IL SID
Anche se lo scandalo delle schedature del Sifar e del
Piano Solo verranno alla luce solo tre anni dopo, nel 1967, grazie ad una
campagna di stampa del settimanale L’Espresso, condotta dai giornalisti Lino
Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, già nel 1965 il SIFAR viene sciolto.
E’ uno scioglimento solo di facciata, l’ennesimo: con un
decreto del Presidente della Repubblica, il 18 novembre 1965, nasce il SID
(Servizio Informazioni Difesa) che del vecchio servizio continuerà a mantenere
uomini e strutture.
Il comando del SID viene affidato all’amm. Eugenio Henke,
genovese, molto vicino al ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani,
democristiano.
Sotto la gestione Henke – che resterà in carica fino al
1970 – prenderà l’avvio la strategia della tensione che avrà come primo,
tragico, risultato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Henke lascia il SID il 18 ottobre 1970 per essere
sostituito dal gen. Vito Miceli che già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio
informazioni) dell’Esercito. Non trascorrono neppure due mesi dal nuovo cambio
della guardia ai vertici dei servizi segreti italiani, che nella notte tra il 7
e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti, capeggiati dal “principe nero”
Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, mette in atto un ancor oggi
misterioso tentativo di colpo di stato, nome in codice “Tora, Tora”, passato
alla cronaca come il Golpe Borghese.
E’ noto che il tentativo di colpo di stato fallì, o meglio
aveva al suo interno forze che ne avevano preventivato il fallimento. Di quel
golpe che sapeva molto era proprio il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli che
nel sottile gioco delle alleanze politiche era legatissimo ad Aldo Moro e nemico
giurato di una altro potente democristiano: Giulio Andreotti.
Miceli di quel tentativo di golpe tacque: in primis con la
magistratura. Quando nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul Golpe Borghese
arriverà alla sua stretta finale, Miceli avrà già lasciato il servizio, travolto
da una serie di incriminazioni che porteranno al suo arresto per altri fatti
ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione della Rosa dei Venti,
un’altra struttura militare para-golpista e lo scontro durissimo che lo opporrà
al capo dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio Maletti.
Gli anni della gestione Miceli sono gli anni dello stragismo in Italia: da
Peteano, alla strage alla Questura di Milano, da Brescia all’Italicus.
Come era già accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà in
parlamento: eletto, anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così
come anni dopo succederà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen. Antonio
Ramponi, nelle file di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini.
LA RIFORMA DEI SERVIZI SEGRETI
La prima riforma organica dei servizi segreti – ma anche
fino ad oggi l’ultima – risale al 1977. Sempre più vicino all’area di governo,
impegnato in una politica improntata al consociativismo, il PCI partecipa
direttamente ed in prima persona, attraverso la figura del sen. Ugo Pecchioli,
alla riforma.
Per la prima volta viene introdotta una figura di
responsabile dell’attività dei servizi segreti di fronte al Parlamento: è il
Presidente del Consiglio che si avvale della collaborazione di un consiglio
interministeriale, il CESIS che ha anche un compito di coordinamento. Inoltre i
servizi devono rispondere di quello che fanno ad un Comitato parlamentare.
Ma un importante novità introdotta dalla riforma dei
servizi segreti riguarda lo sdoppiamento dei servizi stessi: al SISMI (Servizio
d’Informazioni per la Sicurezza Militare) il compito di occuparsi della
sicurezza nei confronti dell’esterno, al SISDE (Servizio d’Informazioni per la
Sicurezza Democratica) quello di vigilare all’interno. Con in più un’altra
differenza: se il SISMI resta completamente affidato a personale militare, il
SISDE diventa una struttura civile, affidata alla polizia che è diventato un
corpo smilitarizzato.
Una riforma, quindi, buona nelle intenzioni, ma che negli
anni a seguire produrrà soltanto risultati disastrosi, anche perché gli uomini
che andranno a far parte del SISMI e del SISDE saranno gli stessi che hanno
già fatto parte del SIFAR e del SID e, per quanto riguarda il servizio civile, del
disciolto – e famigerato – Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno.
Retto dal 1974 al 1978 dall’amm. Mario Casardi, il SISMI
vedrà l’ascesa, nello stesso anno, del gen. Giuseppe Santovito, già stretto
collaboratore di De Lorenzo.
Il SISDE, la cui direzione sarebbe dovuta spettare ad
Emilio Santillo, già capo dell’Ispettorato per l’antiterrosimo, pur essendo una
stuttura non militare finirà proprio ad un militare, generale dei carabinieri
Giulio Grassini.
Il primo scandalo in cui incappano i servizi riformati è
quello della Loggia P2. I nomi di tutti i vertici dei servizi segreti (SISMI,
SISDE ed anche del CESIS, l’organo di coordinamento) sono compresi nella famosa
lista del maestro venerabile Licio Gelli, scoperta il 17 marzo 1981 dai
magistrati milanesi che indagano su Sindona.
IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI NEI MISTERI DEGLI ANNI
OTTANTA
E’ questa forse una pagina che non è stata ancora scritta
del tutto. Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti sono dentro
fino al collo nel caso Moro, i 55 giorni che trascorsero fra il sequestro del
presidente della DC da parte di un commando delle Brigate rosse e l’uccisione
dell’uomo politico.
Omissioni, inefficienze, tacite connivenze, depistaggi,
forse anche qualcosa di più.
Molto, ma molto di più invece nella strage di Bologna dove
per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, sono stati condannati,
assieme a Gelli, alcuni uomini del SISMI, come il gen. Pietro Musumeci e il col.
Giuseppe Belmonte. E con loro anche il faccendiere Francesco Pazienza, in
seguito imputati anche per aver creato una superstruttura occulta (il c.d.
SUPERSISMI) all’interno del servizio segreto militare, sospettato di aver
operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.
C’è da aggiungere che uomini del SISMI sono rimasti
implicati anche nell’inchiesta sulla strage di Ustica.
Nel 1984 arriva al vertice del SISMI colui che passa per
un rinnovatore: è l’amm. Fulvio Martini. Resterà in carica fino al febbraio del
1991 quando, assieme al suo capo di stato maggiore, il gen. Paolo Inzerilli,
finirà travolto dalla vicenda di Gladio.
Parallelamente al Sisde si succederanno i prefetti
Vincenzo Parisi (1984-1987), che diventerà subito dopo capo della polizia e
Riccardo Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo scandalo dei fondi
neri del SISDE.
Il resto è storia recente. Gli uomini che siederanno ai
vertici di SISMI e SISDE nell’ultimo decennio sono, per fortuna del Paese, tutte
o quasi figure di scarso rilievo, ma, almeno all’apparenza, tutte dotate di
saldo spirito democratico.
I servizi segreti italiani sembrano aver scelto la linea
del basso profilo: forse servono a poco o a nulla. Ma almeno non fanno danni.
Anche se – bisogna aggiungere - trattandosi di apparati di sicurezza (sicurezza
di chi?) bisogna sempre stare attenti.
(fonte principale:
G. De Lutiis – Storia dei servizi segreti in Italia, Editori riuniti, varie
edizioni)
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