Tratto dal
libro "La notte della Repubblica" di Sergio Zavoli
Zavoli:
Signor Valpreda, dove si è fermata a suo avviso la verità?
Valpreda:
Subito dopo la strage, appena arrivarono i giudici mandati dal potere, da Roma,
che carpirono l'istruttoria al giudice naturale di Milano, un giudice di
Magistratura democratica che, allora, sembrava volesse fare non solo un'indagine
con i crismi della legalità, come è stato fatto in seguito, ma anche appurare la
verità che fu rapinata, invece, dopo ventiquattro ore. Credo che da allora la
verità sia sparita totalmente, anche se poi con controinchieste, mezze
ammissioni, eccetera, qualcosa emerse…non in forma attiva, ma in forma negativa…
non del genere "ha fatto", ma "non mi ricordo", "non ho potuto fare". Però, si,
qualcosa è rimasto.
Z: Il
nostro è uno Stato di diritto, con una democrazia forte, in cui si ha la più
alta percentuale di votanti nel mondo, e che al terrorismo ha dato risposte non
ideologiche: è disposto oggi a riconoscerlo?
V: Secondo
le mie esperienze mi sembra che siamo usciti abbastanza fuori dalla
Costituzione. Non voglio parlare di altre persone che, inquisite, sono state
anni in carcere, forse più duro del mio, e che poi, passato gli anni
dell'emergenza, sono risultate innocenti. C'era un clima pesante, allora, e non
mi sembra fosse il clima dei dettami costituzionali.
Z: Il altri
paesi pur democratici - la Germania occidentale, per esempio - si sono scelte a
volte forme inconfessabili di repressione, mentre da noi emergenza e garantismo
hanno cercato una difficile conciliazione. A suo giudizio, il sistema delle
garanzie, in generale, è stato rispettato nel nostro Paese?
V: No.
Z: Questa
giustizia che le è stata resa le basta o la vuole piena, senza alcuna riserva?
V: Ma
senta, io ho trovato abbastanza forza in me per reagire, e forse ho avuto anche
una situazione oggettiva che mi ha permesso di rifarmi una vita. Per il resto,
non credo di dover chiedere di più… Non credo neanche che lo Stato possa e
voglia dare di più. Altri hanno detto: sarà fatta giustizia, sarà fatta luce.
Non so, questo mi pare misticismo… Credere in un dio statale che non esiste…
Perché dovrei pregare davanti a un altare in cui non credo? C'è una verità dello
Stato. Io ho avuto la mia, che mi ha promesso di sopravvivere. Proseguo con la
mia.
Z: C'è un
tempo della verità che viene per le persone, cioè dentro di noi, al di là di ciò
che accade fuori. In genere è il dolore, la sofferenza a risistemare, negli
anni, cose, pensieri, sentimenti e giudizi. Quella strage ha avuto strascichi
gravi, persino delittuosi (penso all'uccisione del commissario Calabresi). Di
fronte alla colpevolizzazione di Calabresi, concitata, emotiva, senza appello,
qual era il suo stato d'animo, allora? Come reagì alla notizia di quell'evento e
come lo giudica, oggi?
V: Quando
fu ammazzato il commissario Calabresi mi trovano ancora in carcere, attraversavo
un periodo abbastanza critico. Il commissario fu ucciso poco tempo dopo che fu
sospeso il mio primo processo a Roma e non vedevo una via d'uscita. Se dicessi
che allora mi è dispiaciuto della morte del commissario Calabresi sarei un
ipocrita. Adesso, forse, riuscirò a scindere il Calabresi uomo che conoscevo dal
Calabresi politico, portato avanti come emblema di morte da Lotta continua, dai
compagni e anche dal sottoscritto. Calabresi era sicuramente un individuo
preparato e intelligente.
Credo che
uno dei motivi per cui è arrivato dove p arrivato, cioè ad essere assassinato,
sia stata l'ambizione. Sì, Calabresi era un ambizioso… nel senso che anche nei
nostri interrogatori non voleva mostrarsi un commissario sprovveduto, ma diceva:
"Guarda, io ho letto Bakunin, perciò non mi dire questo, ho letto Malatesta" e
così via. Aveva una certa preparazione, insomma. E' certo che Calabresi non era
nella stanza quando morì Pinelli. C'erano quattro poliziotti e un carabiniere,
si sanno i nomi e i cognomi. Un altro dato è certo: Calabresi conosceva me e
conosceva ancora meglio Pinelli, che era quello che andava in questura a
chiedere i permessi per le affissioni dei manifesti e per le manifestazioni. Lo
conosceva benissimo e sapeva benissimo che Pinelli era innocente… ne sono
convinto. Perché a un sospetto di strage, fermato in un gruppo anarchico, si
dice:"Noi andiamo in macchina, tu seguici con il motorino." Quella era una
strage. Quando mai si è visto che la polizia, anche a uno sospettato di avere
accoltellato la moglie, dica:"Siamo stretti, noi andiamo in macchina, tu seguici
in bicicletta"? Qui si prende in giro l'intelligenza delle persone. La morte di
Calabresi credo che alla sinistra abbia fatto più male che bene. Mentre con
Calabresi vivo potevano forse emergere alcune responsabilità, Calabresi morto
diventava una pietra tombale.
Z: Perdoni,
a me non interessava tanto sapere il giudizio, diciamo, politico su quella morte
e sull'opportunità o meno di uccidere in base ad alcune logiche, seppure
perverse. Io volevo chiederle: lei, in fondo, parlando di Calabresi, la cosa più
negativa che ha potuto attribuirgli è l'ambizione. Ma l'ambizione è una colpa da
pagare con la vita?
V: No!
Z: Oggi,
che giudizio dà dell'uccisione di Calabresi?
V: Come ho
detto prima, un giudizio negativo sotto tutti i punti di vista. E là in
questura, sicuramente, ci sono nomi e cognomi di persone che anno senz'altro più
responsabilità di Calabresi.
Z: Che cosa
pensa sia accaduto quella notte negli uffici della questura, dopo che Pinelli fu
interrogato da Calabresi?
V: Senta,
io ci ho pensato per anni e ci penso ancora sul piano politico, e sul piano
umano, perché per me Pinelli era un amico e un compagno. Pinelli trascorse
settantadue ore in questura, ben oltre i tempi di un fermo regolamentare. In
quei due giorni poté muoversi, telefonare alla moglie, la moglie poté andare a
ritirare la sua paga. Ora, quel minimo di libertà che Pinelli aveva in questura
non era la libertà che si dà a un individuo sospettato non dico di strage, ma
nemmeno di un volgare furto. Difatti, appena c'è un piccolo sospetto, la polizia
tiene altri comportamenti. Il fermato viene accompagnato anche per i suoi
bisogni personali e la porta rimane aperta. Pinelli, invece, ha potuto, come
dicevo prima, telefonare a casa fino alle dieci di sera. Alle dieci di sera
comincia questo interrogatorio e Pinelli precipita dal quarto piano della
questura. Sembra che ci sia una frattura tra queste settanta ore e le ultime
due, che sia successo un qualcosa che esuli da piazza Fontana, un avvenimento
diverso, estraneo: qualunque ipotesi è buona. Che Pinelli sia stato assassinato,
ne sono pienamente convinto. Io, chi lo conoscevo bene, so che non si sarebbe
mai suicidato. Aveva due bambine che adorava, la Silvia e la Claudia, aveva una
moglie… e poi tutta la sua attività politica, gli amici, eccetera. Quanto è
successo lì, in questura, anche a distanza di anni, mi è incomprensibile,
davvero…
Z: Vent'anni,
dunque, per avere giustizia: non solo lei ma, insieme con lei e con tanti altri,
soprattutto i familiari di quelle povere persone morte di stragismo, cioè di un
delitto alla cieca che mette insieme della gente sconosciuta e la trasforma in
un bersaglio. Si saprà mai la verità, e a quali condizioni. Lei crede
ancora nella giustizia?
V: Non
necessariamente. Credere nella verità non comporta credere nella giustizia. In
questi ultimi tempi abbiamo visto che, forse, credere nella verità è porsi in
antitesi con la giustizia. Io, per conto mio, sono convinto che alcune verità
non si sapranno più. Credo che, anche aprendo tutti gli archivi dei Servizi
segreti, non possano emergere altre verità. Potrebbero emergere delle
indicazioni, delle ammissioni, delle non responsabilità, forse. Ma la
colpevolezza non credo più che si trovi!
Z: Io non
sono in grado di stabilire se questo suo pessimismo abbia fondamento, so però
che non andrebbe incoraggiato. Vorrei aprire una piccola finestra, invece, sul
futuro. In nome dell'ottimismo: suo figlio. Lei lo ha chiamato Tupa Libero
Emiliano. Oggi ha quindici anni, ha pertanto vissuto, in grado di capirle, le
ultime fasi delle sue lunghe vicissitudini giudiziarie. Gli ha mai palato della
sua storia? E lui le ha mai fatto domande? Come vi siete spiegati?
V: Devo
dire che mio figlio non ha mai avuto problemi. Casa mia è sempre stata
frequentata dalla nostra cerchia, un gruppo di amici, compagni, persone che non
hanno fatto pesare a mio figlio niente. Nel quartiere, uguale. Non veniva
additato come "il figlio del mostro". La mia storia lo ha sfiorato, senza
nemmeno toccarlo.
Z: Che cosa
si augura per suo figlio?
V: Beh, che
sia felice. Non gli augura né soldi, né successo. E, ovviamente, che non passi
le esperienze che ha passato suo padre.
|