Tratto da :
http://www.partecipasalute.it/rubrica-1/rubrica005.php
Dal 2005 tutti i farmaci
antidiolorifici, dai semplici antifiammatori alla morfina,
saranno gratuiti e passeranno in fascia A, secondo quanto
annunciato giorni fa dal ministro della salute Girolamo
Sirchia e dal direttore generale dell'Agenzia italiana del
farmaco (AIFA) Nello Martini. L'utilizzo corretto dei
farmaci antidolorifici nel contesto di malattie croniche e
gravi, come i tumori, è stato stabilito dall'Organizzazione
mondiale della sanità, che ha definito una scala a tre
gradini: al livello più basso ci sono i farmaci
antinfiammatori non steroidei, da usare per i dolori più
lievi (per esempio paracetamolo e acido acetilsalicilico).
Il secondo livello prevede l'aggiunta di farmaci oppiacei
deboli (come la codeina) ai farmaci di primo livello. Se
questi non bastano si passa al terzo livello con gli
oppioidi forti, come la morfina (vedi box: I farmaci contro
il dolore).
Come si identifica e si
misura il dolore?
La modalità più usata e codificata prevede di porre alla
persona una serie di domande per identificare l'intensità
del dolore su una scala da 0 a 10, chiedendo di indicare il
livello di dolore provato nell'ultima settimana e al momento
in cui viene sottoposto il questionario. A seconda dei
livelli identificati dalla persona, il dolore viene
classificato in lieve, moderato, forte.
Quanto è diffuso il dolore
in Italia e in Europa
Il dolore è una condizione comune e molto diffusa, più
frequente in alcune malattie e in alcune fasi della vita.
Secondo una stima di Vittorio Ventafridda, direttore
scientifico della fondazione Floriani di Milano, presentata
in un articolo pubblicato sul Sole 24 ore,1 in Italia i
pazienti che soffrono di dolori benigni (cioè non dovuti a
una condizione terminale) ricorrenti, che intaccano la
qualità della vita in modo profondo, sono circa 14 milioni.
Secondo altre statistiche su ampi campioni della popolazione
italiana,2-3 quasi il 60% degli italiani riporta qualche
forma di dolore nell'ultimo mese dal momento
dell'intervista, il 28% degli italiani intervistati riporta
che questo dolore era di intensità moderata-severa e il 12%
racconta che questo dolore ha avuto un impatto importante
sulla vita quotidiana. In alcune malattie croniche il dolore
diventa più frequente e ancora più rilevante per la qualità
della vita quotidiana.
Dai dati della Pain in Europe
Survey, una vasta ricerca sulla diffusione del dolore
cronico in Europa, presentati a Milano nel maggio 2004,
risulta che, mentre in Europa 1 paziente su 5 soffre di
dolore cronico, in Italia ne soffre 1 su 4. In metà delle
famiglie italiane c'è almeno una persona affetta da dolore
cronico, a fronte di una diffusione europea del sintomo pari
al 19% (meno di un quinto della popolazione). Oltre il 40%
delle persone in Italia che provano dolore afferma di avere
una sofferenza grave, rispetto al 35% circa dei pazienti in
Europa.
In particolare nelle persone
malate di tumore, secondo revisioni recenti,4 la prevalenza
del dolore, pur variando molto per tipo di malattia e stadio
del tumore, è stimabile attorno al 74% (in tutta Europa); il
sintomo è più diffuso in caso di tumore della testa e del
collo, dell'apparto genito urinario, dell'esofago e della
prostata.
Il confronto con la situazione
europea mostra come in Italia la prescrizione e l'uso di
farmaci antidolorifici, in particolare di oppiacei, siano
molto bassi rispetto alla diffusione del sintomo del dolore.
Questo è dovuto anche a una serie di pregiudizi che i medici
e i malati continuano ad avere, soprattutto sui farmaci come
la morfina, che vanno smentiti.
La morfina, questa
sconosciuta
La morfina è un derivato dall'oppio, una sostanza grezza,
lattiginosa che è estratta dal papavero sonnifero (papaverum
sonniferum album). L'oppio contiene più di 20 sostanze
alcaloidi (tra cui la codeina) da cui si ricavano alcune
sostanze psicoattive e stupefacenti (come l'eroina) e altre
a uso sedativo-analgesico e terapeutico (come la morfina),
isolata fin dal 1804.
La morfina e i suoi derivati,
se introdotti nel nostro organismo, agiscono prevalentemente
sul sistema nervoso centrale con meccanismi molto simili ad
alcuni oppioidi endogeni, cioè prodotti autonomamente
dall'organismo, come le endorfine, che hanno effetti
inibenti (analgesici) e depressori sul nostro corpo, in
stretta relazione con i centri del piacere. Pur essendo il
meccanismo fisiologicamente simile, l'azione della morfina è
più potente e duratura.
L'introduzione di morfina
causa alcuni effetti fisiologici (alterazioni del respiro,
rallentamento psicomotorio, rilassamento della muscolatura
liscia, riduzione della secrezione dello stomaco e della
forza contrattile della vescica), e psicologici
(rallentamento della ideazione, disorganizzazione del
pensiero, stato di sonnolenza, scarsa percezione della
realtà) che nel loro insieme spiegano come, a dosi
farmacologiche, sia un farmaco analgesico e sedativo utile;
questi effetti anticipano anche i principali effetti
collaterali indesiderati, che si verificano soprattutto nel
caso di trattamento prolungato.
La somministrazione di morfina
e di altri oppiacei causa essenzialmente due fenomeni
principali, di cui si deve tener conto nell'impostare la
cura: la tolleranza e la dipendenza.
Per tolleranza si intende
l'adattamento fisiologico dell'organismo che, a fronte della
somministrazione prolungata del farmaco, in un certo senso
si abitua a quella dose e rende indispensabile un incremento
del dosaggio per mantenere lo stesso effetto terapeutico
desiderato a livello fisiologico e psicologico. La
dipendenza alla morfina, abitudine all'assunzione che porta
alla necessità di un uso continuativo, possiamo distinguerla
in: fisica (astinenza da brusca sospensione del farmaco) e
psicologica (desiderio fortissimo degli effetti psicologici
indotti dal farmaco).
Vero e falso
Nel caso del trattamento del dolore con morfina la
tolleranza, che determina una sorta di abitudine
dell'organismo al farmaco e la necessità di aumentare la
dose per ottenere gli stessi effetti terapeutici, non è di
sviluppo rapido e si verifica solo dopo somministrazione
prolungata nel tempo. Gli incrementi di dosaggio della
morfina sono quindi legati solitamente più all'aumento del
dolore causato dalla malattia che alla tolleranza
farmacologica. La dipendenza da morfina nel contesto di un
uso terapeutico è invece un fenomeno raro.
Tra i
pregiudizi più comuni, bisogna smentire che la morfina sia
riservata ai malati in fin di vita, come pensano spesso le
persone a cui viene somministrata. La morfina si usa spesso
infatti anche dopo comuni operazioni chirurgiche.
Può essere
somministrata a bambini, a dosaggi stabiliti apposta per
l'età pediatrica, e ad anziani, valutando l'eventuale
interazione con altri farmaci.
Per quanto
riguarda alcuni effetti collaterali, come sonnolenza o stato
confusionale, qualora si verificassero scompaiono dopo
alcuni giorni in cui si assume il farmaco (sonnolenza) o
possono essere comunque controllati e contenuti (stato
confusionale).
L'effetto
meno temuto risulta invece il più importante e frequente ed
è la stitichezza, che può però essere prevenuta con
un'alimentazione opportuna, assunzione di molti liquidi ed
eventualmente ricorrendo ai lassativi.
Alcune definizioni di
dolore
Il dolore può essere suddiviso in base alla causa e alla
tipologia in dolore fisiologico (come quello acuto, per
esempio quello che deriva da una prolungata esposizione al
calore, che ha un primo significato di allarme, avviso),
patologico, quello più frequente, che è associato a
malattie, sia acute sia croniche, e infine quello patogeno,
così chiamato in quanto non sembra associato ad alcuna causa
precisa, tanto da diventare esso stesso malattia.
Una possibile altra classificazione permette anche di
classificare il dolore in base alla sua durata in acuto e
cronico, e in base all'intensità da assente a molto severo.
Il dolore più comune, quello che chiunque ha sperimentato
almeno una volta, è il dolore patologico, associato o dovuto
a specifiche malattie o condizioni morbose che hanno indotto
danneggiamenti dei tessuti, e accompagna la durata della
malattia fino alla sua risoluzione, o naturale o indotta
(accelerata) dalle cure e terapie.
I farmaci contro il dolore
Esistono oggi molti farmaci dotati di attività
antidolorifica. La maggior parte dei farmaci analgesici
ancora in uso sono stati identificati attraverso
osservazioni empiriche o per caso, e solo recentemente si
sono identificati i veri meccanismi biochimici alla base del
loro effetto analgesico. In alcuni casi i farmaci analgesici
in uso sono nati come antipiretici e per alcuni il vero
meccanismo di azione non è ancora noto.
E' possibile definire una prima distinzione tra i farmaci
che agiscono solamente o prevalentemente a livello
periferico, cioè dove è presente lo stimolo originario, come
tutti i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) (per
esempio: acido acetilsalicilico) e quelli che agiscono
prevalentemente a livello del sistema nervoso centrale, cioè
a livello di alcune aree cerebrali dove vi è
l'interpretazione del dolore a livello emotivo e affettivo,
come gli oppiacei, tra cui il farmaco di riferimento è
considerato la morfina. Una distinzione tra non-oppiacei
(FANS) e oppiacei permette di creare due categorie distinte
che, nonostante la relativa diversità di prodotti in
ciascuna di esse, aiuta a capire quale possa essere la
migliore strategia terapeutica contro il dolore.
I FANS, in generale, sono farmaci dotati di una miscela di
attività antinfiammatoria, antipiretica (agisce cioè contro
la febbre) e analgesica che si prestano in modo particolare
a essere adatti come prima terapia (e talvolta unica) nel
caso di dolore acuto, associato a cause note di tipo
meccanico o infiammatorio, di intensità lieve-moderata. La
somministrazione di dosi adeguate di questi farmaci, per un
periodo limitato, in associazione con una attento
monitoraggio della efficacia (controllo del dolore) e degli
effetti collaterali (di solito di tipo gastro-intestinale) è
in grado di solito di controllare la maggior parte degli
episodi saltuari o ricorrenti di dolore acuto. Questi
farmaci, per altro, sono considerati dalla OMS il primo
gradino della terapia nel caso anche di dolore cronico,
associato a cancro, quando l'intensità del dolore è
considerata lieve. Infatti, nel caso un paziente abbia
dolore con questa intensità va trattato con i farmaci del
primo gradino.
I farmaci oppiacei, invece, rappresentano il trattamento di
scelta per il dolore più intenso o comunque non
controllabile con i FANS. Gli oppiacei sono a loro volta
classificati in due sotto-gruppi: quelli dotati di attività
analgesica debole e quelli dotati di attività forte. In caso
di dolore ancora più intenso (da moderato a severo e di
mancato controllo con i trattamenti degli dei gradini 1 e 2)
l'OMS raccomanda l'uso degli oppiacei più forti, come
appunto la morfina, che rappresenta il prototipo del terzo
gradino della scala dell'OMS.
Fonti:
1. Il Sole24 ore, 20.11.2003.
2. IRFMN- DOXA 1995. Cross sectional survey in 2.244
italians. In: Apolone G, Mosconi P, Ware JE, eds,
Questionario sullo stato di salute SF-36. Milano, Guerini e
Associati editore, 1997.
3. ISTAT 1999-2000. In: Questionario sullo stato di salute
SF-12 versione italiana. Milano, Guerini e Associati
editore, 2001.
4. Hearn J, Higginson IJ. Cancer pain epidemiology: a
systematic review. In: Bruera ED, Portenoy RK, eds, Cancer
Pain, assessment and management. Cambridge, Cambridge
University Press, 2003.
Per approfondire:
-
La scala dell'OMS sul dolore nelle persone malate di cancro
-
Il sito del Ministero della salute, sezione sulla terapia
del dolore
- Un meta sito di risorse
su internet, prevalentemente in inglese, sul dolore
Giovanni Apolone, Cinzia
Colombo
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri |