Ricordiamo il percorso che portò al massacro di Sabra e Chatila di cui il
16 settembre ricorrono i venti anni. Riprendere le file di questa vicenda è
molto più che un'operazione di memoria storica, in un momento in cui la linea
politica di Ariel Sharon, uno dei protagonisti della vicenda, sta conducendo
un'offensiva contro il popolo palestinese che per certi versi ricorda molto le
dinamiche dell'operazione che portò a Sabra e Chatila.
La verità su Sabra e Chatila è, a grandi linee, nota da
tempo, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti ed al lavoro di giornalisti,
storici, associazioni, familiari delle vittime, gruppi pacifisti ecc.. Anche i
nomi e le responsabilità sono note, e con tanto di prove. Nonostante questo,
nessuno fino ad oggi è mai stato condannato o inquisito per Sabra e Chatila.
Anzi, sia Sharon che i capi delle milizie falangiste che perpetuarono
materialmente in passato hanno goduto e continuano a godere di fortuna politica,
e hanno ricoperto cariche importanti in Libano e Israele.
un passo indietro.
La guerra in libano
Per capire la strage di Sabra e Chatila è necessario fornire
alcuni dettagli minimi sulla situazione in libano nel 1982. In quell'anno il
Libano è già da sette anni attraversato da una sanguinosissima guerra civile
fomentata da interessi geopolitici esterni al paese. In primis, quelli della
Siria e di Israele. Sullo sfondo la guerra fredda e il conflitto USA-URSS. Le
cause scatenanti della guerra erano sostanzialmente di natura etnico-religiosa;
dalla data della sua indipendenza (1943), in Libano vigeva un singolare accordo
(il "patto nazionale") che sanciva la divisione dei poteri fra le due comunità
principali, quella cristiana maronita e quella musulmana, che storicamente
avevano sempre avuto pochi contatti fra di loro - la cosa era evidente anche
nella separazione in due della città di Beirut, con ad est il quartiere
cristiano, a ovest quello musulmano.
Il "patto nazionale" prevedeva una formale spartizione delle
cariche istituzionali: il presidente dello stato doveva essere un cristiano, il
primo ministro un sunnita, il presidente del parlamento uno sciita. Questo
equilibrio, già fragile, fu di molto incrinato dall'arrivo in massa di profughi
palestinesi, che si stabilirono in Libano sin dal 1948 e, soprattutto, dopo
l'annessione della Cisgiordania da parte di Israele nel 1967. In seguito agli
avvenimenti di "settembre nero" del 1970 - quando re Hussein cacciò con la forza
dalla Giordania tutti i combattenti palestinesi - anche l'OLP trasferì a Beirut
le sue sedi logistiche.
La presenza dell'OLP in territorio Libanese iniziò
un'escalation di scontri fra i palestinesi e buona parte della comunità
cristiana, organizzatasi nel frattempo in formazioni paramilitari denominate
falangi - ora diventate un partito politico. Il conflitto fu subito
strumentalizzato da Israele, vide quello scontro come un'occasione per liberarsi
dell'OLP, e dalla Siria, che inviò delle truppe in Libano con lo scopo di
estendere la sua egemonia su quel paese, cercando di compensare ai danni di quel
paese la perdita delle alture del Golan. A complicare la situazione ci si mise
anche il conflitto USA - URSS, che iniziarono ad appoggiare rispettivamente le
forze militari Siriane ed Israeliane.
L'intervento di Israele in Libano
Con questo scenario, nella realtà molto più complicato di
quanto descritto sopra, si arriva all'intervento Israeliano in Libano nel 1982.
La causa occasionale fu il tentato assassinio dell'ambasciatore Israeliano Argov
avvenuto a Londra il 4 giugno 1982. Attribuito dal mossad a un'organizzazione
palestinese dissidente, il fatto fornì il pretesto per lanciare la cosiddetta
operazione "Pace in Galilea", in realtà già preparata da molto tempo.
Originariamente, l'operazione prevedeva un incursione in
territorio libanese di soli 40 km. Ma Ariel Sharon, attuale primo ministro di
Israele e a quel tempo ministro della difesa, decise di continuare l'offensiva
fino a Beirut, a quanto pare - ma le circostanze di tutta la vicenda rimangono
oscure - senza consultare né il primo ministro Begin né altri membri del
governo. Dopo due mesi di assedio Israeliano su Beirut - che costò 18000 morti e
30000 feriti, in maggioranza civili - e la consapevolezza da parte Israeliana
che un intervento all'interno della città sarebbe stato un suicidio sia militare
che politico, si aprì la strada ad una soluzione negoziale.
Il 19 agosto il ministro degli esteri libanese richiese
ufficialmente l'intervento di una forza multinazionale di interposizione.
Secondo il piano messo a punto dal mediatore statunitense Philip Habib, le forze
dell'OLP sarebbero state evacuate da Beirut entro il 4 settembre, sotto la
protezione di un contingente neutrale composto da 800 soldati americani, 800
francesi e 400 italiani, che sarebbe rimasta in Libano fino al 21. Le operazioni
si svolsero senza problemi del previsto, e tutti i componenti dell'OLP avevano
già lasciato il Libano per il primo settembre. Il contingente multinazionale
lasciò invece il paese il 10, in anticipo rispetto al calendario stabilito.
Sharon e Gemayel preparano la strage
La sorte di Sabra e Chatila probabilmente si decide in questi
giorni. Giorni prima, per l'esattezza il 23 agosto, il parlamento libanese aveva
eletto il nuovo presidente. Si trattava di Beshir Gemayel, cristiano e uno dei
leaders delle falangi, uomo forte gradito ad Israele il cui piano, neanche
troppo nascosto, era quello di cacciare via dal territorio libanese tutti i
palestinesi ed, eventualmente, anche creare un Libano cristiano indipendente sul
"modello" della creazione di Israele .In quel periodo, molti cristiani
ritenevano la loro situazione uguale a quella degli ebrei nel 1948, e si
aspettavano una soluzione del genere, con la creazione di uno stato Libanese
cristiano e la cacciata della popolazione araba.
Nonstante ufficialmente il suo mandato iniziasse il 23,
Gemayel aveva già deciso di muoversi; fece pressioni perché la forza
multinazionali di interposizione partissero il prima possibile e il 12 settembre
incontrò lo stesso Ariel Sharon, che due giorni prima aveva dichiarato che in
Libano rimanevano ancora 2000 "terroristi" palestinesi - alludendo agli inermi
abitanti di Sabra e Chatila. Negli stessi giorni si assistette ad una grande
concentrazione delle milizie cristiane in punti strategici intorno al campo. E
anche di Buldoozer, che sarebbero stati usati per demolire le abitazioni e
scavare le fosse comuni.
Il 14 avvenne un altro colpo di scena. Gemayel rimase ucciso
in un attentato compiuto da un certo Habib Shartuni, un libanese cristiano
collegato con un movimento dissidente che dichiarò di aver agito per vendicare
il padre, ucciso dalle milizie di Gemayel. In seguito si tenterà di coprire le
responsabilità del massacro facendo passare l'irruzione delle milizie falangiste
come un moto di rabbia causato dall'uccisione di Gemayel. In realtà, come
mostrano le circostanze riportate sopra, la strage era già stata preparata
durante i colloqui che lo stesso Sharon ammise di aver avuto con Gemayel e con
altri esponenti dei falangisti.
L'irruzione dentro Sabra e Chatila
Il 15 settembre Sharon dette ordine alle truppe israeliane di
non entrare nel campo, e contemporaneamente si istallò personalmente assieme ai
vertici militari israeliani nel palazzo dell'ambasciata del Kuwait, dalle cui
finestre si può osservare chiaramente il campo di Sabra e Chatila. L'esercito
Israeliano, inoltre, iniziò a circondare il campo impedendo a chiunque di uscire
e prese il controllo di tutti i punti strageci de Beirut ovest (la parte
musulmana della città).
Il 16 alle cinque del pomeriggio le truppe falangiste
iniziarono ad entrare nel campo, che per tutta la durata della strage rimase
circondato dall'esercito israeliano, perennemente informato della situazione e
che dette sostegno logistico alle falangi sparando per tutta la notte granate
illuminanti per facilitarne il lavoro. Per 40 ore le truppe falangiste poterono
dunque compiere indisturbate la loro missione punitiva nei confronti degli
abitanti del campo, completamente abitato da popolazione civile. Alla fine il
bilancio sarà pesantissimo: centinaia le abitazioni distrutte e un conto delle
vittime oscillante fra 700 (secondo la versione Israeliana) e 3500 (secondo
fonti indipendenti), ma molte delle vittime furono deporate e uccise al di fuori
del campo, e dunque il bilancio finale è molto incerto.
Si possono leggere alcune testimonianze del massacro qui:
http://www.indictsharon.net/massacres.shtml#testimonies
La reazione in Israele
La notizia della strage provocò una forte ondata di reazione
in tutto il mondo, e provocò in Israele una crisi politica senza precedenti. Fu
indetta per il 25 settembre una manifestazione a Tel Aviv, alla quale
parteciparono circa 400000 persone. Negli scontri che seguirono, un manifestante
rimase ucciso. Dopo vari giorni di proteste continue all'interno del paese, la
Knesset dovette nominare una commissione di inchiesta presieduta dal presidente
della corte suprema Yzthak Kahan. La commissione, pur riconoscendo le
responsabilità morali di Sharon, pubblicò una relazione che tendeva a
minimizzare di molto i fatti. L'unica conseguenza fu che Sharon dovette
dimettersi dall'incarico di ministro della difesa, ma conservò comunque un posto
all'interno del governo come ministro senza portafoglio. La sua carriera
politica non ne era uscita più di tanto compromessa. Solo ultimamente una corte
belga sta cercando di aprire un procedimento a suo carico per la strage di Sabra
e Chatila.
Puoi trovare qui il testo della relazione della commissione
di inchiesta:
http://www.israelmfa.gov.il/mfa/go.asp?MFAH0ign0
L'impunità totale continua anche per gli altri protagonisti
del massacro. In Libano la vicenda fu subito rimossa dalla memoria collettiva, e
nonostante i nomi di chi perpetuò materialmente il massacro siano noti da sempre
non fu mai aperta nessun inchiesta. Molti dei capi falangisti godettero anche di
una certa fortuna politica dopo la fine della guerra civile. Compreso Elias
Hobeika, uno dei comandanti delle milizie più in vista, che divenne ministro in
Libano negli anni '90 e che è stato ucciso in un attentato il 24 gennaio scorso.
Proprio dopo aver manifestato la sua intenzione di testimoniare contro Sharon
nella causa intentata in Belgio proprio per i fatti di Sabra e Shatila. In
Israele, l'inchiesta condotta dal procuratore Germanos individuò alcune
responsabilità "morali" da parte dell'esercito Israeliano, ma affermò
l'impossibilità di distinguere fra azioni di guerra e crimini individuali.
Nessuna persona fu dunque inquisita, e l'inchiesta fu archiviata.
Molti documenti su Sabra e Chatila sono ancora coperti da
segreto militare, e Israele si è sempre rifiutata di renderli pubblici. L'ultima
richiesta in questo senso è stata respinta dalla corte suprema lo scorso 16
luglio.
Fonti:
http://www.geocities.com/indictsharon/Kapeliouk.doc la cronologia del
massacro, come ricostruita dal giornalista israeliano Lapeliouk (inglese)
http://www.sabraandchatila.org.uk
comitato inglese per mettere sotto accusa Sharon (inglese)
http://www.indictsharon.net indict
sharon: sito che dà informazioni sulla causa promossa contro sharon (inglese)
http://www.crif-grenoble.org/revue%20de%20presse/presse%20francaise/art0045.htm
(francese)
http://www.tmcrew.org/int/palestina/libano/infernosabrachatila.htm
nell'inferno di sabra e chatila (da tmcrew)
http://www.cinemah.com/neardark/index.php3?idtit=854 scheda del film Sharon,
l'accusato (italiano)
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