sito deberlusconizzato

IL FATTORE MANGANO

 

 

Intendiamoci  subito. Nessuno può credere seriamente a una sola parola di questo ennesimo pentito telecomandato dalle toghe rosse palermitane. Credere al racconto di Antonino Giuffrè significherebbe, infatti, rassegnarsi ad alcuni fatti lievemente incompatibili con il ruolo di statista del due volte presidente del Consiglio e di ex e di neo‑padre ricostituente. Che statista è uno che, temendo i sequestri di persona, non si rivolge ai carabinieri, ma alla mafia?

Uno che si tiene in casa un boss mafioso scambiandolo per uno stalliere? Uno che si incontra coli Stefano Bontade e magari gli parla del semipresidenzialismo alla francese o del cancellierato alla tedesca? E ‘ fin troppo chiaro che tutto si spiega con la proverbiale sfortuna che perseguita lo statista di Milanello da quando aveva i pantaloni corti e si vide recapitare alcune centinaia di miliardi, in parte in contanti, da un  munifico quanto anonimo donatore. Lui, da allora, si sforza di frequentare la crema della

società, e invece gli capita sempre fra capo e collo qualche tal fattore travestito da persona perbene. Per non parlare dei pentiti.

Tutti ansiosi di sfregiare la sua immagine internazionale di imprenditore onesto e irreprensibile imprestato alla politica e tutto dedito al bene comune. Assodato, dunque, che Giuffrè mente per la gola, riepiloghiamo la vera storia di quei formidabili anni ad Arcore e dintorni, così carne l'hanno raccontata ai giudici nel corso degli anni il Cavaliere e i suoi cari.

C'era una volta un palazzinaro milanese. Un giorno di trent'anni fa  gli capita un'occasione da non perdere. Una marchesina minorenne e orfana, Annamaria Casati Stampa, decide di disfarsi della villa San Martino ad Arcore,

con annessi e connessi (quadri d'autore,biblioteche, tenute, scuderie), ben consigliata dal suo protutore: l'avvocato Cesare Previti, che per pura combinazione è anche (unico di Berlusconi, figlio di un suo prestanome e lui stesso dirigente di una sua società (Irti rnobiliareldra). La fausta coincidenza consente al palazzinaro di portar ria la villa e il resto per la modica cifra di 500 milioni. E' il 1973.

A quel punto Marcello Dell'Utri, il fedele segretario, non può mica fare tutto lui. Serve un factotum che gestisca i terreni e il bestiame. Berlusconi, modesto com'è, parlerà di uno "stalliere ". Dell'Utri di un ' fattore ". La paga è ottima: 4‑5 mila entro di oggi al mese. Ma, per strano che possa sembrare, nell'agricola Brianza non si trova nessuno disposto all'incombenza. E nemmeno nel resto della Lombardia. E nemmeno nel resto d'Italia. Una deprecabile forma di anti­berlusconismo ante litteram ‑ le celebri "vanghe rosse" ‑ boicotta il futuro leader di Forza Italia coli notevole anticipo. Dell'Utri peregrina fino alla natia Palermo, e disperato inedita ormai di affittare riti motopeschereccio e tentare la fortuita in Africa. Quand'ecco materializzarsi l'uomo giusto: è del posto, si chiama Vittorio Mangano, ha 33 anni e lui pedigree criminale di tutto riguardo: picciotto del clan di Porta Nuova (la famiglia di Buscetta e Calò), molto apprezzato dal boss dei boss Stefano Bontade, lui delinquente matricolato con una certa propensione per il traffico di droga e per i sequestri di persona: assegni a vuoto, varie truffe aggravate, lesioni volontarie, ricettazione, falso in scrittura privata, estorsione a un commerciante, arresti su arresti, qualche condanna, un fermo in compagnia di un narcotrafficante "indiziato mafioso". Per la Questura di Palermo è lui "soggetto pericoloso ". Ma non per Marcello, che lo conosce da una vita, da quando calcavano i campi di calcio coli la squadra della Bacigalupo. Ma, beata ingenuità, non sospetta nulla. E l'ingaggia a scatola chiusa, senza chiedere in giro. Due mesi dopo il giovanotto è a Milano, in via Foro Bonaparte 24, coli Dell'Utri. "Lì ‑ racconterà Mangano ‑ abbiamo incontrato il dottor Berlusconi. Allora non esistevano le televisioni. Esisteva invece Milano 2, dove sono anche stato in occasione dell'inaugurazione dello Sporting Club, dove ci sono le piscine e i campi da tennis". Il colloquio va benone: Berlusconi è letteralmente folgorato da quel giovanotto sveglio ed elegante, che veste griffato e porta occhiali in tartaruga. E, col suo fiuto da rabdomante, lo assume su due piedi: "Dell'Utri dirà ai giudici nel 1987, mi presentò Mangano come persona conosciuta da un suo amico (il presunto mafioso Tanino Cinà, ndr.) assumerlo fu una mia scelta su una rosa di nomi che mi vennero prospettati. Non feci indagini preventive, perché Mangano mi diede l'idea di una persona a posto e competente". Figurarsi gli  altri candidati. Un rapporto dei carabinieri di Arcore datato 30 dicembre 1974 racconta tutt'altra storia: "Dell'Utri, anch'esso originario di Palermo, ha lasciato l'impiego di banca (alla filiale di Belmonte Mezzagno della Cassa di Risparmio di Palermo, ndr) per seguire Berlusconi. E, una volta qui (ad Arcore, ndr), ha chiamato il Mangano, pur essendo perfettamente a conoscenza ‑ è risultato dalle informazioni giunte dal nucleo di Palermo ‑ del suo poco corretto passato ". Ma si sa come sono fatti i carabinieri: per dirla con Miccichè, "un corpo deviato dello Stato".

Ad Arcore, il giovane padrino si porta moglie, figlie e suocera. Dirige l'azienda agricola, addestra i cavalli del Cavaliere. Ma, per guadagnare dieci volte più di un giudice ("il mio compenso salì addirittura a tot milioni al mese, in un periodo in cui la paga di un magistrato era di 100 mila lire"), deve occuparsi di tante altre cose. Molto più delicate. Accompagna a scuola Marina e Piersilvio, gli eredi. E fa da scorta al padrone. E' uno stalliere sui generis, uno stalliere "alla pari". La sera, Mangano e gentil consorte cenano spesso alla stessa tavola dei coniugi Berlusconi e dei loro facoltosi ospiti: "lo e Berlusconi eravamo come parenti", dirà il boss nel luglio 2000, poco prima di morire di cancro in carcere, nell'aula del processo Dell'Utri.

 

Abbiamo lasciato Vittorio Mangano, stalliere "alla pari", chez Berusconi. Villa San Martino, Arcore. Da buon siciliano, il ragazzo è molto ospitale. Da buon milanese, il futuro cavalier Silvio è molto discreto. E no gli viene mai in mente di informarsi sull'identità di quei visitatori non molto loquaci venuti dalla Sicilia. «C'erano molte persone che andavano a trovarlo», dirà Dell'Utri. , «Io ebbi modo di vederne alcune. Mangano a volte m presentava delle persone, diceva che erano dei suoi amici, ma non mi faceva nessun nome. Non si fanno mai nomi quando si presenta una persona nel modo di Mangano...». Chiarissimo. Qualche nome poi è stato fatto. Ma dai soliti pentiti di mafia, gente inaffidabile.

«Mangano ‑ racconta il suo amico Totò Cancemi ‑ mi spiegò che nella tenuta Arcore furono nascosti anche dei latitanti, fra cui i fratelli Grado, Giuseppe Contorno e Francesco Mafara». E Giuffrè: «Stefano Bontade, con la scusa di andare a trovare Mangano, si incontrava con Silvio Berlusconi. Me l'ha detto Michele Greco». E Gioacchino Pennino: «L'avvocato Zarcone (già intimo di Bontade, ndr) mi spiegò che Mangano teneva i rapporti con Silvio Berlusconi, visto che faceva fittiziamente il guardiano in una‑sua villa vicino a Monza. Lì venivano ospitati tutti i latitanti della famiglia di Santa Maria del Gesù e forse di altre. A un certo punto però Berlusconi aveva interrotto questa consuetudine, perché qualcuno di questi ospiti aveva trafugato dalla villa oggetti di valore. Ricordo che commentando queste vicende lo Zarcone diceva: "Come al solito, ni facimmu canusciri e schifari'...». Insomma, pare che qualcuno abusasse dell'ospitalità e se ne andasse dalla villa con l'argenteria sotto la giacca: «Effettivamente ‑ conferma Dell'Utri ‑ nel 1974, quando Mangano stava già ad Arcore, furono rubati quadri e altri oggetti. L'episodio venne regolarmente de­nunciato». Mai però Silvio e Marcello, inguaribili ingenui, arrivano a sospettare del fattore e dei suoi esuberanti amici. Pensavano a fenomeni paranormali.

Ogni tanto i carabinieri salgono alla villa, prelevano Mangano e lo rinchiu­dono nel più vicino carcere, a scontare le condanne via via maturate. Poi lo ‑ riconsegnano ai suoi gentili ospiti, come nuovo. E ogni volta quelli, senza mai il benchè minimo sospetto, lo riaccolgono come il figliuol prodigo. Almeno finché le coincidenze non cominciano a diventare troppe anche per le anime candide. Dalla villa spariscono quadri troppo grossi per associarli al paranormale. Poi sparisce direttamente un degli  ospite della villa, Luigi D'Angerio, un avellinese che si fa chiamare "principe di Sant'Agatà", subito dopo una cena con Berlusconi, Dell'Utri, Mangano e le rispettive consorti.

È la notte di Sant'Ambrogio, cioè il 7 dicembre 1974. «Dopo aver cenato con noi ‑racconterà Dell'Utri‑ il principe fu sequestrato vicino ad Arcore. C'era una nebbia terribile. L'auto dei rapitori andò a sbattere. E il principe riuscì a fuggire. Le indagini lanciarono sospetti su Mangano, svelarono che non aveva un passato immacolato. Fu allontanato. Poi finì in carcere». Berlusconi, sul punto, ha visto tutt'altro film: «Mangano Vittorio si rivelò un pregiudicato (...). Il signor Luigi D'Angerio era stato vittima di un sequestrato di persona, casualmente sventato dall'arrivo di una pattuglia dei carabinieri. Nell'ambito delle indagini emerse che Man­gano era un pregiudicato (...). Non ricordo come il rapporto lavorativo del Mangano cessò, se cioè per prele­vamento delle forze dell'ordine o per un suo spontaneo allontanamento. Ricordo comunque che qualche tempo dopo fu tradotto in carcere».

Uno scopre di essersi messo in casa un pluripregiudicato che ha appena organizzato il sequestro del suo migliore amico, e che fa? Lo denuncia? Lo caccia a pedate? Scioglie i sei mastini napoletani? Nulla di tutto questo. Berlusconi, com'è noto, non ha mai licenziato nessuno. È la bontà personificata. Infatti, interrogato nel 1987, non ricorda bene se Mangano andò via con le proprie gambe, o trascinato a viva forza dai carabinieri. Nel '94 affiderà al Corriere della Sera una nuova versione, più consona alle sue nuove vesti di statista: «Lo licenziammo non appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite, il principe di Sant'Agata. E poco dopo venne scoperto anche il tentativo di rapire mio figlio».

Ma purtroppo, fra le tante incriminazioni che costellano il pedigree giudiziario di Mangano, non ne risulta neppure una collegata alla disavventura del presunto principe. E Mangano ha sempre smentito di essere stato allontanato: Fu lui a fare le valigie, per una questione di'"sensibilità.

Berlusconi e Dell'Utri non sollevarono alcuna obiezione nemmeno dopo il suo arresto, tra Natale e Capo­danno del '74. Dopo un mese, il galeotto è di nuovo ad Arcore come se nulla fosse stato. «Un giornale locale ‑ ricorda Mangano ‑ pubblicò un articolo nel quale venivo descritto come un soggetto pericoloso collegato con ambienti di mafia. Mi preoccupai molto, soprattutto per l'immagine del dottor Berlusconi, che rischiava di uscirne offuscata. Ne parlai quindi con il dottor Dell'Utri, che mi fissò un appuntamento col dottor Confalonieri. Nel colloquio con lui io gli espressi la mia intenzione di lasciare la villa per lo stato di disagio che si era creato. Confalonieri mi lasciò libero di decidere e non mi chiese di andarmene». E ancora: «Dopo i 28 giorni di carcere torno a lavorare. Alla mattina vado in paese, compro i giornali e leggo: mafioso, killer venuto da Palermo, il braccio destro di Berlusconi ad Arcore. Era il ritratto di una persona che non conoscevo ma era il mio ritratto. E allora io che sapevo che Berlusconi era una perso­na educata parlo con Dell'Utri, che mi consiglia di parlare con Confalonieri. Dico: voglio andarmene perché sa, i giornali cominciano a parlare d'indagini, di capimafia. Confalonieri allora mi dice: `Vittorio tu sei libero di fare quello che vuoi fare, ma dispiace sia a me che a Silvio'...» .

 

                

home|contatti|curiosità |cerca nel sito| chi siamo | archivio

Il sito non è protetto da copyright (is copyleft), tutto il materiale è disponibile per chiunque ne avesse interesse, si prega solo di citarne la fonte. G.G

 

 

dal 31/8/06: