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STORICI A SEI ZAMPE

Sempre  alla ricerca del dialogo bipartisan, la Casa della Libertà Provvisoria ha finalmente approvato l'agognata commissione d'inchiesta sui magistrati di Mani Pulite. Dopo lunghe discussioni, il testo più pacato e dialogante è risultato quello che unifica le proposte del forzista Fabrizio Cicchitto, già membro della benemerita loggia P2, e dall'avvocato forzista Michele Saponara, difensore di Cesare Previti. La sintesi è opera del relatore forzista Francesco Nitto Palma, che si è detto ansioso di «fare luce sull'uso politico della magistratura» e soprattutto sui legami «fra alcuni magistrati e partiti politici». Saggio proposito: di  luce in luce, si potrebbe persino scoprire che certi magistrati si sono fatti eleggere in Parlamento senza neppure dimettersi dalla magistratura. Ad esempio un certo Francesco Nitto Palma, cognato di Filippo Dinacci (l'avvocato di Silvio Berlusconi), passato direttamente dalla procura  antimafia alla Camera dei deputati nelle file di Forza Italia.
E non è il solo. Il nobile filone delle «toghe azzurre» fu inaugurato nel '94 da Tiziana Parenti, che il giorno prima indagava sul Pds e l'indomani era già nelle liste di Forza Italia; se anche Di Pietro e Davigo non furono della partita fu solo perché rifiutarono l'offerta di diventare addirittura ministri rispettivamente dell'Interno e della Giustizia, del primo governo Berlusconi. Nel 1996 era pronto un collegio sicuro per Renato Squillante, purtroppo arrestato (a causa di alcuni conti all'estero, comunicanti fra l'altro con quelli dell'amico onorevole Previti e dell'avvocato Pacifico, con la collaborazione straordinaria del gruppo Fininvest) proprio mentre stava vagliando la generosa offerta del cavalier Berlusconi. Nel 2001, oltre a Palma, a Centaro e a tanti altri, un'altra prestigiosa new entry anche nel Ccd: l'ottimo pretore agrigentino Melchiorre Cirami, esponente di spicco delle toghe bianche. A riprova, se ancora ve ne fosse bisogno, della coerenza con cui il centrodestra conduce la sua guerra santa contro i giudici politicizzati.
Ora però bisogna mettersi all'opera per riscrivere la storia di Tangentopoli da cima a fondo: c'è ancora qualche italiano, infatti, che non guarda la tv ed è dunque convinto che si trattasse di uno scandalo di corruzione e non di una macchinazione del Comintern. L'inaugurazione del monumento al latitante, in onore di Craxi, ad Aulla «primo comune dedipietrizzato», è un buon inizio. Ma non basta. Sotto con gli storici per un sano e robusto revisionismo: Il Foglio, come se non avessimo abbastanza bufalari in Italia, ne importa qualcuno dall'estero. Ieri è toccato all'americano Joseph La Palombara, convinto che «l'Italia è governata dai magistrati» (ma forse voleva dire dagli imputati).
Che «la carcerazione preventiva è medievale» (ma forse si riferiva a Guantanamo). Che «il continuo assalto contro Andreotti nella forma dell'appello da parte dell'accusa dopo un'assoluzione è un brutale e partigiano esercizio del potere giudiziario» (ma forse non sa che in Italia ci sono tre gradi di giudizio). E che «il caso Andreotti è uno degli aspetti più vergognosi della Repubblica italiana» (e qui ha ragione: un presidente del Consiglio amico dei boss Salvo e del bancarottiere Sindona, come ha accertato il Tribunale di Palermo che l'ha assolto, è una vera vergogna). La Palombara, sia detto per inciso, era «consigliere dell'Eni e amico di Gabriele Cagliari» (la cui moglie restituì allo Stato 9 miliardi di maltolto). Ecco che cosa ci vuole, in Italia, per fare piena luce su Tangentopoli: qualche altro storico Eni. Qualche storico a sei zampe. Qualche storico a petroli

                

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