Tra fantasia e realtà
Quando Bagarella
fece il famoso proclama, scrissi un breveracconto di fantascienza, I
siciliani; dopo poco usci un articolo di Repubblica che riporto
sotto. Quando la fantasia supera la realtà.
Leghiamo alcuni fatti tra di
loro vediamo cosa ne viene fuori .
Bagarella
(siciliano) fa un proclama, che è chiaramente un avviso a
coloro che in Sicilia avevano fatto promesse che, fino ad oggi,
non erano state mantenute .
Questo arriva dopo alcuni altri segnali (dichiarazioni di altri
imputati, imputati eccellenti di mafiosi dell'ala trattativista
di
Provenzano)
Sui giornali (destra e
sinistra) appaiono articoli che gettano allarme paventando un
nuovo omicidio Lima .
Qualcuno va in allarme
.
Nel frattempo arriva un
altro segnale: il caso Miccichè (siciliano) regista del cappotto
elettorale in Sicilia, non scordiamolo, coinvolto nell'affare
del traffico di cocaina per cui viene arrestato un suo presunto
collaboratore, tale Martello siciliano pure lui.
Forse la lupara avrebbe
fatto troppo rumore e la mafia aveva scelto un messaggio meno
deflagrante, ma altrettanto netto a chi doveva intendere : vi
possiamo colpire come e quando vogliamo !
Cosi si arriva al
decreto Cirami (ancora un siciliano, un ex pretore !) .
Molti che si erano
allargati con le promesse in campagna elettorale hanno il fuoco
al culo, bisogna dare qualcosa a questi qui, prima che qualcuno
magari ci lasci la pelle (ed ecco spiegata la fretta con la "
minaccia " di ricorrere ad un blitz agostano alla camera).
Questo procedere della maggioranza (per meglio dire del gruppo
di azzeccagarbugli della maggioranza) costa tanto in termini di
immagine, ma ne potrebbe andare della pelle, ed allora al
diavolo tutto !
Il processo di Milano
allora diventa anche un comodo alibi per dirottare l'attenzione
della gente. Che pensi pure che la manovra serva a Previti e
Berlusconi. Tanto con il potente apparato mediatico si
convincerà i pochi dubbiosi che, anche se fosse cosi , dipende
dal fatto che i giudici sono politicizzati e perseguitano
Berlusconi ingiustamente, quindi è solo un atto di autodifesa .
Molto più complicata
sarebbe la cosa se qualcuno fiutasse che il movente del ddl è un
altro : mantenere i patti e le promesse stretti in Sicilia
che discendono dai rapporti precedenti (la banca Rasini,
Mangano,
Dell'Utri
ecc. ) ed hanno permesso i 61 seggi su 61 .
Se la gente capisse
questo ,sarebbe molto più difficile difendere il decreto agli
occhi di un ' opinione pubblica disposta a chiudere gli occhi
sui sistemi corruttivi di un imprenditore, ma meno disposta ad
ingoiare i legami con la mafia
Dietrologia ?
Quando ero ragazzo
leggevo gli esercizi di "dietrogia" di "trama e ordito " sul
vecchio caro Linus. Sembravano fantascienza, poi abbiamo
scoperto che era la realtà .
Del
resto dice Andreotti : " a pensar male si fa peccato, ma
quasi sempre ci si azzecca " .
pummarulella
Gli scenari del Sisde: la
mafia non ha avuto le leggi
che aspettava per evitare gli ergastoli dei boss. E si vendicherà
Cosa Nostra, rapporti segreti :
"Previti e Dell'Utri nel mirino"
Nella lotta tra le cosche prevalgono ancora i corleonesi di Riina
Un progetto di aggressione: colpire i politici considerati "vicini"
di GIUSEPPE D'AVANZO
"IDDU, pensa sulu a iddu", vanno dicendo i mafiosi. La legge sul
legittimo sospetto carezzerà contro pelo gli "uomini d'onore" di
Cosa Nostra siciliana. Quel cavillo di legge, programmato per
liberare il Re e gli amici del Re dai legacci milanesi, li
attossicherà come un veleno. Peggio della revisione del falso in
bilancio. I mammasantissima sono sprofondati nelle galere "umiliati
e vessati", come dice Leoluca Bagarella, con l'assoluto isolamento
imposto dal 41bis. Non riescono a controllare come vorrebbero, come
dovrebbero, gli "affari di famiglia". Non possono garantire ai
picciotti e alle loro famiglie una vita decente e onorata. Mentre
sulla "loro" Sicilia piovono miliardi di euro, là fuori, in libertà,
ci sono solo le donne.
Tutti i maschi Riina e Bagarella di Corleone sono in galera, così i
Madonia di Resuttana, così i Gravano di Brancaccio... Sono stati
buoni e zitti per quasi dieci anni. Dopo le bombe del 1993, nessun
attentato, nessun morto ammazzato, nemmeno una minaccia che è una,
nemmeno un botto al tritolo. Quasi dieci anni di tregua e di
"invisibilità". I tempi, alla fine, sarebbero cambiati e bisognava
aver pazienza. Hanno avuto pazienza. Hanno fatto quel che dovevano,
alle elezioni del 2001 come si è capito dalle loro conversazioni
intercettate. Ne hanno ottenuto rassicurazioni e "promesse". Hanno
cercato di fare "politica" a loro volta, di trovare anche vie di
compromesso. Passato l'inverno del 2002, Pietro Aglieri, per conto
delle famiglie di Palermo e di Bernardo Provenzano, ha offerto la
"dissociazione" in cambio un "trattato di pace" con lo Stato
italiano. Un buco nell'acqua. Ci ha provato Leoluca Bagarella con i
toni minacciosi dello stile dei Corleonesi. Ancora niente. Ora Cosa
Nostra si prepara a mettere da parte pazienza e diplomazia per
afferrare di nuovo le armi e spargere ancora terrore e morte e
veleni.
Non è uno "scenario", non è cabala di "analista". Sono notizie
"soffiate" agli agenti sul campo del Servizio per le informazioni e
la sicurezza democratica (Sisde) da "attendibili fonti d'ambiente":
la mafia siciliana è pronta a lanciare "un'operazione di forte
impatto con ricadute destabilizzanti sul piano politico e idonea,
comunque, a far capire allo Stato (come non sono stati in grado di
fare Pietro Aglieri e Leoluca Bagarella) che i capi di Cosa Nostra
non intendono accettare lo status-quo". Le informazioni
dell'intelligence incrociano e si sovrappongono alle indicazioni
raccolte dal Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia
criminale. "Attendibili fonti fiduciarie" degli investigatori della
Polizia criminale annunciano "un progetto di aggressione che avrà
inizio con azioni in toto non percettibili all'opinione pubblica
fino a raggiungere toni manifesti, con la commissione, in un secondo
momento, di azioni eclatanti".
Secondo le "voci di dentro" di Cosa Nostra, due uomini sono in
gravissimo pericolo. Si chiamano Marcello Dell'Utri e Cesare Previti.
Ma le manovre "non percettibili all'opinione pubblica", più cupe di
una minaccia di morte, sono già cominciate stringendo d'assedio
Gianfranco Micciché, ministro junior e coordinatore di Forza Italia
in Sicilia.
Repubblica è in grado di ricostruire gli annunci cattivi di una
nuova stagione di violenze attraverso i documenti del Sisde e della
Polizia criminale e le conferme di qualificate fonti investigative.
Il mafioso si "deve fare la galera". La galera, per un mafioso, è la
regola e prova di "mafiosità". L'ergastolo, no. L'ergastolo è più
atroce della morte perché è la lenta fine del potere,
l'annichilimento del comando. Salvatore Riina dice che "sei o sette
anni di branda" non sono un problema e sono il meno. Fino a quando
là fuori sanno che, prima o poi, il boss ne verrà fuori, la famiglia
e gli affari della cosca saranno al sicuro. Se là fuori sanno che il
capo mafioso è in carcere per la vita, prima o poi, il tradimento lo
travolgerà e, con lui, la famiglia di sangue e di mafia
Zu' Totò Riina ricorda con orrore in quale stato di avvilimento si
ridusse Luciano Liggio. Entrò in carcere come Capo dei Capi.
Ergastolano, finì che faceva il buffone nei tribunali, con un havana
appeso al labbro fingendo d'essere "il Boss". I picciotti ridevano
di lui. Si ode tanto clamore sul 41bis (il carcere duro), ma il
problema non è primario: appare più lo schermo al vero "dibattito"
tra Mafia e Istituzioni. "La galera si deve fare e, se è dura,
pazienza".
Il nodo da sciogliere per Cosa Nostra è l'ergastolo dei
mammasantissima. Per attenuarne gli effetti o per cancellarlo
occorrono leggi, norme, cavilli. In Parlamento, quelle proposte di
legge sono già state presentate da parlamentari del Polo. Perché non
"camminano"? Perché non "volano" come il "falso il bilancio" o il
"legittimo sospetto"? Perché non diventano "priorità"? In fondo,
sono soltanto due leggi, ragionano i mafiosi. Due articoli per
legge.
La prima è la Pepe-Saponara (n.1447, presentata il 20 novembre
2001). Modifica il codice di procedura penale. Si richiama alla
"Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali". Allarga le ipotesi di revisione del
processo, nel caso in cui un imputato non ha potuto
controinterrogare il testimone d'accusa, le cui dichiarazioni rese
in istruttoria sono state ammesse. La Pepe-Saponara apre il varco,
propone un principio, il "diritto a un processo equo" (art. 6 della
Convenzione).
A quel principio, si appella la seconda legge utile alla
cancellazione "tombale" dei processi di mafia. La si rintraccia nel
gran corpaccione dei 45 articoli della "proposta Pittelli". Quel che
interessa i mafiosi è all'articolo 15. Così innova il 3 comma
dell'art. 192 ("Valutazione della prova"): "Le dichiarazioni rese
dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata di
procedimento connesso sono valutate unitamente a ulteriori elementi
di prova di diversa natura, documentale ovvero testimoniale, che ne
confermano l'attendibilità". Bisogna tradurlo. Le dichiarazioni di
un pentito di mafia, per avere valore, non possono essere confermate
soltanto da un altro pentito, devono essere confermate da "elementi
di prova di diversa natura". Se queste due proposte (Pepe-Saponara/Pittelli)
dovessero diventare legge, non ci sarebbe processo di mafia degli
ultimi dieci anni che si salverebbe dal colpo di spugna.
E allora perché la maggioranza non si dà da fare?, si indignano i
mafiosi. Che cosa fanno quegli avvocati che, ieri, erano nei collegi
di difesa e oggi sono allo scranno parlamentare? I boss, in carcere,
non comprendono i ritardi. Stramaledicono: "Sono soltanto due
fottute leggi. Se Iddu, non pensasse sulu a iddu...". Scrive
l'intelligence: "Tra marzo e luglio, e cioè tra la lettera di Pietro
Aglieri e quella di Leoluca Bagarella, la risposta del ceto politico
alle istanze di Cosa Nostra è stata totalmente negativa: il progetto
Pepe-Saponara, che prevede effetti retroattivi della riforma del
giusto processo (con evidenti ricadute positive anche sulla
posizione di mafiosi condannati), non procede mentre sul 41bis tutte
le forze politiche, pressoché all'unanimità, si sono espresse contro
l'abolizione e a favore di ulteriori inasprimenti. La situazione
vede, dunque, i capi di Cosa Nostra di fronte a una vanificazione
delle speranze, alla quale è verosimile intendano reagire". Reagire?
Come?
"In questo momento, secondo attendibili fonti d'ambiente - si legge
nell'"appunto riservato" inviato dal direttore del Sisde a Palazzo
Chigi - Cosa Nostra, superata la crisi degli anni '90, è tornata a
essere decisamente forte in termini economici, di controllo del
territorio e di infiltrazione nei settori più sensibili della
società siciliana... Questo stato di cose rende ancora più
impellente l'esigenza, per la mafia, di mantenere aperti quei
collegamenti tra latitanti e capi detenuti, che il 41bis rende molto
precari... Per questo, come dimostrano le iniziative di Aglieri e di
Bagarella e le informazioni d'ambiente, i boss hanno deciso di "non
accettare" comunque il protrarsi di questo status".
Ecco allora la strategia e gli obiettivi della risposta mafiosa. "Le
fonti indicano che, vista l'inefficacia delle proposte di
"pacificazione", i capi di Cosa Nostra in carcere potrebbero aver
deciso di reagire con gli strumenti criminali tradizionali colpendo
obiettivi ritenuti paganti. Secondo le stesse fonti, avrebbero però
affermato l'intenzione "stavolta... di non fare gli eroi"".
Si comprende la preoccupazione dei boss. L'ultima volta (1992/1993)
che si misero in testa di fare la guerra allo Stato, invece di
"conviverci", ottennero solo allarme dell'opinione pubblica e leggi
severe, repressione spietata, ergastoli. Questa volta Cosa Nostra
vuole scegliere una via di mezzo. Colpire e uccidere, come sempre.
Non però icone della lotta alla mafia (come Falcone e Borsellino),
ma uomini politici (a torto o a ragione) ritenuti dall'opinione
pubblica vicini alla mafia.
"Queste informazioni - scrivono gli agenti del Sisde - inducono a
ritenere altamente probabile che, a breve e a medio termine, Cosa
Nostra torni a colpire selettivamente e simbolicamente evitando però
ricadute negative di una eventuale eliminazione di personalità
assimilabili a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli altri
esponenti delle istituzioni assassinati in passato (...non faremo
gli eroi...). L'obiettivo potrebbe quindi essere una personalità
della politica che, indipendentemente dal suo effettivo
coinvolgimento in affari di mafia, venga comunque percepito come
mascariato, come compromesso con la mafia e quindi non difendibile a
livello di opinione pubblica. Questa linea di ragionamento induce a
ritenere che l'onorevole Marcello Dell'Utri possa essere percepito
da Cosa Nostra come un bersaglio ideale (insieme ad altri esponenti
siciliani della Casa delle Libertà). La sua esposizione mediatica
dai contorni negativi e la sua vicinanza al Presidente del Consiglio
potrebbero essere ritenute dalla mafia utili per mandare un
messaggio di forte impatto criminale e destabilizzante. Analogamente
destabilizzante, in questa ottica, potrebbe ritenersi un attentato
ai danni dell'onorevole Previti, il cui profilo pubblico è molto
simile a quello dell'onorevole Dell'Utri anche in relazione ai
rapporti con il Presidente del Consiglio".
Tutta Cosa Nostra sceglierà questa strada? O ci saranno resistenze a
imbracciare ancora le armi contro lo Stato, agli ordini di quei
Corleonesi che hanno già guidato l'organizzazione alla sua sconfitta
più grave? È a questi due quesiti che dà risposta il rapporto del
Servizio centrale operativo della Criminalpol.
Non tutto fila liscio tra gli "uomini d'onore", a quanto pare. Due
partiti, i Corleonesi e i Palermitani. Due capipartito, Riina e
Provenzano. Due opzioni, lo scontro frontale proposto dal primo; la
"trattativa" scelta dal secondo. Un solo vincente, il "partito della
guerra", il partito di Riina e Bagarella. "La "petizione" di Leoluca
Bagarella, a nome di tutti i detenuti del carcere de L'Aquila, è
rivolta sostanzialmente al mondo politico, al ministero della
Giustizia e ai magistrati di sorveglianza - scrivono gli
investigatori - La successiva entrata in scena di altri 31 mafiosi,
ristretti nel carcere di Novara - che hanno fatto pervenire al
segretario dei Radicali una lettera aperta di protesta contro il
comportamento degli avvocati penalisti, già loro difensori e ora
parlamentari - ha il duplice scopo di formalizzare ufficialmente
l'adesione totale al "messaggio" di Bagarella; di appesantirne il
contenuto, attraverso un messaggio mafioso".
Per sgombrare il campo da ogni perplessità, Riina ha lavorato come
sempre. Nel 1972 si liberò di Luciano Liggio, latitante a Milano,
con una telefonata anonima alla polizia. Trent'anni dopo, con la
stessa tecnica: una telefonata anonima, ha lanciato "un preciso
richiamo", come lo definisce lo Sco, a Bernardo Provenzano. Antonino
Giuffrè è il braccio destro di Provenzano. È latitante. Con
Salvatore Lo Piccolo e Matteo Messina Denaro, forma il triumvirato
che, per conto di zu Binnu, vuole rimettere in piedi Cosa Nostra nel
solco della tradizione: vivere nello Stato non contro lo Stato,
pensando soltanto agli affari e dimenticando il tritolo.
La telefonata di un anonimo "consiglia" ai carabinieri di Lercara
Friddi di fare una capatina in contrada Masseriazza nella campagna
di Vicari. Giuffrè esce in manette dal cascinale. Provenzano è
servito, il "partito della trattativa" è servito. L'arresto,
"pilotato e gestito dal gruppo corleonese riconducibile a Riina e
Bagarella" - scrive lo Sco - svela che "la questione nei suoi
molteplici aspetti va assumendo toni allarmanti e pericolosi che
potrebbero anche concretizzarsi in azioni di ritorsione contro
avvocati palermitani che attualmente rivestono ruoli istituzionali,
in passato loro difensori, e più in generale contro obiettivi
organici ad apparati politici, nell'ottica mafiosa di scuotere
l'attenzione sul problema del regime carcerario duro e sul problema
dei processi. Il progetto di aggressione potrebbe iniziare con
azioni non in toto percettibili all'opinione pubblica fino a
raggiungere toni manifesti con la commissione, in un secondo
momento, di azioni eclatanti".
L'assalto di Cosa Nostra non sembra di là da venire, lontano nel
tempo. Investigatori e 007 parlano di "breve periodo" e, tra loro,
c'è chi quel "progetto di aggressione" lo vede già concreto, ritiene
che abbia preso già il via e la fretta con cui il Parlamento
affronterà la "Cirami" non potrà che accelerarne le tappe. Secondo
una qualificata fonte investigativa, la manovra stringe già
d'assedio Gianfranco Micciché, uomo-cardine della vicenda politica
siciliana. Nel racconto dell'investigatore, i guai del ministro
junior hanno la stessa origine dei guai di Nino Giuffrè. Una
telefonata anonima. Una voce consiglia ai carabinieri di tener
d'occhio quel Martello e la cocaina che porta in tasca. "A chi la
consegna?", dice la Voce. "Seguitelo e lo saprete".
Il resto della storia è nota. Martello entra al ministero delle
Finanze e Miccichè finisce apparentemente nella cronaca nera, in
realtà in un gioco pericolosissimo dove in palio ci può essere la
morte.
Chi ce lo ha messo e perché? L'anonimo, questa volta, era in squadra
con Provenzano con l'obiettivo di sbloccare "la trattativa" prima
dell'inizio della "guerra"? O, nella telefonata, c'è ancora lo
"zampino" di Totò Riina che ha avviato, con "un'azione non
percettibile dall'opinione pubblica", l'"operazione di forte impatto
destabilizzante" che mira a indebolire pubblicamente l'immagine di
Miccichè per colpirlo poi senza pagarne il prezzo, come per Salvo
Lima, e incassando l'attenzione e la sensibilità del potere
politico? Quale che sia la risposta, Cosa Nostra dopo dieci anni è
pronta a sfidare ancora lo Stato. Lo Stato sarà in grado di sfidare
Cosa Nostra?
(7 settembre 2002)
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