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Apparso su Repubblica del 31/5/01
Il premier e la ragnatela del conflitto di Interessi
di Paolo Sylos Labini
Giovanni
Sartori sul "Corriere della Sera" del 25 maggio ed Eugenio Scalfari
su "Repubblica" del 27 maggio discutono il conflitto d'interessi
rappresentato dalle televisioni di Berlusconi, il problema che
avvelena la nostra vita politica. Sia Sartori che Scalfari indicano
in una vendita genuina la via di uscita; Sartori suggerisce la
ripartizione di Mediaset in tre aziende distinte per facilitarne la
vendita; Scalfari si appella al Capo dello Stato per impedire che
Berlusconi ottenga il monopolio totale della televisione,
assicurando in qualche modo l'indipendenza delle reti pubbliche.
Entrambi si preoccupano che il Cavalieri inventi qualche espediente
per presentare una soluzione solo formalmente valida nel caso del "blind
trust" è una soluzione addirittura ridicola. La diffidenza è
doverosa. Sono d'accordo sulla vendita piena genuina di Mediaset.
C'è tuttavia una questione preliminare. Le televisioni, che si
basano su concessioni pubbliche, avrebbero portato con sé
l'ineleggibilità non solo di Berlusconi ma anche dei suoi principali
collaboratori, fra cui Dell'Utri. Aveva ragione Confalonieri quando
dichiarò (Repubblica, 25 giugno 2000) che l'unica soluzione è
l'ineleggibilità; aggiunse però che l'Italia non è né l'Inghilterra,
con la sua lunga tradizione liberaldemocratica, né l'America, che ha
una tradizione simile ed in più la legge Sherman: noi siamo l'Italia
e dobbiamo accontentarci di molto meno pressoché di nulla. Vero,
siamo diversi, replicai (Repubblica, 9 luglio 2000), ma proprio
questo è il punto: non siamo un paese normale, cioè civile, ma
dobbiamo metterci sulla strada per diventarlo. C'è una legge che già
stabilisce l'ineleggibilità per i titolari di concessioni pubbliche
e per i suoi collaboratori ed è del 1957. Nel 1996 Cimiotta, Galante
Garrone, Pizzorusso, Bozzi, Flores d'Arcais, Giolitti, Laterza ed io
costituimmo un gruppo di pressione per far rispettare quella legge
nei riguardi sia di Berlusconi che di Cecchi Gori: non ci riuscimmo
e la giunta per le elezioni prese per buono un miserabile cavillo
che D'Alema poco tempo fa ha pudicamente definito «una finzione». La
legge però resta e questa volta i ds hanno una posizione diversa
nella giunta allora votarono col Polo e noi torniamo alla carica.
Allora i ricorsi degli interessati furono pochissimi, oggi sono
diverse decine; allora l'Europa se ne infischiava e la Corte di
Strasburgo respinse il ricorso che presentammo invocando il
principio dello «stato di diritto» secondo cui deve sempre esserci
la possibilità di appellarsi contro una decisione lesiva dei diritti
dell'uomo. Oggi, con la nuova posizione dei ds, i numerosi ricorsi e
il mutato atteggiamento dell'Europa, le prospettive non sono oscure,
neanche per il ricorso a Strasburgo, che noi ripresenteremmo se la
giunta per le elezioni , a maggioranza di centrodestra, dovesse
accogliere il vecchio cavillo. Pizzorusso c'informa che recentemente
la Corte ha accolto un ricorso in materia elettorale riguardante la
Gran Bretagna che potrebbe costituire un precedente a noi
favorevole. E non c'è solo Mediaset, che certo rappresenta il più
grave dei conflitti d'interessi, che non si ferma alle televisioni,
ma, attraverso la pubblicità investe anche altri importanti settori
una bella fetta delle entrate pubblicitarie provengono dai diversi
beni di consumo, dalle automobili e dai telefonini.
C'è
anche Mediolanum: può Berlusconi introdurre in modo credibile uno
schema di pensioni private, si chiede il Financial Times del 10
maggio, dato che controlla Mediolanum, che provvede ogni sorta di
servizi finanziari? E ci sono Mondadori ed Einaudi, un conflitto
potenziale che anche di recente, in vista dell'ascesa al potere di
Berlusconi, ha creato fra gli editori un allarme di cui sulla Stampa
si è fatto interprete Giuseppe Laterza in occasione della Fiera del
libro. L'elenco dei conflitti d'interessi è impressionante. Forse la
speranza sta nel ricorso a Strasburgo, che questa volta potrebbe
avere il sostegno dell'Europa intera. Il 70% delle materie
economiche sono regolate oramai da norme e da direttive dell'Unione
europea, cosicché i conflitti d'interessi coinvolgono l'Europa e non
solo l'Italia lo mette in evidenza anche Ilvo Diamanti sul Sole24ore
del 27 maggio, con riferimento però soltanto al conflitto Mediaset.
Per i molteplici conflitti, per il programma ultrademagogico
tagliare le tasse e accrescere le spese e per il violento contrasto
con la prassi vigente negli altri paesi europei, in passato seguita
anche da noi, secondo cui gli indagati si mettono da parte e non
vanno in Parlamento e tanto meno entrano nel governo: per questi tre
motivi l'Europa si è svegliata, tardi, ma meglio tardi che mai, e
sono piovute le critiche dalla stampa e da autorevoli politici.
Questi sono dunque i motivi delle critiche durissime e non quelli
addotti dai difensori del Cavaliere, che evidentemente hanno
scarsissima stima dell'intelligenza dei loro concittadini nefasta
influenza degli intellettuali e dei politici di sinistra su
prestigiosi organi di stampa europei, desiderio di mettere in
difficoltà un pericoloso concorrente per tacere degli insulti, come
«spazzatura», cui si ricorre quando non si trova neppure uno
straccio di argomento per replicare. Guardiamo in faccia la dura
realtà: non sono a rischio solo Berlusconi e il suo governo prossimo
venturo; è in gioco il comune interesse europeo, sono a rischio l'Eurolandia
e l'euro, dato che l'Italia rappresenta quasi un quinto del Pil
europeo. Questa non è la congettura di un pessimista: è un rischio
reale, denunciato senza mezzi termini da responsabili politici
europei. È vero: Renato Ruggiero ministro degli Esteri fornisce una
garanzia. Ma che può fare un garante , o un tutore, entrato a
dispetto dei soci del Cavaliere, amareggiati e delusi, di fronte a
quella sfilza di conflitti d'interessi di rilevanza europea e non
solo italiana? Non lo so, ma non sono ottimista. Gli innumerevoli
conflitti d'interesse rappresentano un macigno sulla strada delle
politica europea dell'Italia, indipendentemente dalla buona volontà
e dalla competenza di singoli ministri. L'Europa era uno dei punti
del nostro appello. Fra gli altri c'era la riforma della prima parte
della Costituzione, in cui è sancita la libertà di stampa e la
subordinazione del potere giudiziario al potere politico. Siamo
stati sgridati per i toni, ma i nostri critici, nella foga del
rimprovero, si sono dimenticati di rispondere ai nostri quesiti, pur
vitali per chi dice di voler difendere i principi liberaldemocratici.
Pochi giorni fa la Federazione nazionale della stampa ha approvato
un documento in cui si esprime allarme sul restringimento già in
atto della libertà di stampa: preoccupazioni eccessive anche queste?
Naturalmente i nostri critici hanno usato toni pacatissimi e sereni:
hanno stabilito fra Bobbio e me, da una parte, e Goebbels,
dall'altra, un filo diretto, hanno sostituito le parole iniziali del
nostro appello «necessario battere col voto la così detta Casa delle
libertà» con le parole «necessario battere con ogni mezzo»
un'alterazione che, considerato il risorgente terrorismo, suona come
una ripugnante calunnia. Ci attendono tempi non duri, ma durissimi.
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