|
IL BERLUSCONISMO
|
COME in
una religione dannata, è ormai chiaro che il peccato
originale segna e domina per sempre il destino pubblico di
Silvio Berlusconi. E' insieme la vera causa inconfessabile
del suo successo e la ragione ultima della sua dannazione
perpetua, quella che sta andando in scena giorno dopo giorno
da un decennio, nel teatro della politica nazionale e
internazionale. Non c´è redenzione possibile, perché il
peccato colpisce al cuore la natura e l'immagine mitologica
del berlusconismo e dunque non può essere ammesso ed
emendato senza sbriciolare per sempre quella macchina
titanica di autoesaltazione costruita per trasmettere un
modello ben preciso di moderna leadership populista agli
italiani: un leader che si è fatto da sé, un outsider anche
nel mondo del capitalismo, capace di costruirsi una fortuna
dal nulla creando benessere per sé e per gli altri
nell'imprenditorialità, pronto ad un certo punto – per il
bene del Paese – a trasferire queste doti uniche e nuove nel
«teatrino» asfittico della politica, fino a dominarlo,
conquistarlo e governarlo rimettendo in piedi l'Italia con i
suoi metodi, il suo talento e il suo sorriso.
Tutto questo sta andando in pezzi davanti ai processi di
Milano, che hanno visto o vedono il Presidente del Consiglio
imputato per reati comuni, commessi secondo l'accusa e il
Tribunale ben prima di scendere in campo. E accanto a lui,
in un paesaggio politico, imprenditoriale e morale desolante
e miserabile, quei processi vedono muoversi una lobby
imprenditoriale, giudiziaria e forense che comprava le
sentenze per i processi nell'interesse della grande azienda berlusconiana, madre secondo il Tribunale del più grande
episodio di corruzione dell'Italia repubblicana. Va in
pezzi, l'immagine di Berlusconi come imprenditore capace di
riedificare l´Italia come ha edificato il suo impero, non
perché i magistrati inseguono e bloccano il Cavaliere con le
loro sentenze di condanna. No. E' bastato, sta bastando
molto meno. Una semplice azione di verità in un edificio
fantasmagorico di menzogne e di false rappresentazioni, di
propaganda trasformata in senso comune degli italiani.
Un'operazione che chiamerò di «disvelamento», come quella
fatta dal Tribunale di Milano scrivendo le motivazioni della
sentenza di condanna per Cesare Previti e i suoi amici nei
processi Imi-Sir e Lodo Mondadori.
Nessuno tenta di usare quelle sentenze e quella motivazione
per chiedere le dimissioni di Berlusconi da presidente del
Consiglio, perchè è la politica che deve batterlo, se ne è
capace, e per la strada maestra, che è solo quella
elettorale. Ma il mondo berlusconiano è impazzito
ugualmente, davanti alla pubblica lettura di quei reati,
della loro organizzazione nell'interesse delle aziende del
Premier, della macchina criminale che secondo il Tribunale è
stata messa in piedi per ottenere che anche la giustizia
diventasse una merce, qualcosa che si compera e che si
vende, basta fissare il prezzo giusto. Questo impazzimento
si capisce. Nella corsa disperata per sfuggire al suo
passato, Berlusconi era convinto di essersi messo in salvo
seppellendo la sua responsabilità nella fossa su misura del
Lodo Maccanico, che lo mette al riparo dalle sentenze anche
per reati comuni e gravissimi, pur commessi prima
dell'avventura politica. Ma le sentenze non servono, quando
viene alla luce il contesto criminale e onnipotente degli
uomini legati al Cavaliere, che per gli interessi delle sue
aziende e dunque suoi corrompevano i magistrati,
assoggettavano la giustizia, comperavano le sentenze. E'
così che il «disvelamento», insieme con i reati, certifica
il peccato originale di Berlusconi.
Da oggi, infatti, non c'è solo un problema morale, che
chiama in causa il Cavaliere come beneficiario e possibile
mandante dell'operazione Previti. C´è un problema
identitario, ben più grave, che si squaderna davanti agli
italiani in vacanza: che tipo è, dunque, il loro Presidente
del Consiglio? Questo presunto outsider che ha ricevuto le
frequenze, e dunque l'autostrada pubblica dell'impero
televisivo, dal suo amico Craxi in cambio di favori che
stanno venendo anch'essi a galla, questo libero imprenditore
così insofferente di «teatrini» e mediazioni, conquistava
dunque le aziende con la frode e la corruzione? E questo
moderno liberista, assecondando i metodi svelati dai giudici
di Milano e traendone un diretto vantaggio si rendeva conto
di deformare così nello stesso tempo la democrazia, la
giustizia e soprattutto la democrazia economica? Ma che
nozione può avere del mercato un industriale che agisce con
calcolo sotto la linea d'ombra della legge nelle contese
capitalistiche più aspre, truffa le regole del gioco, muove
o comunque beneficia di un'organizzazione criminale di
altissimo livello e di forte influenza, pronta a tutto,
capace di scrivere le sentenze del Tribunale nello studio
privato degli avvocati del clan? E' questo l'uomo -
ripetiamo, libero da sentenze che lo riguardino, da
condanne, da ostacoli giudiziari diretti - che vorrà e saprà
riformare l'economia italiana, fissare finalmente le regole
per un moderno capitalismo, portare il sistema italiano
definitivamente in Europa?
Sono queste le domande a cui Berlusconi deve rispondere,
davanti all'opinione pubblica che ha costruito la sua
fortuna politica credendo all'immagine propagandata dalla
moderna mistica politica e televisiva creata dal Cavaliere.
In fondo, nel nocciolo duro, ritorna la questione capitale
che l'Economist ha posto una settimana fa al nostro
Presidente del Consiglio: dimostri di non essere un
capitalista che deforma le regole per trarre vantaggi
impropri dalla sua posizione politica. Sono le stesse
domande che Repubblica pone da anni, convinta che
l'interesse dell'Italia - di tutta l'Italia - passi
attraverso un totale svelamento del mistero glorioso
berlusconiano, in modo che i cittadini possano giudicare e
capire davvero che cosa si nasconde dietro l'intrico del
conflitto di interessi. Non solo potere economico più potere
televisivo più potere politico. Ma un certo tipo di potere
economico, che costruisce un particolare potere televisivo e
determina un potere politico del tutto anomalo in Occidente:
e che non a caso sta inquietando l'Europa.
Naturalmente, come gli ha chiesto ieri su questo giornale
Giuseppe D'Avanzo, il Cavaliere può giocare una mossa
difensiva clamorosa, che cambierebbe il quadro: può dire che
Previti per lui era solo un avvocato, sia pure
plenipotenziario nel suo impero, e che nulla sapeva dei
metodi e dei modi usati dall'amico Cesare per ottenere
quelle sentenze così importanti per Fininvest. Ma deve
dimostrarlo, e pare difficile. Soprattutto, deve avere il
coraggio di farlo, e sembra improbabile. Infine, deve avere
la libertà di compiere questo passo: ed è semplicemente
inconcepibile. Il legame tra Previti e Berlusconi è così
stretto che i due si scambiano tragicamente il ruolo di
servo e padrone, a turno. Così intimo da affondare in quella
stagione oscura in cui si formò la fortuna iniziale del
Cavaliere e due uomini erano presenti, tecnici e fiduciari
insieme: Dell'Utri e Previti, appunto. Così costringente che
se il Cavaliere volesse oggi disfarsi del suo Cesare
dovrebbe spiegare perché quando formò il suo primo governo
in mezzo a cinquanta milioni di cittadini italiani scelse
proprio Previti - con quei metodi e quella concezione della
legalità - come suo Guardasigilli. In realtà, la condanna di
Previti racconta la vera storia di Berlusconi. E rivela il
peccato d'origine, che mina alle fondamenta il mito
fondativo dell´avventura imprenditorial-politica del
Cavaliere, rovesciando il monumento ideologico che il
berlusconismo si era eretto in vita.
E´ a questa minaccia (che chiama in causa un attore
imprevisto e per Berlusconi nevralgico, cioè l'opinione
pubblica interna e internazionale) che reagiscono oggi
disperatamente gli uomini del Cavaliere, non certo alle
parole della motivazione che inchioda Cesare Previti. E
reagiscono in una nuova e drammatica prova di forza,
tentando un nuovo sfondamento nei confronti del potere
giudiziario, con la promessa-minaccia ventriloqua di Bondi
che annuncia una commissione parlamentare d'inchiesta a
settembre per accertare se la democrazia e la libertà in
Italia sono minacciate da un'«associazione a delinquere a
fini eversivi» costituita da una parte della magistratura,
dal mondo politico postcomunista e da settori dell'editoria
con l'obiettivo di «sovvertire le istituzioni democratiche e
repubblicane».
E' il teorema del golpe giudiziario che ritorna. Procedere
contro i reati, secondo giustizia, in nome del popolo
italiano, con il massimo di garanzie per gli imputati,
significa tentare un golpe contro il legittimo potere
costituito, se le indagini, gli atti, le requisitorie, le
sentenze e le motivazioni riguardano il mondo berlusconiano.
E' una concezione profondamente illiberale, tecnicamente
rivoluzionaria, che vuole il potere intangibile, libero da
controlli e sciolto dalle leggi, senza più un passato, con
il leader al di sopra della legge e disuguale rispetto agli
altri cittadini. Ma è anche l'annuncio di una stagione di
scontro istituzionale senza precedenti: con l'esecutivo che
si sente minacciato e lancia il legislativo contro il
giudiziario, attraverso l'arma impropria delle commissioni
d'inchiesta. Con la conseguenza che gli indagati - e anche i
condannati - giudicheranno i loro giudici, in un
rovesciamento tutto italiano che annulla la separazione dei
poteri. Mentre gli italiani non sapranno più dove sta lo
Stato.
Qualcuno spieghi al Presidente del Consiglio che non si è
mai visto in Occidente un partito di maggioranza relativa
che attacca un potere dello Stato, delegittimandolo e
additandolo come eversore ai cittadini. Gli italiani non
credono più nella favola ipnotica di un comunismo italiano
impegnato a organizzare golpe insieme con giudici
antiberlusconiani. Quanto ai «settori dell'editoria», se
Forza Italia si riferisce a Repubblica può stare tranquilla.
Il Cavaliere ha già provato a conquistare questo giornale, e
oggi si scopre con quali mezzi e con quali metodi lo ha
fatto. Ma non ci è riuscito. Semplicemente perché Repubblica
appartiene e dà voce a un'altra Italia, che non potrà mai
essere comprata e messa sotto dominio, nemmeno ricorrendo ai
servizi berlusconiani di Cesare Previti.
di
ezio mauro
Dialetto napoletano:
"
Berlusconi, ti devono mangiare
le zoccole (topi di fogna) ed il primo morso te lo deve dare tua madre!" |