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06/11/2006
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Bananas |
"Legalizzare la mafia sarà la regola del 2000"
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sito : Marco Travaglio
Mandato di cottura
Quel che colpisce nei
garantisti forcaioli della casa della Libertà provvisoria è la coerenza.Quando
dicono una cosa, affermano un principio,fissano un punto fermo, poi non si
smuovono più. Cascasse il mondo. L’altro giorno, per esempio, Berlusconi e Fini
hanno brindato con i cardinali in Vaticano al no della Camera sul divorzio
veloce: Berlusconi è divorziato, Fini ha sposato una divorziata. Ma molto
lentamente.
Prendiamo la questione del cosiddetto mandato di cattura europeo (nient’altro
che uno sveltimento delle procedure di estradizione per gli arrestati fra un
paese e l’altro dell’Unione).
Il 6 dicembre 2001 l’intera Europa lo approva senza batter ciglio, trovando del
tutto naturale che alla libera circolazione dei ladri corrisponda un’altrettanto
libera circolazione delle guardie. Il governo italiano no: trova la cosa troppo
antigarantista e vota contro, da solo, bloccandone l’approvazione. Curiosamente,
le riserve delle nostre verginelle violate non riguardano l’istituto in sé: ma
solo la sua applicazione a 5 dei 32 reati previsti dalla norma. Per gli altri
27, nessun problema.
Indovinate quali sono quei cinque? Proprio quelli: corruzione, frode,
riciclaggio, evasione fiscale, falso in bilancio. In pratica, i nostri
cosiddetti rappresentanti vanno in Europa, si fanno dare la lista, e spuntano
voce per voce: questo sì, questo no, questo sì, questo no, consultando il menu
giudiziario del
Cavaliere e dei suoi cari. Il Newsweek va subito a pensar male e titola:
“L’Italia è contro perché Berlusconi teme di essere arrestato in Spagna da
Garzon”. I vignettisti si scatenano. Giannelli ritrae il Cavaliere che pranza in
un ristorante internazionale e, appena il maitre chiama il cameriere (“Garçon!”),
scambia il francese per lo spagnolo e scappa a gambe levate. Ma guai a insinuare
qualche interesse privato, in quella nobile scelta di civiltà. “Il
mandato di cattura mette a repentaglio le libertà individuali”, spiega il
Cavalier Beccaria.
“Non posso mica svendere il popolo italiano e il popolo padano”, chiosa
l’ingegner ministro Castelli, per la disperazione delle interpreti di Bruxelles. L’alto parere di
Umberto Bossi,subito ripreso dalle riviste più prestigiose, chiude la questione: “Mi dicono
che il prodotto tipico del Belgio sia la pedofilia”. L’11 dicembre 2001, al
vertice di Laeken, Berlusconi ottiene un compromesso: una proroga di due
anni, in attesa che “il Parlamento italiano modifichi la Costituzione e
l’ordinamento giudiziario
per renderli compatibili con quelli degli altri paesi”. E annuncia la
separazione delle carriere, la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale e
dell’indipendenza delle Procure dalla politica perché “è l’Europa a imporci
queste modifiche”. Strano, perché in Europa, di questa presunta imposizione,
nessuno sa nulla. Anzi, nell’accordo di Laeken fra Berlusconi
e il collega belga Verhofstadt, si legge proprio il contrario: “Per dare
esecuzione alla decisione quadro sul mandato di cattura europeo, il governo
italiano dovrà avviare le procedure di diritto interno per rendere la decisione
compatibile con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale e per
avvicinare il suo sistema giudiziario ed ordinamentale ai modelli europei, nel
rispetto dei principi costituzionali”. Dunque, modificando eventualmente le
leggi ordinarie, ma senza toccare la Costituzione. La cosa finisce sepolta nei
cassetti e non se ne riparla più fino all’altro giorno, quando
il solito Shultz chiede lumi sulle promesse dell’Italia. Berlusconi garantisce,
Fini pure, ma Bossi e Castelli no. E l’avv. prof. on. pres. ind. Gaetano
Pecorella, che in teoria sarebbe il relatore della legge per l’adesione
dell’Italia al mandato di cattura europeo, esprime forti perplessità, sostenendo che
“potrebbe essere necessario cambiare la Costituzione”, ragion per cui “abbiamo
interpellato la commissione Affari costituzionali”. Dopo due anni di
letargo,anzi di leggi-vergogna, ora questi cadono dal pero, si svegliano e
pongono la questione costituzionale. Così magari si rinvia di altri due anni. E
sono disposti a tutto, anche a perdere la faccia o quel che ne resta. Da anni ci
raccontavano che l’Italia era uno Stato di polizia, impermeabile al garantismo e
alla giustizia giusta. Dopodichè, appena s’è cominciato a parlare del mandato di cattura europeo,contrordine: noi siamo il Paradiso
delle Garanzie e gli altri paesi (alleati nella celebre Forcolandia) vorrebbero
imporci di abbandonarle.
A questo punto, dopo una nuova, aspra colluttazione con la logica aristotelica
ma anche con la decenza, secondo dietrofront:dobbiamo adeguare la nostra
Costituzione per allinearla con quella dei partner (i quali, fra l’altro, non ce
l’hanno mai chiesto e cadono dalle nuvole). Restano da capire tre cose.
1)
Perché, se il resto d’Europa è Forcolandia,dovremmo essere noi ad adeguarci e
non viceversa?
2)
Perché gli adeguamenti voluti dalla Cdl con la scusa dell’Europa – separazione
delle carriere e altre porcherie - ci vengono gabellati per capolavori di
garantismo, tanto che rientrano nel programma elettorale di Forza Italia, se è
vero che a imporceli è Forcolandia?
3) Ma chi credono di
prendere in giro?
BANANAS 4/10/03
Sostiene Massimo Teodori sul Giornale che «sono in circolazione persone . e
giornali che si eccitano solo a sentire parlare di "Pidue"». Deve essere un
irrefrenabile piacere onanistico quello provocato dall'evocazione della famosa
Loggia, del suo fu Gran maestro Gelli e dei suoi accoliti, il cui appellativo "piduista"
viene ormai utilizzato come il più losco insulto che sì possa rivolgere a un
nemico. Per questi cultori del piacere solitario, P2, «piduismo e piduista»
sono arnesi al servizio dell'«insulto» e della «ottusità dell'ideologismo».
Tutto nasce dall'intervista di Concita De Gregorio a Gelli, in cui il Venerabile rivendica giustamente i tanti successi mietuti, sia pure tardivi, dal sub
grandioso Piano di Rinascita Democratica. Teodori non ha gradito. E, burbanzoso
com'è, si è messo a strillare: «Onanisti!»
Ora, per carità, può capitare a tutti di non avere di sé una grande opinione. Ma
Teodori va oltre: si disprezza proprio. Si tratta infatti dello stesso Massimo
Teodori che, in una vita precedente, quando era radicale e membro della
commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2, firmò un'infuocata
relazione di minoranza. E fu protagonista di memorabili attacchi ai piduisti
veri e anche a quelli presunti. Un onanista ante litteram, insomma, direbbe lui
oggi. Nel 1983 fece fuoco e fiamme contro un tizio della sinistra Dc, tale Beppe
Pisanu, all'epoca sottosegretario al Tesoro. Era piduista Pisanu? No. Ma era
amico di piduisti, come Roberto Calvi e Silvio Berlusconi, e di amici dei
piduisti, come Flavio Carboni. Alla fine dovette dimettersi.
Tutto comincia nell'estate dell'80, quando Silvio e Flavio brigano per regalare
a Porto Rotondo una bella colata di cemento (progetto «Olbia 2»). Carboni
ospita Pisanu e Berlusconi sulla sua barca, la «Punto Rosso». L'estate seguente
Pisanu fa un'altra conquista: veleggia, sempre sulla barca di Carboni in Costa
Smeraldo, ma stavolta a bordo c'è pure il bancarottiere Calvi, fresco di
condanna, in libertà provvisoria. Memorabile la testimonianza di Pisanu
davanti al pm Pierluigi
Dell'Osso, che indaga sul crac dell'Ambrosiano, l'11 settembre 1982 (mentre
Carboni è in carcere a Lugano, coinvolto nelle indagini sulla fuga e la morte di
Calvi). «Carboni ‑spiega Pisani ‑ era un interlocutore valido per le forze
politiche richiamantisi alla ispirazione cattolica». Ecco di che discuteva il
terzetto: non d'affari, di teologia. «Carboni ‑prosegue Pisani davanti al
giudice ‑ mi disse che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 in
Sardegna... Il Carboni mi disse di essere in affari col signor Berlusconi anche
con riguardo a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia
2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di
Carboni, trattandosi di un
ardo che intendeva operare in Sardegna». Il pio sodalizio Carboni‑Pisanu si
estende poi all'affaire Ambrosiano. Il sottosegretario al tesoro, scortato da
Carboni, incontra Calvi ben quattro volte. Poi, l'8 giugno '82, risponde alla
Camera alle allarmate interrogazioni delle opposizioni sul colossale buco
dell'Ambrosiano. Niente paura ‑ rassicura Pisanu, agate economista ‑ è tutto
sotto controllo. Le indagini esperite all'estero sull'Ambrosiano non hanno dato
alcun esito». Nessun allarme. Due giorni dopo, il 10 giugno, Calvi fugge
dall'Italia, per finire come sappiamo. Il 7, nove giorni dopo il «nutro fiducia»
di Pisanu, il governo dichiara insolvente l'Ambrosiano, che scioglie i propri
organi societari. Migliaia di risparmiatori sul lastrico. Poi la bancarotta.
Racconterà Angelo Rizzoli alla Commissione P2: «Calvi disse a me e a Tassan Din
che il discorso dell'on. Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno
mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio
Carboni». Accusa peraltro mai dimostrata, anche se il portaborse di Calvi,
Emilio Pellicani, dirà all'Espresso che Calvi aveva stanziato ‑ per "comprare"
il proprio salvataggio ‑ 100 miliardi, dei quali «poche decine di milioni»
sarebbero finiti a Pisani «tramite Carboni». Teodori si scatena: «Alcuni fatti
sono incontrovertibili: i rapporti strettissimi e continuativi tra Pisanu e
Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu
con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della Sera; i rapporti di
Pisani con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministero
prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano; il sottosegretario rispose per
due volte alla Camera sulla questione Ambrosiano». Il 19 gennaio '83 aggiunge:
" Il sottosegretario Pisanu si deve dimettere: se c'è ancora un minimo di
moralità, è inconcepibile che l'on. Pisanu resti al governo". «Non mi
dimetterò su richiesta di Teodori», schiuma Pisanu. Poi però cambia idea, o
gliela fanno cambiare: due giorni dopo, il 21 gennaio, lascia il governo. Ma il
burbero Teodori non si placa e denuncia «l'arroganza socialista e democristiana
che vuole affossare la commissione d'inchiesta e pretende una condizione di
speciale intoccabilità per tutti i politici, da Pisanu a Piccoli ad Andreotti».
Pisanu viene ascoltato una seconda volta dalla commissione Anselmi, e lì ‑ pur
rivendicando l'assoluta correttezza e «trasparenza» dei suoi rapporti con
Carboni e Calvi ‑ ammette di avere un po' «sottovalutato» (testuale) la
delicatezza di certe frequentazioni. Va in quarantena per qualche anno. Tornerà
in auge grazie al cavalier Pidue, nel '94, insieme a tanti vecchi amici.
Compreso Massimo Teodori, che oggi impietosamente, si dà dell'onanista. Chissà
se si sono riconosciuti.
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