lettera all'Unità del 22/11/02 di Marco Travaglio
Caro Direttore,
mentre due giudici togati e sei giurati popolari iniziano a scrivere le
motivazioni della condanna di Giulio Andreotti e di Gaetano Badalamenti, il
presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e i presidenti di
Camera e Senato telefonano al primo dei due condannati ( a don Tano, invece,
niente) in segno di solidarietà. E tengono pure a farlo sapere. Intanto i leader
dei maggiori partiti della maggioranza e dell'opposizione, costernati, invocano
urgenti e imprescindibili quanto fantomatiche "riforme dell'ordinamento
giudiziario". Il che, a poche ore dalla sentenza di Perugia, lascia intendere il
vero scopo delle riforme: impedire il ripetersi di sentenze come quella. A
questo punto, dire che bisogna rispettare i giudici, la loro serenità, il loro
diritto-dovere di giudicare "senza speranze nè timori", ascoltando soltanto la
legge e la coscienza, diventa una barzelletta di pessimo gusto. E poco importa
se le argomentazioni addotte per attaccare la Corte di Perugia - di solito da
parte di politici e commentatori che non hanno letto un rigo delle carte del
processo - non hanno alcuna cittadinanza nel diritto, e nemmeno nel buonsenso
comune.
1) " Ho conosciuto Andreotti come politico e non posso immaginarlo come mandante
di omicidi o come amico di mafiosi", (Sergio Romano). E' comprensibile che chi
ha conosciuto il dottor Jeckyll fatichi a pensarlo nelle vesti di Mister Hyde.
Ma lo stupore può valere per l'omicidio. Non per le frequentazioni mafiose.
Salvo ignorare buona parte della biografia del senatore a vita. Le stesse
sentenze di assoluzione in primo grado a Palermo e Perugia contengono una serie
di fatti provati che tutto possono autorizzare, fuorchè le meraviglie e i
turbamenti degli ultimi giorni: secondo i giudici che lo assolsero - i giudici
più buoni e più imparziali del mondo - Andreotti era intimo amico dei cugini
Salvo (boss della famiglia di Salemi, mandanti del delitto Dalla Chiesa, che lui
nega di aver mai conosciuto); nel 1985 incontrò a tu per tu il boss di Mazara,
Andrea Manciaracina, in una saletta riservata di un albergo; è "possibile" che
nel 1985 abbia incontrato il boss dei boss Stefano Bontate; sicuramente incontrò
il già latitante Michele Sindona in America; certamente capeggiò una corrente
che, in Sicilia, era "una struttura di servizio per Cosa Nostra". In quale Paese
un soggetto simile siederebbe in Parlamento come senatore a vita e, dopo una
condanna per omicidio, riceverebbe la solidarietà delle più alte cariche dello
Stato?
2) "L'idea che un presidente del Consiglio si metta a dar ordine di ammazzare mi
sembra poco credibile, tanto più quando lo si condanna senza indicare gli
esecutori materiali dell'omicidio", (Piero Fassino e molti altri). Sono
centinaia i processi nei quali viene scoperto e condannato il mandante di un
delitto, ma non il killer. Soprattutto processi di mafia: nelle chiacchiere fra
mafiosi, si parla abitualmente di chi ha commissionato un omicidio o una strage,
molto meno di chi - fra le migliaia di picciotti anonimi - vi ha materialmente
provveduto. Nel primo processo per l'omicidio del generale Dalla Chiesa e della
moglie Emanuela, Falcone e Borsellino fecero condannare soltanto i boss che
l'avevano ordinata. E nessuno si sognò di contestare la sentenza solo perchè
mancavano i killer (scoperti ben 15 anni dopo, e solo grazie al fatto che si
erano pentiti e autoaccusati). Va ad onore della Corte di Perugia l'aver saputo
scindere le accuse contro i presunti killer, lanciate dai pentiti della banda
della Magliana e considerare non sufficientemente provate, da quelle contro
Badalamenti e Andreotti, ritenute dimostrate.
3) " Non si condanna sulla base della parola di un solo pentito, Buscetta, che
riferisce cose sentite dire da Badalamenti", (tutti i commentatori). Ai tempi di
Falcone e Borsellino, in realtà, le condanne in base alle accuse lanciate da uno
o due pentiti fioccavano. Ma nel processo di Perugia, c'è ben più della parola
di Buscetta. Per farsi un'idea basta leggere la sentenza di primo grado, che
assolveva Andreotti, ma già lo indicava come sicuro responsabile di
comportamenti gravissimi: ad esempio, l'avvicinamento di un testimone chiave per
indurlo a ritrattare la sua versione e depistare le indagini e le liaisons
dangereuses con due boss mafiosi del calibro dei Salvo. Buscetta riferisce,
in soldoni, che Pecorelli fu assassinato perchè insieme a Dalla Chiesa aveva
trovato la seconda versione, quella integrale, del memoriale Moro, molto più
compromettente per Andreotti della prima. Nessuno, prima di Buscetta, l'aveva
mai sostenuto. I magistrati di Perugia indagano alla ricerca degli eventuali
riscontri, e scoprono che il capo delle guardie del carcere di Cuneo, il
maresciallo Incandela, aveva confidato circostanze analoghe al direttore del
penitenziario nel 1991 (due anni prima delle rivelazioni di don Masino). E
questi non sono che alcuni dei molti riscontri portati dalla Procura di Perugia
alle parole di Buscetta, oltre alla rassegna stampa di OP, che dimostra
l'estrema pericolosità di Pecorelli per gli interessi di Andreotti, bersaglio
fisso delle sue campagne giornalistiche passate, presenti e soprattutto future.
Eppure Andreotti - riuscendo a restare serio - si è detto addirittura amico di
Pecorelli ("Ci scambiavamo pastiglie contro l'emicrania...").
4) "Ora bisogna separare le carriere di giudici e pm", (Giuseppe Gargani, Mino
Martinazzoli, Antonio Soda e altri ). Ma Andreotti è stato condannato da almeno
tre giurati popolari su sei, in aggiunta ai due giudici togati (se la camera di
Consiglio finisce in parità, quattro a quattro, prevale l'assoluzione). E poi:
dopo averci raccontato per anni che bisognava separare le carriere per evitare
che i magistrati si dessero ragione a vicenda per motivi corporativi, ora ci
raccontano che il problema è che una corte d'Appello ha dato torto a una corte
di Assise. Che si fa, allora? Oltreché fra pm e giudici, si separano anche le
carriere fra gip e tribunali, fra tribunali e corti d'appello, fra corti
d'appello e corte di Cassazione?
5) "Bisogna evitare sentenze contraddittorie sulle stesse carte e indizi
processuali. La giustizia italiana è ormai una lotteria", (Carlo Giovanardi e
altri). Ma i tre gradi di giudizio servono appunto a questo: a correggere
eventuali errori percedenti, ad assicurare la lettura degli stessi atti da più
giudici di uffici diversi. S'era appena finito di beatificare il giudice
Carnevale, che sulla base di semplici cavilli, addirittura per la mancanza di un
timbro, annullava sentenze per mafia e strage a tutto spiano, e ora si mena
scandalo perchè una sentenza di assoluzione viene ribaltata in appello. Ma a che
serve l'appello: a fotocopiare la sentenza di primo grado? Tanto varrebbe
abolirlo. Forse però Bruno Contrada o i parenti di Enzo Tortora (condanna in
primo grado, assoluzione in secondo) non sarebbero d'accordo. E infatti
Giovanardi si supera, proponendo di "abolire l'appello, soltanto quando un
imputato viene assolto in primo grado". Un bel modo di assicurare parità alle
parti processuali. Già è odioso considerare il processo alla maniera americana,
come una gara sportiva dove vince il più bravo ( e spesso il più ricco). Ma qui
si va oltre. Se perde il pm, non c'è rivincita. Se perde l'imputato, invece, si
continua a giocare finchè non riesce a spuntarla. Ma, se lo scopo dei processi è
assicurare sempre e comunque l'assoluzione, perchè non chiudere i tribunali?
Già, è vero: ci sono pur sempre gli scippatori e gli extracomunitari, da
processare. E, se la fanno franca in primo grado, è un errore giudiziario:
bisogna rimediare in appello. Come non detto.
6) " Non bisogna confondere le responsabilità politiche e morali da quelle
penali. Non si riscrive la storia nei tribunali", ( Paolo Franchi, Pierluigi
Battista, Emanuele Macaluso e altri). Ma quello di Perugia è un normale processo
per omicidio. E Andreotti, insieme a Badalamenti, era accusato di esserne il
mandante. Chi dovrebbe occuparsi di un giornalista assassinato a revolverate
nella sua auto, se non una corte d'Assise? Uno storico? Un docente
universitario? Un sacerdote esperto in teologia morale? Una commissione
parlamentare? Ma forse Pecorelli perì in un incidente d'auto. O si suicidò
crivellandosi il corpo di proiettili. O magari morì di emicrania.
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