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TRAVAGLIO SU ADORNATO

BANANAS 18/10/2003

Se Ferdinando Adornato non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. E non solo per il lavoro che dà alla satira. L'altro giorno, per esempio, ha sventato sul Giornale un turpe complotto ordito in gran segreto da due fanatici magistrati della procura di Palermo contro la democrazia repubblicana: Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato. Il piano golpista dei due, finito per errore sulle pagine di Micromega, sarebbe un "delirante teorema politico che colpisce al cuore le fondamenta della nostra democrazia", usando "il più terribile vocabolario totalitario del XX secolo". Perciò Nando il Semprevigile chiama alla mobilitazione democratica "tutti gli organi di autogoverno della magistratura" (che poi sono uno: il Csm) per cacciare "due persone animate da queste intenzioni" e invoca "l'accendersi dei riflettori dell'intera opinione pubblica del Paese". Purtroppo, però, finora non s'è acceso nulla. Tutto spento.

Ma che cosa scrivono di tanto grave i due magistrati? Citando Leopoldo Fianchetti, esponente della destra storica di fine `800 e dunque iscritto d'ufficio al Partito Comunista Giacobino, riprendono la teoria del "doppio Stato" e si domandano: "Se è la politica il nerbo della potenza mafiosa, come può la stessa politica abbattere la potenza mafiosa?". Poi propongono di azzerare tutte le "riforme" degli ultimi 8 anni, che hanno messo in ginocchio l'antimafia. Suggeriscono di prevedere la possibilità di sciogliere per infiltrazione mafiosa non solo i consigli comunali, ma anche i provinciali e i regionali. E provocatoriamente, in vista dell'allargamento dell'Europa a nuovi paesi dell'Est, pongono il problema degli "stati‑mafia" e di come commissariarne i governi, magari da parte del Parlamento europeo. Tutto qui.

Che Adornato zoppicasse un po' nello scrivere, era cosa nota. Ora però si scopre che non sa neppure leggere. Infatti scrive che i "i due procuratori di Palermo propongono addirittura che il governo italiano venga commissariato dall'Europa". E punta il dito contro "quei settori della magistratura che, dopo aver torturato politicamente Andreotti, si rivolgono oggi, a Palermo come a Milano, contro l'attuale governo". Di qui l'accorato appello di Adornato a Virginio Rognoni (Csm) perché difenda "quella povera democrazia formale che ha fatto dell'Italia un paese libero e civile. E che nessun magistrato riuscirà mai a "sospendere".

Ora, per carità, le tesi dei due pm saranno sicuramente golpiste. Ma hanno un certo nonsochè di familiare. Nei primi anni 90, infatti, c'era un com­mentatore che andava per la minore e che scriveva le stesse cose su Repubblica. I1 17 marzo '93, dopo il delitto Lima, in un articolo intitolato "Morire per Lima?", denunciava "l'intreccio politico‑affaristico rappresentato da Lima", un uomo "sceso a patti" con "la malavita". La Dc replicava che Lima non era mai stato condannato? Vergogna: "Verrà mai il giorno ‑ replicava fremente l'editorialista ‑ in cui la vita di un politico possa costituire un esempio e non solo la continua pubblica esibizione di un alibi?... Nessuno di noi sceglierebbe la vita di Lima come modello di un testo di educazione civica", ma semmai di un manuale per quegli "intoccabili'” gestori di un potere corteggiato dal crimine". Gliele cantava chiare, l'impavido commentatore giustizialista, ad Andreotti & C. Anche lui, come oggi Scarpinato e Ingroia, puntava il dito contro "il sistema di potere che fin qui ha governato l'Italia, tollerando apparati e cosche assassine". Faceva anche nomi e cognomi, il giacobino: "Cossiga, Forlani e Andreotti dovrebbero, piuttosto che impartire lezioni, chiudersi in cristiana, sofferta meditazione...". E dimostrava una preveggenza da far impallidire Nostradamus: "Non si può escludere che la mafia stia cercando nuove alleanze politiche che meglio la garantiscano nel Palazzo... Sia stato ucciso dalla Cupola o dai servizi segreti, o da entrambi in una nuova alleanza, Lima è comunque un altro tassello dell'escalation di quell'Italia del terrore che da anni si contrappone, con il sangue, all'Italia della democrazia. II piano è sempre quello. C'è un potere occulto che uccide... anche nell'area di governo in nome di nuovi equilibri, probabilmente autoritari. Vuol trascinarci sull' orlo di un baratro. Riusciremo a fermarlo, prima che sia troppo tardi?".

Il nostro editorialista si chiamava Ferdinando Adornato.

 Ferdinando Adornato, il presidente forzista ex comunista sempre liberal della commissione Cultura della Camera, non si dà pace da quando ha scoperto che due poi palermitani, Ingroia e Scarpinato, sospettano collegamenti fra mafia e politica. Per lui riabilitazione della Prima Repubblica che «ha fatto dell'Italia un paese libero e civile», contro il teorema del «doppio Stato» e del «regime», è una missione di vita. L'idea che si possa dubitare della probità di Andreotti e degli altri statisti nazionali gli leva il sonno.

Pensando di fare cosa gradita, ci permettiamo dunque di segnalargli alcuni scampoli di prosa dell' infame untore che, ancora pochissimi anni fa, diffondeva nell'aria quei pestilenziali teoremi. Si tratta di un piccolo scrivano di pelouche, un certo Ferdinando Adornato, che l'11 luglio 1992 demoliva su Repubblica «l'intero assetto politico-statale nato dal secondo dopoguerra» e 1'« intero sistema dei partiti che non garantisce più democrazia» perché i partiti vanno sciolti su due piedi: «non sono corpi sani da depurare... ma corpi strutturalmente inquinati. Non sono malati: sono anche la malattia... un'associazione a delinquere... un'accolita di filibustieri che si sono divisi il controllo della città... qualcosa che, duole dirlo, si avvicina alla mafia».

Il 15 settembre '92 l'esagitato attaccava « la vecchia Italia dei partiti-chiesa, del dissesto statale, delle censure, della burocrazia ammuffita: è l'Italia degli Andreotti, dei Pasquarelli, degli Sbardella, dei Cirino Pomicino», che «ci ha portato alla rovina» insieme all'altra: « l'Italia della nuova arroganza, delle carriere all'ombra del potere, dell'egoismo diffuso, l'Italia dei Craxi e dei Chiesa». II 12 dicembre '92 questo fanatico giustizialista domandava: «Che cosa unisce ormai Sbardella a Mario Segni, o i giovani eroi del volontariato ai vili notabili della Dc calabrese, o la passione di Leoluca Orlando al gelo di Andreotti... e alla furbesca arroganza di Cirino

Pomicino?». Giacobino com'era, infatti, il nostro sognava «una nuova etica pubblica» contro « le mafie che hanno saccheggiato (Italia fino a far scomparire ogni fisionomia di diritti e di doveri». Antiberlusconiano sfegatato, reclamava addirittura draconiane «leggi anti-trust sull'informazione» (2 settembre '93).

II 21 aprile 1993 il forcaiolo scriveva queste testuali parole (e ci scusi Adornato per la crudezza delle espressioni che siano costretti a citare): « Non c'è da stupirsi chela rivoluzione italiana stia destando (interesse dell'opinione pubblica di tutto il mondo. Non ci sono solo Andreotti, Craxi o Totò Rima: non c'è solo da vergognarsi ad essere italiani... Ben prima dell'esecutivo e del legislativo, il potere giudiziario è stato il più sollecito a ripristinare quell'esercizio di legalità che l'ancien régime aveva represso con un permanente e autoritario do not disturb». Poi il giacobino attaccava « il regime dal quale usciamo che ha costruito un'anomala e corrotta repubblica senza Stato». Lo chiamava proprio così, " regime", e aggiungeva: «Non vogliamo più avere a che fare con i Ceausescu e gli Al Capone dell'ancien regime» (2 febbraio '93). Certo, annotava il giacobino il 4 aprile '93, « c'è la zona oscura dei vecchi detentori del potere che non accettano di perderlo, dei Craxi, degli Andreotti, dei Gava, l'arca degli inquisiti irriducibili. È forse anche l'arca di Cossiga e della fantomatica Falange Armata, l'arca dei servizi deviati, l'arca di un'Italia torbida e clandestina che ha inquinato la democrazia della Prima Repubblica e che potrebbe corrompere anche la nascita della seconda».

 

ADORNATO MORE

 

Nel suo piccolo, Ferdinando Adornato l'aveva minacciato tre giorni fa sul Giornale: «Il 2003 sarà anno di decisive riforme anche per scuola, Università, musica, cinema, libro». Alla scuola sta badando, da par suo, la Moratti. Alla musica, con la ristrutturazione distruttiva della Scala, provvede la giunta Albertini. '
Nel cinema, grazie al monopolio Medusa, il più è fatto. Quanto al libro, il passaggio della prima casa editrice italiana da Leonardo Mondadori a Marina Berlusconi è un indubbio salto di qualità, anche se una soluzione Previti appariva più consona, con tutto quel che ha fatto Cesare per la Causa. Poi c'è il teatro, con la nomina del pregiudicato Marcello Dell'Utri alla direzione del Lirico di Milano: l'uomo, si sa, è colto, anche se quasi mai sul fatto.
E la Storia, dove la mettiamo la Storia? A quella si applica il volonteroso Giuliano Ferrara,nella sua nuova reincarnazione di revisionista fogliante della scuola Veronica Lario. La scorsa settimana, improvvisandosi studioso di diritto comparato, aveva esposto il presidente del Consiglio a una figura più barbina del solito, mettendogli in bocca quelle baggianate sulle presunte «democrazie liberali» che farebbero giudicare i governanti dai loro «pari». Poi 71 costituzionalisti veri hanno dimostrato che era tutto falso: anche il presunto «modello spagnolo» non esiste da nessuna parte, tantomeno in Spagna...
Bocciato in Diritto costituzionale, Ferrara s'è dato alla Storia, con particolare specializzazione di quella del 1993: l'anno che lui chiama «del Grande Terrore», quando - a suo dire - i giudici giacobini e giustizialisti» imposero all'intero Parlamento di spogliarsi del sacro vello dell'immunità.
Peccato che anche questo sia un fatto falso. Per informazioni, il nuovo Tacito potrebbe rivolgersi d alcuni amici intellettuali, da Paolo Mieli a Ernesto Galli della Loggia. Che fortunatamente, nel 1993, erano più attivi che mai. Dalla parte del Grande Terrore.
Il 18 aprile `93 Mieli scrive sul Corriere della sera che «prima si vota e meglio è», ma che prima di andare alle elezioni anticipate bisognava approvare «due leggi improcrastinabili : riforma degli appalti e dell'istituto dell'immunità parlamentare. Nello stesso tempo il Parlamento dovrebbe impegnarsi, in via eccezionale, a concedere tutte le autorizzazioni a procedere richieste dai magistrati».
Anche Mieli aveva paura del pool di Milano? Oppure interpretava un'opinione pubblica che al 99.99 per cento non ne poteva più di quei privilegi? Da mesi in Parlamento si discuteva di abrogare l'immunità, sulla base di ben undici disegni di legge di tutti i maggiori partiti, e non soltanto di Lega Nord e Msi (che volevano addirittura abrogare non soltanto per le indagini, ma anche per (arresto,le perquisizioni e le intercettazioni).
Il 29 aprile `93 la Camera nega buona parte delle autorizzazioni a procedere contro Craxi, e il Paese insorge. Il 1 maggio, un altro noto giacobino come Galli della Loggia tuona ancora sul Corriere: « Il voto della Camera ha portato in primo piano una situazione di estrema gravità: sulla scena politica esiste un nocciolo duro di malaffare politico e corrotta intrinsichezza con la proporzionale, che ha il suo epicentro nei due principali partiti delle vecchie maggioranze (Dc e Psi) ed è sufficientemente forte per tentare una battaglia di resistenza contro il cambiamento - per esso micidiale - del sistema e dell'atmosfera politica del paese». Della Loggia conclude intimando al nuovo premier, Carlo Azeglio Ciampi, di «mettere con le spalle al muro il nucleo della sua maggioranza, spingerla a forza, con le buone o con le cattive, verso il suicidio
politico. «Altrimenti rimarrà prigioniero del malaffare politico-partitocratico».
Se Ferrara volesse conoscere qualche altro rivoluzionario giacobino che sostenne l'abolizione dell'immunità, potrebbe rivolgersi non solo a leghisti ed ex missini, ma anche a Silvano Labriola (Psi),
Paolo Battistuzzi (Pli), Tarcisio Gitti (Dc), Enrico Ferri (Psdi, ora Forza Italia), Roberto Formigoni (De, ora Forza Italia), Sergio D'Antoni (Cisl, ora Udc).
O all'ex presidente Francesco Cossiga, che il 22 febbraio `93 definì «delegittimato» quel Parlamento, e lo fece proprio a «
L'Istruttoria» di Ferrara. Anche Cossiga, nel Grande Terrore, era terrorizzato dai giudici terroristi? Uno storico che si rispetti ha il dovere di acquisire queste illuminanti testimonianze.
Altrimenti, se dopo la Politica e il Diritto non ce la fa nemmeno con la Storia, può sempre provare con qualche altra materia. Tipo l'educazione fisica.

 

 

 

                

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