C'era una volta un paese modello, un paradiso terrestre dove la
classe dirigente pareva linda come il bucato appena fatto. Gli
scandali politici erano rarissimi incidenti di percorso e le
inchieste sui <<colletti bianchi>> esercizi di pura temerarietà. La
grande stampa rassicurava la cittadinanza con bollettini all'acqua di
colonia, eccitandosi per delitti d'onore e storie di pelo e lasciando
in pace politici e affaristi. E le forze dell'ordine e della
magistratura potevano serenamente occuparsi dei 'veri' delinquenti:
ladri di polli, cani sciolti del giornalismo malati di scoop,
lavoratori in sciopero. Per quelli sì tintinnavano le manette. Non
certo per lorsignori. Era l'Italia edenica degli anni Cinquanta e Sessanta, beatamente
scevra di <<conflitti istituzionali>>, felicemente dominata
dal <<primato della politica>>, benedettamente aliena da quel <<partito
dei giudici>> che tanti guasti avrebbe provocato in seguito con quella
sua assurda voglia di verità. In quegli anni andavano di moda
i <<giudici di partito>>. Cioè di palazzo, di regime. E piacevano un
sacco. Niente polemiche, niente scontri tra parlamento, governo e
magistratura: i tre poteri andavano d'amore e d'accordo. Come fossero
uno solo.
E dire che di verità imbarazzanti da investigare, volendo, ce n'erano
anche allora. La sistematica corruttela inaugurata e addirittura
teorizzata dal presidente dell'Eni Enrico Mattei. I fiumi di denaro
che cominciano a confluire nelle casse dei partiti di maggioranza e opposizione da aziende pubbliche e private, oltreché da paesi
stranieri dell'Ovest e dell'Est. Le scorribande di finanzieri
d'assalto, bancarottieri, palazzinari, pescecani da sottobosco
bancario, ministeriale e vaticano. I primi delitti politici come
Portella della Ginestra, il caso Giuliano, il caso Pisciotta, la
stessa morte di Mattei. E poi le continue deviazioni affaristiche e
golpistiche degli apparati di sicurezza pubblica. Ogni tanto qualche
giornalista ficcanaso lancia un sassolino nello stagno, ma viene
prontamente zittito, ignorato, magari processato per lesa maestà.
La magistratura che fa? Potrebbe far molto visto che fin dal 1948 la
Costituzione ne garantisce l'autonomia e indipendenza da ogni altro
potere e le assegna il compito e gli strumenti per accertare la
verità. Il pubblico ministero che, ancora nel ventennio fascista era
il 'rappresentante del potere esecutivo presso l'Ordine giudiziario,
ora deve rispondere soltanto alla legge, libero di muoversi ogni qual
volta sospetti che una legge è stata violata. Norme scritte sulla
carta ma inapplicate per decenni. Nella prassi continua l'andazzo dei
bei tempi andati.
I vertici della magistratura sono in mano ai giudici del Ventennio.
Le nuove leve togate provengono dagli stessi ceti sociali della
classe dirigente che dovrebbero controllare. E l'organizzazione
giudiziaria sembra (o è) fatta apposta per garantire l'obbedienza al
potere: ferrea selezione che premia la pavidità e il conformismo,
rigida gerarchia, sia interna (procuratori capi) sia esterna (procuratori generali), punizioni esemplari per chi stona nel coro
del potere.
Soltanto nel 1958 il parlamento si decide ad attuare la Costituzione
e ad istituire l'organo di autogoverno dei giudici: il CSM (Consiglio
Superiore della Magistratura). Autogoverno si fa per dire, perché la
legge istitutiva calpesta allegramente la Costituzione, consentendo
al potere politico una serie impressionante di interferenze. E quelle
non più previste continuano ad essere abusivamente esercitate: i
ministri della Giustizia seguitano imperterriti a diramare le loro
famigerate circolari ai procuratori generali, ordini di scuderia su
come vada amministrata la giustizia. La polizia giudiziaria, ampiamente inquinata e comunque controllata dal governo, si guarda
bene dal disturbare i manovratori. La stampa, salvo i soliti
rarissimi ficcanaso, bada a sopire, a troncare. Se si aggiunge che il
governo mantiene il diritto di veto sulle nomine dei procuratori, e
lo esercita ferocemente, ecco spiegato perché le toghe di allora
hanno tutte (o quasi) un rassicurante color grigio-governativo.
Debole coi forti, forte coi deboli, il potere giudiziario va bene
così. Se poi qualche rompiscatole cerca di mettere il naso dove non
deve, o viene trasferito lui o viene trasferita l'inchiesta.
Procedimenti disciplinari pretestuosi, cavillose avocazioni
e remissioni ad altra sede
La Giustizia di Lorsignori vacilla a fine anni Sessanta, quando per
la prima volta si affaccia in magistratura una nuova generazione di
laureati in legge , provenienti da ceti sociali e filoni culturali i
più disparati. Giudici ragazzini dalla vista aguzza, che la
Costituzione la leggono tutta intera e certi scandali non riescono
proprio a non vederli. E' da allora che il Palazzo comincia a tuonare
contro il <partito dei giudici>, a invocare controlli politici
sulle <procure irresponsabili>, a strillare contro le
presunte <invasioni di campo>, a proporre riforme bavaglio. Che però
resteranno sempre nel libro dei sogni: nemmeno Craxi, nemmeno
Andreotti, nemmeno De Mita, nemmeno i compari di Gelli osano (o riescono) a tradurle in pratica. Bisognerà attendere la Seconda
Repubblica, con i D'Alema e i Boato, i Berlusconi e i Fini, perché il
tanto sospirato guinzaglio alla magistratura diventi riforma
costituzionale. E ora qualcuno si domanda che ne sarebbe stato delle tante inchieste
scomode degli anni Settanta, Ottanta e Novanta se la controriforma
della Bicamerale fosse stata in vigore trent'anni fa. La risposta è
semplice: insabbiamenti, depistaggi e avocazioni sarebbero stati
ancora più agevoli di quanto in realtà non furono. O magari sarebbero
stati addirittura superflui.
Qui di seguito una breve documentazione di alcuni dei delitti e delle
ruberie commesse dalla classe politica e dintorni e la documentata
orrenda storia del loro insabbiamento. Leggendo tali storie sorge un
dubbio: se le Brigate Rosse avessero davvero mirato al cuore dello
Stato, non sarebbe stato augurabile che avessero fatto centro?
Uccisione del colonnello Rocca (27/6/1968) suicidato 4 giorni prima
della sua testimonianza contro il piano Solo, colpo di Stato
organizzato dal gen. DeLorenzo.
Piazza Fontana (12/12/1969). Cancellazione voluta delle prove da
parte delle forze dell'ordine con l'assenso del procuratore capo
Enrico De Peppo (una bomba 'gemella' rimase inesplosa, era ovviamente
un prezioso elemento che poteva guidare verso gli attentatori e
invece fu fatta brillare!). Falsa pista anarchica, protezione a Freda
e Ventura, spostamento del processo a Catanzaro, ecc. ecc. ecc.
FIAT, il tempio profanato (5/8/1971). Scoperta che la Fiat scheda
tutti i propri dipendenti corrompendo le istituzioni per avere ogni
tipo di informazione riservata. Dalla cassaforte del colonnello Mario
Cellerino, capo dei servizi generali ed ex agente dei servizi segreti
dell'esercito e della Difesa, saltan fuori decine di bustarelle piene
di banconote pronte per essere consegnate agli uomini della questura,
della prefettura, dei carabinieri, del Sid, dell'esercito in cambio
di informazioni riservate. Tutti i giornali tacciono, tranne l'Unità.
Il procuratore capo Colli passa la patata bollente alla procura di
Napoli (a Torino la Fiat non si processa). Gianni e Umberto Agnelli
negano di aver mai conosciuto il loro dipendente Cellerino. Tutti
assolti. Prima condanna Fiat aprile 1997.
Rosa dei Venti (1974). Il giudice istruttore padovano Giovanni
Tamburrino e il pm Luigi Nunziante scoprono il tentato golpe dei
neofascisti della 'Rosa dei Venti' e del <<Sid parallelo>> una
struttura paramilitare occulta legata alle forze armate e alla Nato
(detta anche Nuclei di difesa dello Stato). Arrestano il colonnello
Amos Spiazzi, capo dell'ufficio informazioni di stanza a Verona e
incriminano alcuni alti ufficiali Nato. Roberto Cavallaro, uno dei
complottatori, vuota il sacco: coperture del Sid, finanziamenti della
Piaggio e da Sindona, e quant'altro. Il 31/10/74 Tamburrino arresta
il capo del SID Vito Miceli. Ce n'è abbastanza per levargli
l'inchiesta. l'immancabile procura di Roma solleva il conflitto di
competenza e accorpa l'indagine col golpe Borghese, seguita già
amorevolmente da Claudio Vitalone, giudice di stretta osservanza
andreottiana (poi coinvolto nell'accusa per l'assassino del
giornalista Pecorelli!). Finale: tutti assolti, anche Miceli che pur
aveva confessato che la struttura paramilitare 'non era pienamente
regolare'.
Scandalo petroli. Nel 1973 i pretori genovesi Mario Almerighi,
Adriano Sansa e Carlo Brusco scoprono un vorticoso giro di mazzette
pagate dai petrolieri italiani per avere in cambio appalti e leggi
fiscali su misura (come Berlusconi dieci anni dopo per avere il
decreto Craxi per le sue TV). Decine di miliardi a DC, PSI, PSDI,
PRI. Incriminati gli ultimi 5 ministri dell'Industria: Andreotti,
Ferrari Aggradi, Bosco e Valsecchi, Preti e Ferri. Apriti cielo! I
partiti strillano contro i 'pretori d'assalto'. La DC per voce di
Gerardo Bianco e Giuseppe Gargani propone di ribaltare la maggioranza
del CSM a favore di membri politici (tentativo ripetuto e in parte
riuscito da Berlusconi in Bicamerale). Stavolta per insabbiare non
c'è neppure bisogno di avocare l'inchiesta.Almerighi viene accusato dal capo della pretura di 'avere attentato
alla Costituzione! La commissione inquirente assolve tutti, i
finanzieri che si erano occupati dell'inchiesta vengono tutti
trasferiti, Achille Gallucci consigliere istruttore manda
all'inquirente anche i processi contro i petrolieri, assoluzione in
massa!
Lockheed, mazzette aeree. Ottobre 1975. Un'inchiesta del Senato
americano accerta che la Lockheed ha pagato 3 miliardi per corrompere
politici italiani e vendere all'Italia gli Hercules C-130. La
magistratura romana stavolta è costretta a indagare. Guy, Tanassi e
Rumor finiscono davanti all'inquirente. 'Antelope Kobbler', il
cacciatore di gazzelle, ossia il leone, non viene identificato
(Giovanni Leone era allora il presidente della repubblica...). Guy,
Rumor assolti. Tanassi condannato ma ben presto liberato e affidato
ai servizi sociali. Il povero Tanassi è il primo e l'unico politico
ad essere stato almeno formalmente condannato prima di Mani Pulite!
La difesa politica di Aldo Moro fu il famoso discorso in cui
affermava che la DC non si sarebbe fatta processare nelle piazze e
che bisognava pur tener conto che rappresentava milioni di voti. Il
povero Moro verrà processato in modo assai più barbaro di quanto
temeva per la DC.
Ariscandalo petroli. Autunno 1980. I giudici di Roma e di Treviso
s'imbattono in una mega truffa all'erario di duemila miliardi, legata
ad un gigantesco contrabbando di petrolio, con fondi neri e tangenti
ai soliti partiti. Coinvolti fino al collo i vertici della Guardia di
Finanza, dal comandante Raffaele Giudice (piduista, amico di
Andreotti, del Vaticano e del giudice Gallucci) al capo di Stato
Maggiore Donato Lo Prete (piduista anche lui) raggiunti da mandati di
cattura insieme agli ex-capi del Sid Mario Casardi e Gianadelio
Maletti. regista dell'operazione Bruno Musselli, padrone della
Bitumoil, intimo del defunto Aldo Moro e del sue segretario Sereno
Freato, ma anche di Tony Bisaglia, Salvo Lima, e vari esponenti del
PSI e del PDSI: Sullo sfondo si muovono cardinali, spioni,
dossieranti, ricattatori, faccendieri di ogni razza e colore. Saltano
fuori conti svizzeri collegati a politici di primissimo piano. Lo
scandalo poteva già scoppiare nel 1976 quando un onesto colonnello
della Finanza, Aldo Vitali, ha scoperto tutto e ha steso un rapporto,
ma Giudice e Lo Prete, come premio per tanto acume, lo fecero
trasferire punendolo con un'indagine interna.Nel frattempo Gelli stende il suo 'Piano di rinascita nazionale' che
ipotizza la subordinazione dei pm al governo e del CSM al parlamento,
più una lunga serie di geniali trovate che avranno fortuna grazie a
Berlusconi e D'Alema nella Bicamerale, perché se i pm restano
indipendenti può accadere di tutto. E infatti accade. Nel 1980
l'inchiesta petroli dilaga in 20 procure! Si scatena la reazione con
falsi dossier su conti svizzeri inesistenti a nome dei pm! Poi si
scopre che sono battuti con la macchina da scrivere dell'ufficio di
Wilfredo Vitalone, fratello del più noto Claudio, coadiuvato dal DC piduista Vincenzo Gissi e ispirato da Lo Prete, ma ben presto il
processo finirà a Roma: i calunniatori saranno tutti assolti! Uno dei
pm, Vaudano, è accusato di essere 'comunista' e verrà sottoposto a
procedimento disciplinare per avere osato aprire delle cassette di sicurezza di alcuni deputati piduisti (ma la legge non lo vieta
affatto).
Assalto a Bankitalia. I primi mesi del 1979 sono una sequenza
allucinante. In gennaio Giovanni Ventura fugge da Catanzaro in
Argentina alla vigilia della condanna per piazza Fontana, e il
giudice Alessandrini che ora indaga sull'Ambrosiano del piduista
Roberto Calvi è assassinato da Prima Linea [da Roberto Sandalo e
Marco Donat Cattin, figlio del ministro DC. Sandalo, amico di
Martelli, potrà scontare la pena a Nairobi dove apre un Casinò in cui
ospiterà il "fumato" Martelli. Marco Donat Cattin potrà scappare
perché il suo papà era stato avvertito del figlio ricercato dal
Ministro degli Interni, l'angioletto Cossiga. n.d.r.]. Il primo marzo
Tanassi è condannato dall'Inquirente (caso unico nella storia) a 2
anni e 4 mesi per lo scandalo Lockheed. Il 20 marzo viene ucciso il
giornalista piduista Mino Pecorelli e Michele Sindona è incriminato degli USA per la bancarotta della Franklin National Bank. Il 21 marzo
Andreotti, reduce dal suo quarto governo, inaugura il quinto. E' lui
il grande sponsor di Sindona, è lui che si prodiga con ogni mezzo per
salvare il bancarottiere piduista e mafioso sulle cui malefatte sta
indagando il liquidatore Giorgio Ambrosoli e i vertici della Banca
d'Italia.Ambrosoli verrà assassinato da un killer di Sindona l'11 luglio.
Prima però 'qualcuno' decide di togliere di mezzo il vertice della
Banca d'Italia: il governatore Paolo Baffi e il vicedirettore della
vigilanza, Mario Sarcinelli, due galantuomini che hanno il torto di
opporsi ai tentativi di salvataggio politico di Sindona. Il 24 marzo
la procura di Roma incrimina il governatore e fa arrestare Sarcinelli
accusandoli di interessi privati in atti d'ufficio e favoreggiamento
per non avere avviato un'ispezione sui finanziamenti alla SIR di
Rovelli (sì, proprio quello dei miliardi a Previti, Pacifico & soci).
Il pm è Luciano Infelisi e il giudice istruttore Antonio Alibrandi
(padre di quell'Ali Babà che ha ucciso Walter Rossi, ucciso poi a sua
volta durante una rapina per finanziare l'estrema destra). Il provvedimento è talmente pretestuoso e scandaloso che 147 economisti
solidarizzano in un pubblico appello coi due imputati.Ambrosoli assassinato. Baffi fuori gioco. Sindona ufficialmente
rapito dalla mafia. (Lo stesso Alibrandi assolverà con formula piena
Baffi e Sarcinelli nel 1981).
Da Sindona alla P2. L'inchiesta sul delitto Ambrosoli e sul finto
sequestro di Sindona è affidata ai giudici istruttori Giuliano Turone
e Gherardo Colombo e al pm Guido Viola. I tre fanno perquisire la
villa aretina di Gelli e saltano fuori i famosi elenchi della P2.Subito informato, il procuratore capo della procura di Milano Mauro
Gresti non trova di meglio che suggerire la restituzione delle carte
al Venerabile (Borrelli non c'era ancora).Una busta intestata a Claudio Martelli contiene il numero di un conto
svizzero chiamato 'Protezione', un'altra documenta un versamento di
oltre 7 milioni di dollari a Bettino Craxi, che propone di sottoporre
le procure al controllo del governo 'perché lo Stato e il cittadino
siano adeguatamente rappresentati al processo' (sembra oggi, vero?).Pertini è all'estero e viene avvertito Forlani, presidente del
consiglio. Lui balbetta, temporeggia, sa già tutto ma fa lo gnorri,
solo due mesi dopo renderà pubblici gli elenchi. Viene fermata la
figlia di Gelli e cosa le trovano addosso? Ma dei dossier contro
Turone, Viola e Colombo accusati avere conti in Svizzera e di aver
passato documenti a ricattatori.
Il piduista Pietro Longo urlerà che Colombo è mosso da fini politici
(sembra oggi di nuovo, vero?); finirà in galera, anche lui sfortunato
come Tanassi, tutti del debole PSDI.
Gallucci e Sica si affrettano: per impedire che gli 'elencati'
possano testimoniare mandano avvisi di reato per <<reato connesso>>esentandoli così dall'obbligo di dire la verità. Gallucci, Sica,
Infelisi fanno su e giù con Milano, interferendo in tutti i modi,
fino all'immancabile conflitto di competenza. Stavolta la procura
generale si oppone ma il 2 settembre la Cassazione passa tutte le
inchieste alla procura di Roma, cioè in archivio. Tutti prosciolti,
anche gli indifendibili come Martelli e Craxi. Solo nel 1994 grazie
alla confessione di Larini il pool di Milano riuscirà ad inchiodarli
con quelle stesse prove.
Il pozzo nero dell'Iri. 1984, si replica. Un ignoto denuncia due
società del gruppo IRI di fondi neri, falsi in bilancio e
finanziamento illecito ai partiti. Gresti (quello che c'era prima di
Borrelli) chiede al giudice Colombo di archiviare. Colombo non ci sta
e comincia a indagare davvero: gli basta poco per trovare che
l'allora presidente dell'Iri Petrilli dirottava miliardi a singoli
uomini politici o a loro faccendieri come Mach di Palmstein, Gianni
Letta e associazioni tipo Opus Dei. La stampa ignora o minimizza. Le
istituzioni idem.Colombo ricorda che la resistenza alle indagini fu enorme, testimoni
che sparivano, documenti ufficiali falsificati, imputati che
inventavano storie inverosimili. Alla fine riuscirono a recuperare
140 miliardi. Ma appena arrivano ai gestori dei fondi neri (tra cui
Ettore Bernabei, fanfaniano, amministratore dell'Italstat) la procura
di Roma sembra morsa dalla tarantola e apre un fascicolo sugli stessi
fatti investigati a Milano. La manovra è talmente spudorata che ben
tre pm romani rifiutano di occuparsene.
Ma la procura romana è spalleggiata dalla procura generale e alla
fine, naturalmente, la Cassazione manda tutto a Roma. Dopo qualche
mese tutti vengono prosciolti. Viva il porto delle nebbie!
Affare Cossiga-Donat Cattin. Il 12 aprile 1980 viene catturato a
Torino il terrorista di Prima Linea Roberto Sandalo che dice che il
suo compagno d'armi Marco Donat Cattin è potuto fuggire in Francia
perché avvertito dal padre che era stato a sua volta avvertito dal
ministro degli Interni Francesco Cossiga, diventano nel frattempo
Presidente del Consiglio.Dodici magistrati di Torino chiedono la messa in accusa di Francesco
Cossiga. L'Inquirente ovviamente archivia. L'opposizione porta il
caso in parlamento in seduta comune. Il relatore di maggioranza è
Claudio Vitalone, quello dell'opposizione è Luciano Violante. Vince
Vitalone, l'onesto, 535 a 370. Cossiga, prosciolto dalla giustizia
politica tuona 'giudici comunisti!'. Avrà modo di vendicarsi contro
la magistratura da presidente della repubblica, bloccando il CSM dal
1986 al 1992.
Calvi, un perseguitato. Il 20 maggio 1981 mentre Forlani tira
finalmente fuori dal cassetto l'elenco dei piduisti, il pm Gerardo D'Ambrosio chiede e ottiene l'arresto di Calvi per esportazione
illegale di capitali. Calvi tenta il suicidio in carcere. Craxi, che
ha perduto uno dei suoi più munifici finanziatori, perde anche la
pazienza e il 10 luglio urla alla Camera che i giudici hanno la
responsabilità morale di quel tentato suicidio (non siamo ancora
all'infame Sgarbi, ma siamo lì). Poiché la Borsa crolla, Craxi accusa
i giudici anche di quello. Il segretario della DC Flaminio Piccoli
invita il ministro della Giustizia Clelio Darida [è quello
del "prezzo giusto" della SME. n.d.r.] ad inviare un 'ispezione,
contro chi indaga non contro i delinquenti naturalmente (come si vede
il copione è talmente vecchio da essere usurato, ma lo adoperano
ancora).
Pochi mesi dopo Calvi verrà condannato a 4 anni e poi finirà
impiccato sotto il ponte dei Frati Neri.
Cappuccini killer al CSM. L'apice della faccia da culo di Gallucci
[il patrigno della Lambertucci, quella di "Più sani, più belli".
n.d.r.] alla procura di Roma si tocca con l'accusa al CSM di
consumare troppi cappuccini. Poiché si temeva che il CSM volesse
indagare sulla procura di Roma che aveva insabbiato TUTTO, Gallucci
si mette in malattia e i mandati di comparizione li invia un altro
strenuo difensore della legalità: il giudice Squillante (proprio
quello che sta in galera, [il confratello di Previti e banana.
n.d.r]). Li invia a tutto il Consiglio e poi viene chiesto a Pertini,
presidente della repubblica e anche del CSM, si sospenderli. Fortuna
che Pertini era Pertini e non solo non obbedì, ma strinse
pubblicamente la mano uno per uno a tutti i consiglieri.Un mese dopo il procuratore reggente Volpari stabilisce che il
consumo di cappuccini è regolare e il fatto non sussiste, insomma
dice che l'inchiesta era una bufala e subito l'onesto Squillante, con
mirabile giro a U, accoglie la richiesta.Il CSM potrà così fare pulizia nella magistratura contro i giudici
piduisti (2 espulsi, uno trasferito e degradato, 4 censurati e 4
assolti). Sarà l'unico dei tre poteri istituzionali a farlo. Nelle
altre istituzioni i piduisti arriveranno alle massime cariche di
governo.
Il caso Cirillo. Per Moro duri, per Cirillo trattative a tutto campo
con terroristi e camorra. Il giudice Carlo Alemi ha le prove. De Mita
urla in parlamento 'giudice comunista!' (lo so che è sempre lo stesso
slogan, ma i nostri deputati sono monotoni).
Dieci anni dopo i pentiti raccontano e provano che il giudice Alemi
aveva visto giusto.
Zampini & C. Nel febbraio del 1983 a Torino, la prima avvisaglia di
Tangentopoli. Un piccolo imprenditore si lamenta col sindaco Diego
Novelli del sistema di corruzione che ruota intorno a Adriano
Zampini. Novelli lo dirotta alla procura della repubblica e Zampini
finisce dentro. Confessa mazzette date alla DC, al PSI e al PCI.
Scatta il blitz. Finiscono in galera una ventina di politici e
amministratori. Craxi tuona contro la 'giustizia politica' (uffa,
ancora! ma non sanno che altro dire, ascoltate Berlusconi... se vi
regge ancora la pompa!) e adombra perfino che Zampini sia un
provocatore dei servizi segreti; poi nomina Giusy LaGanga commissario
del PSI a Torino ma finisce anche lui nell'inchiesta!
Savona, Teardo & C. Savona, giugno 1983. Viene arrestato il
presidente della regione Liguria, Alberto Teardo del PSI, piduista.
E' accusato di associazione mafiosa: un vero e proprio racket, con
attentati agli imprenditori renitenti alla mazzetta. La procura di
Genova spinge per l'insabbiamento, ma i giudici Michele Del Gaudio e
Francantonio Granero vanno avanti e accertano in breve ben 368 reati.
Teardo finisce in galera. Risulta che ha creato un clan piduista
chiamato <<Centro di azione democratica>>, la cui sede romana è negli
uffici dell'ineffabile Enrico Manca, piduista anche lui, nonché
presidente della RAI. Ma Teardo è contiguo a De Michelis, si rischia
di arrivare a Craxi. La canea politica diventa furibonda. Poiché il bravo Teardo era candidato alla Camera e si è sotto
elezioni, Craxi si limita a dire che si tratta di <<strenne elettorali>>, ma altri del PSI lo definiscono
<<prigioniero politico>>.
Al giudice Del Gaudio sfasciano la macchina, mandano macabri
avvertimenti e lo Stato da par suo gli leva prima la segretaria e poi
l'auto blindata. I capi dei gruppi investigativi che affiancano Del Gaudio vengono trasferiti (il colonnello Bozzo e il generale Biscaglia). Del Gaudio terrorizzato si ammala. Viene condannato solo
Teardo insieme a una ventina di pesci piccoli. Il povero Del Gaudio, parcheggiato al tribunale civile di Napoli, dice ' avevamo in mano
gli stessi atti e gli stessi nomi che i colleghi di Mani Pulite
avrebbero ritrovato dieci anni dopo'. La pista politica fu invece
insabbiata.
Trane & C. Brindisi 4 giugno 1987. Viene arrestato a Brindisi Rocco
Trane, segretario piduista del ministro dei Trasporti, il socialista
Claudio Signorile (quest'ultimo già coinvolto nel 1979 nello scandalo
Eni-Petronim per presunte tangenti all'Arabia Saudita).
Stavolta le tangenti riguardano l'aeroporto di Venezia e alcuni scali
ferroviari. Signorile assolve il portaborse: <<L'ho chiesto a lui,
guardandolo negli occhi. Debbo credere alle sue parole quando mi ha
detto di essere innocente>>. Che bisogno c'è dei giudici. Forse basta
giurare sulla testa dei propri figli...
Viareggio, Italia. Nell'estate del 1987 la Guardia di Finanza scopre
per caso un giro di tangenti e fa arrestare alcuni amministratori
socialisti locali e anche Walter De Ninno, funzionario della segreteria nazionale del PSI. Subito la voce di Craxi che vanta
l'innocenza di De Ninno. Si associano Martelli, Intini, De Michelis.
Intini che fa? Ma è ovvio! Chiede al ministro della Giustizia, al
secolo Virgilio Rognoni [l'attuale "comunista" vicepresidente del
CSM. n.d.r], di indagare contro i giudici che osavano a perseguire i
delinquenti! (Lo so che è sempre lo stesso copione.... ma questa è la
triste verità!)
Il paradiso del CAF. La vendetta dei partiti colpiti dalle inchieste
scatta il 13 marzo 1986 quando PSI, PLI, PSDI e radicali presentano
alla Cassazione due referendum per intimidire la magistratura:
1) il magistrato che sbaglia, non solo per dolo quando è ovvio che
paghi, ma anche per colpa (che in diritto significa senza la volontà
di sbagliare).
2) modifica del sistema elettorale del CSM (chiodo fisso).La Cassazione passa il primo e boccia il secondo. Sull'onda emotiva
del caso Tortora, il referendum passa con l'80% dei voti.Da allora per 5 anni le inchieste sugli scandali di Stato diventano
pochissime: lenzuola d'oro (Ligato, 1988), carceri d'oro (Nicolazzi, 1988) e poco altro.
In compenso trionfa la Cassazione di Carnevale che annulla decine di
sentenze di condanna contro i mafiosi: liberi i fratelli Greco
assassini di Chinnici, libero tutto il clan dei Catanesi, liberi gli assassini di Basile, prosciolti in secondo grado gli assassini di
Dalla Chiesa.
Torna il venerabile Gelli senza passare per il carcere, viene
smantellato il pool antimafia di Palermo, Cossiga si scaglia contro i
giudici ragazzini, si intrecciano i loschi affari tangentizi tipo
Enimont, si apre il tempo delle grande mattanze mafiose in Sicilia,
Calabria e Campania, esce la famigerata legge Mammì sulla falsariga
dei ben pagati decreti di Craxi che riaccese le reti Fininvest chiuse
per manifesta illegalità da alcuni pretori, Berlusconi scala la
Mondadori grazie a un paio di sentenze 'bizzarre' di cui si tenta
solo ora di scoprire il prezzo e di tante altre delizie che verranno
smascherate solo in seguito.
Un intruso a Trento. Palermo a Trento. Carlo Palermo ha 33 anni
quando nel 1980 diventa reggente dell'ufficio istruzioni di Trento.
Il primo fascicolo che gli capita fra le mani riguarda un traffico di droga dalla Turchia. Normale, ma qualcuno lo accusa di aver cercato
di estorcergli nomi di politici. Indagine contro il giudice,
prosciolto. Però questo gli fa capire che aveva toccato un tasto
pericoloso.
Mafia turca, Cosa Nostra e traffico di armi, anche nucleari, con
mazzette miliardarie. Palermo si vede boicottare l'inchiesta dalla
procura e negare la scorta perché <<non porta la cravatta>>. La sua
famiglia si sfascia. Ma lui insiste. Nel giugno del 1983, da una
perquisizione a Roma, salta fuori un documento che cita il presidente Craxi a proposito di tal Michele Jasparro, implicato in strane
forniture d'armi all'Argentina. Nel traffico sarebbero coinvolti Pillitteri e l'immancabile Mach di Palmstein [era quello che, a
Portofino, aveva la villa con maniglie e rubinetti d'oro massiccio.
n.d.r], a proposito della cooperazione in Somalia e Mozambico
(Ilaria, avevi trovato qualcosa anche tu? [oltre al fatto,
recentissimo, di nostri soldati che sequestravano fanciulle somale
per prostituirle con la forza negli accampamenti. n.d.r]). Palermo
scopre quattro società finanziare legate al PSI che lucrano stecche
di centinaia di milioni a volta. Palermo fa perquisire le sedi di
queste società (in una spunta anche il nome del banchiere BNL Nerio
Nesi, sì, lui, il rifondarolo). Il pg della Cassazione Giuseppe
Tamburrino, informato da Craxi, minaccia il giudice Palermo di
sospensione su due piedi, con l'accusa di aver compiuto atti contro
parlamentari senza autorizzazione. La perquisizione viene bloccata in
extremis. Craxi lo denuncia al CSM e lo attacca sui giornali
invocando che sia fatta giustizia (contro il giudice, of course!). La
procura di Trento senza neppure esaminare le carte esclude che Craxi
abbia qualcosa a che vedere con le quattro finanziare del PSI. Tutto
viene insabbiato. Carlo Palermo chiede il trasferimento a Trapani
dov'è ancora caldo il cadavere del giudice Giacomo Ciaccio Montalto.
Appena arrivato là prende il fascicolo sui cavalieri di Catania,
Renzo e Costanzo, in odore di mafia. Comincia la stagione delle
minacce che culminerà in una bomba che lascia miracolosamente illeso il giudice ma ammazza una madre coi suoi due bambini. Nove giorni
dopo lo scoppio, l'Inquirente senza alcun senso del comico, archivia
il caso 'Craxi-Palermo'. Adesso Palermo è tornato a Trento come consigliere regionale della Rete. Mani Pulite gli ha dato ragione: Craxi, Martelli, Mach di Palmstein, tutti condannati.
Queste e molte altre cose accadevano nei mitici anni Settanta e
Ottanta. Nonostante le auree norme della Costituzione che, sulla
carta, garantiscono 'l'autonomia e l'indipendenza della magistratura da ogni altro potere'.Poi viene Mani Pulite e la nuova primavera di Palermo (città) col
giudice Caselli. E per qualche anno, sia pure a macchia di leopardo,
l'Italia vede quella Costituzione finalmente attuata.
Nell'indignazione generale della classe politica vecchia e (presunta)
nuova. Che corre subito ai ripari per rimediare allo scandalo. Prima,
con i soliti vecchi sistemi: campagne di delegittimazione, minacce a legge armata, dossieraggi, ispezioni, processi trasferiti, giudici
trascinati davanti al CSM, costretti a dimettersi, processati per
reati inesistenti. Tutto inutile: le inchieste da Milano a Palermo,
da Torino a Napoli, continuano. Non resta che giocare pesante,
tentando di manomettere de jure quella Costituzione che non si riesce
più a manomettere de facto. Prima la Bicamerale del 1992 , presieduta
da De Mita, tenta subito di scassinare l'indipendenza della
magistratura con la separazione delle carriere tra pm e giudici. Ma i
tempi non sono maturi. Vanno in fumo anche i decreti salvaladri Amato- Conso e Biondi-Berlusconi-Previti. Poi la Bicamerale del 1997:
finalmente i tempi sono propizi. Silvio Berlusconi, il figlioccio di
Gelli e di Craxi, il politico più inquisito d'Europa, mancato per un
soffio il traguardo del ritorno a palazzo Chigi, trova parziale
consolazione come numero due dei padri ricostituenti, alle spalle di
Massimo D'Alema. In soli 6 mesi la Commissione centra l'obiettivo: restituire al potere politico quelle armi anti-giudici che fino
all'altro ieri erano tanto diffuse quanto improprie, inserendole
addirittura nella bozza definitiva di nuova Costituzione. Tutte norme che avrebbero reso impossibile le inchieste "scomode" degli ultimi vent'anni, ma che non avrebbero impedito, anzi incoraggiato, scandali
come il caso dei "cappuccini del CSM" e l'affaire Baffi-Sarcinelli,
per non parlare degli infiniti insabbiamenti.
Eccole in sintesi queste cosiddette riforme:
- separazione di fatto delle carriere
- gerarchizzazione dei singoli pm e delle procure
- sdoppiamento del CSM con minori poteri e maggior peso della
componente politica
- azione disciplinare affidata ad un procuratore generale nominato
dai partiti
- porte aperte alla magistratura agli avvocati
- relazione annuale del ministro della Giustizia al Parlamento con
dibattiti e votazioni sull'esercizio dell'azione penale e sulle indagini - inchieste vietate per i reati
privi di concreta offensività (cioè fine dell'azione penale
obbligatoria)
- minuziosi codicilli pseudogarantisti per paralizzare i processi più
scomodi
- mani legate ai pm nella ricerca delle notizie di reato (affidata
esclusivamente alla polizia giudiziaria, e pazienza se questa dipende
dal governo ed è sovente neghittosa o inquinata, anzi meglio così) e
via boateggiando....
Poi, nel 1999, per festeggiare il lieto evento, una bella amnistia
preannunciata con bell'anticipo dal presidente della Camera e
nell'attesa una commissione parlamentare d'inchiesta sulle inchieste, anzi - per dirla col capo dello Stato - sulle "torture", gli "abusi",
Il "tintinnare di manette" e i "sistemi abbietti" dei giudici
mascalzoni che perseguono persino quel sant'uomo di Previti. Affinché tangentopoli e mafiopoli non si ripetano mai più. E torni a tintinnar
la sabbia.
Quod non fecerunt Gelli et Craxi, fecerunt Dalemoni
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