di marco
travaglio Commento al libro di Flore d'Arcais
Ora qualche
spiritoso dirà che la sparata berlusconiana contro i “politici di professione”
che si fanno la casa e la barca “con soldi rubati” sembra fatta apposta per
lanciare il nuovo libro di Paolo Flores d’Arcais, alfiere dei girotondi e dunque
dell’ ”antipolitica”. Si tratta, naturalmente, di sciocchezze. Ma non è un male
questa concomitanza fra la sparata berlusconiana e l’uscita di “Il sovrano e il
dissidente. La democrazia presa sul serio” (ed Garzanti, pp. 105, 8 €). Perchè
rende più facile il confronto fra la vera antipolitica (quella del Cavalier
Qualunquista, dell’”è tutto un magna magna”) e la vera politica (quella difesa
dai Flores e dai movimenti autoconvocati).
Il libro non è
un pamphlet antiberlusconiano. E’ un saggio di filosofia politica che vola alto,
parecchie spanne sopra la nostra botteguccia quotidiana. L’indice dei nomi è
inutile, perchè in cento pagine si contano forse sulle dita di due mani. Una
volta è citato Berlusconi, una volta Prodi, due Moretti, qualche volta Bush. E
pochi altri. Più spesso ricorrono i maestri del pensiero democratico e liberale.
Tocqueville, Montesquieu, Hannah Arendt e simili sovversivi. Si parte da una
constatazione: “Come il re della fiaba, la democrazia è nuda. Il comunismo è
stato per cinquant’anni il suo alibi: con le sue miserie e la sua oppressione ha
rivestito nell’opulenza delle libertà tutte le contraddizioni,. Le inadempienze,
le menzogne che si sfrenavano da questa parte della cortina di ferro”. Poi è
caduto il muro, in testa al comunismo, ma anche alle democrazia occidentali. Che
hanno perduto ogni alibi, ogni velo che copriva le loro magagne e vergogne.
Flores, per prendere “sul serio” la democrazia, ricomincia dal nome. Ora che
tutti si proclamano “democratici” e quasi tutti “liberali”, cerca di stabilire
che significa esserlo davvero: “Democrazia non è affatto il dominio della
volontà della maggioranza, bensì il riconoscimento del potere e della libertà di
tutti, singolarmente presi”. A cominciare dai dissidenti, cioè dalle minoranze,
le prime a dover essere tutelate (le maggioranze non ne hanno bisogno). Perchè è
il “conformismo” il peggior nemico della democrazia. E l’unico antidoto al
conformismo è una ferrea divisione dei poteri, con protezioni speciali per i
contropoteri: magistratura, informazione, sindacato, dissenso.
Procedendo per
gradi e mai per salti, dimostrando ogni passaggio logico senza dare nulla per
scontato o per “naturale”, alla maniera dei vecchi filosofi, il direttore di
MicroMega elenca le “condizioni irrinunciabili” che lo Stato (non il privato)
deve assicurare a tutti i cittadini per garantire effettiva eguaglianza: il cibo
minimo vitale, la casa, la salute e anche (ma su questo si potrebbe obiettare
qualcosa) un “reddito minimo individuale”. E poi il sapere di base e
l’informazione libera, soprattutto in televisione. Solo chi sa può decidere (e
votare) a ragion veduta. Fino a qualche anno fa, erano valori condivisi. Ora che
vengono messi in discussione, anche con la teorizzazione e la pratica del
contrario, è bene ribadirli: non è democratico chi propugna il diritto del
Potere a mentire al cittadino. Certo, è fisiologico che il Potere menta al
cittadino. Ma se impedisce all’informazione di smascherare le proprie menzogne,
allora entra nel patologico. Ed esce dalla democrazia. E’ quanto stanno tentando
di fare, senza riuscirci, Bush e Blair sulla guerra all’Irak. E’ quello che ha
tentato di fare, riuscendoci, Berlusconi su tutte le vergogne del suo regime.
Che è regime, e non più democrazia, proprio perchè in Italia il monopolio
televisivo impedisce sistematicamente e sistemicamente la smentita alle bugie
del Potere. Flores propone una riforma costituzionale, l’unica di cui nessuno
parla mai in Italia: tutelare nella Carta fondamentale, meglio di quanto non
faccia l’attuale articolo 21, il diritto all’informazione e arricchire “la
farmacopea degli antidoti alla menzogna”: “frantumando ogni oligopolio
massmediatico. Creando e diffondendo una pluralità di fonti informative.
Frammentando e moltiplicando i centri dell’accertamento e della diffusione.
Mettendo la verifica dei fatti alla portata di ciascuno”. Insomma, “rendendo i
fatti costituzionalmente non occultabili”.
Non basta, o
non basta più, andare a votare ogni tanto per dirsi democratici. Bisogna
riempire di contenuti nuovi il vecchio principio “un uomo, un voto”. Liberando
il cittadino elettore da tutte le intimidazioni, le violenze, i privilegi e i
condizionamenti che lo influenzano. Altrimenti regnano altri principi: “una
pallottola, un voto”, “un miliardo, un voto”, “sei televisioni, un voto”.
Nessuna tentazione di “democrazia diretta”. Quella “rappresentativa”, per
delega, è l’unica possibile. Ma purchè sia davvero “rappresentativa”. Oggi è “espropriativa”.
Anche e anzitutto in Occidente. Perchè pochissimi cittadini, anche se elettori,
si sentono rappresentati dai propri rappresentanti. Nessuno, nemmeno Flores,
pensa di fare a meno dei partiti e dei professionisti della politica. Ma per
“prendere sul serio la democrazia”, vuole riattivare i canali ormai otturati
della partecipazione dal basso. Con i girotondi, con i movimenti? Sì, proprio
con quelli: con i “bricoleur della politica”. Non per sostituirli ai partiti. Ma
per renderli influenti, anzi in qualche modo per istituzionalizzarli: è la
democrazia, con le sue regole, che anzichè scoraggiarli deve favorirne la
nascita e la crescita. Anzitutto scardinando con il sistema delle “primarie” (ma
anche con il limite dei due mandati parlamentari e altri meccanismi) i vecchi
sistemi del tesseramento e delle candidature che perpetuano in eterno le
oligarchie partitocratiche, ne impediscono il ricambio, alzano paratie
invalicabili contro la società civile e producono una selezione delle classi
dirigenti che fa vincere i peggiori. E poi ribaltando diametralmente le forme di
finanziamento della politica, oggi calibrate sui gruppi parlamentari, cioè delle
oligarchie mummificate e autoreferenziali. Lo Stato non deve finanziare i
partiti, ma qualunque entità voglia far politica: con spazi televisivi gratuiti,
tariffe postali e telefoniche agevolate, frequenze radio e tv disponibili
(appunto perchè “pubbliche”), piazze e teatri liberi.
Questa non è
antipolitica. E’ l’autentico “primato della politica”, inteso non più come
primato dei politici chiusi nei loro castelli di rabbia, ma come primato dei
valori civili. In questo senso, il primo primato è quello della legalità: anche
la politica deve inchinarsi alla supremazia della legge, senza privilegi nè
immunità. Solo così si salva la politica e dunque la democrazia
dall’autodistruzione che nasce dalla “disaffezione” e dai conseguenti populismi
e qualunquismi antipolitici. Altrimenti la democrazia diventa un’“agorà di
macerie”, esposta alle scorribande del primo caudillo. Chi si aspetta un inno
alla ghigliottina o un’invettiva contro il Cavaliere, resterà mestamente deluso.
Nelle pagine di Flores, alcune feroci, altre illuminanti, altre forse troppo
ingenue ed ottimistiche, il lettore troverà semplicemente le idee di un
cittadino. Cioè di un democratico “sul serio”.
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