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Cirami Melchiorre

 

Uno, nessuno, centomila. C'era una volta "Rino l'atturi", Rino l'attore: un ragazzo siciliano dalla battuta pronta, simpatico e sciupafemmine che negli anni Sessanta recitava al Supercinema di Agrigento nel "San Giovanni Decollato" di Nino Martoglio. Poi arrivò il tempo di Rino il magistrato.
Prima in Procura, al fianco di Serafino Tumminello, un magistrato vecchio stampo abituato a far lo struscio in via Etnea a braccetto con l'ottuagenario boss Peppino Setticasi. E dopo in Pretura, dove Melchiorre "Rino" Cirami, fedele alla sua fama di uomo di mondo e barzellettiere, applicava una giurisprudenza creativa: hai portato una pistola allo stadio?
Ti assolvo perché allo stadio si paga il biglietto e quindi, al contrario di processioni, marce e comizi, la partita non va considerata una pubblica riunione. Sei un assessore braccio destro del ministro Lillo Mannino e i tuoi muratori ammettono di aver edificato abusivamente un tuo albergo nella Valle dei Templi? Archivio il caso perché «i testi operai» hanno avuto solo«la sensazione di aver costruito abusivamente e le foto portate dall'accusa non sono sufficientemente nitide».
Infine ecco Rino il politico. Senatore ad Agrigento, dove Cirami viene eletto nel 1996 nelle file del Cdu; ribaltonista a Roma dove nel '98 passa col centro-sinistra (Udr) portando in dote un disegno di legge, l'articolo 513, approvato alla quasi unanimità e destinato a salvare centinaia imputati di Mani pulite prima di venir giudicato incostituzionale; poi figliuol prodigo nel Polo, che nel 2001 gli consegna il collegio di Sciacca, fino a quel momento destinato proprio a Mannino, e in cambio riceve un'idea meravigliosa: l'arma totale rappresentata dalla legge Cirami (vedi box), una norma in grado di bloccare sine die, grazie al meccanismo dei continui
ricorsi in Cassazione, qualsiasi processo. A partire da quelli milanesi contro Cesare Previti e Silvio Berlusconi.
Sembra un remake pirandelliano la storia di Melchiorre Cirami, 59 anni, sposato, due figlie, nato a Raffadali, lo stesso paese di Totò Cuffaro detto "Vasa, Vasa" (bacia, bacia), il potente presidente della Regione che rappresenterà per questa toga azzurra la chiave d'accesso alla politica. A Raffadali, comune ad alta densità mafiosa destinato a diventare negli anni ' 50 la Stalingrado dell'Agrigentino con il Pci su percentuali bulgare, Rino nasce per caso. Sua madre, una piccolissima proprietaria terriera, partorisce in casa, ma subito si trasferisce in città dove il futuro senatore cresce con il fratello Pino, pittore e scultore oggi gettonatissimo dai comuni e dagli enti pubblici siciliani (per esempio la Fondazione Federico II), desiderosi di riempire le piazze con qualche monumento o di donare targhe e monete ai corregionali illustri. A Rino però la campagna, soprattutto l'amore per la caccia, resta nel sangue. Per anni, assieme ad alcuni colleghi di Palazzo di Giustizia e a notabili del posto, si ritroverà anche di notte per imbracciare la doppietta, poi passerà alla pesca d'altura, mentre ancor oggi lo si può vedere nei fine settimana inginocchiato a curare il giardinetto davanti alla sua casa di Agrigento.
Il giardinaggio, dice, lo rilassa e gli permette di affrontare con serenità i passaggi più difficili della sua carriera. Sì, perché il senatore Cirami anche quand'era magistrato qualche guaio ha rischiato di passarlo. In una zona di abusivismo edilizio diffuso, secondo il responsabile di Legambiente Giuseppe Arnone, non ha sempre pienamente fatto il suo dovere. «A partire dal 1993», spiega, «contro di lui e il suo braccio destro, il pretore
Giuseppe Miceli, abbiamo presentato più di un esposto al Csm e pubblicato un libro intitolato "La giustizia di Pinocchio" che ricostruiva le loro indagini. Il Guardasigilli avviò il procedimento disciplinare nei confronti di Miceli e ne rilevò l'incompatibilità ambientale. Miceli per evitare il
voto del Csm si è trasferito a Roma ed è oggi sottoposto a procedimento penale. Cirami invece ha scansato ulteriori conseguenze, oltre alle censure mosse nei suoi confronti da una relazione ispettiva del ministero di Grazia e  Giustizia: nel frattempo è stato eletto senatore».
Due le vicende principali che hanno suscitato le ire degli ambientalisti. La prima riguarda Pietro Vecchio, l'assessore dc ex braccio destro di Mannino.
Per trasformare in albergo un fabbricato sorto in pieno parco archeologico, Vecchio falsifica molti atti del comune, ma nella fretta commette un errore.
Fa sparire dei documenti depositati in municipio e li sostituisce con altri datati 1977, ma scritti su un modulo prestampato che risulterà in dotazione all'amministrazione solo a partire dal decennio successivo. Scattano le denunce. La Procura apre un'inchiesta per falso, truffa, interesse privato e abuso. L'albergo è sequestrato.
Nel 1989, però, il Parlamento vota l'amnistia. Il tribunale è costretto ad archiviare, ma trasmette il fascicolo in Pretura perché l'unico reato non amnistiato è l'abuso edilizio. Qui entra in azione Cirami, che ormai è diventato giudice per le indagini preliminari. Esamina il dossier e, su richiesta del pm, archivia anche l'abuso edilizio consentendo all'assessoredi terminare l'immobile. Ma per farlo non ricorre solo alla giurisprudenza creativa (i muratori che credevano erroneamente di stare costruendo in abuso). Fa di peggio: ignora le prove documentali degli atti falsificati dall'assessore già ben evidenziate dal tribunale e dai carabinieri. Nella sua archiviazione del 1991 Cirami semplicemente non ne parla. A quel punto Legambiente presenta un ricorso. Il processo si riapre. E Vecchio viene condannato (sarà poi salvato dalla prescrizione). Commenterà a pagina 14 della sua relazione l'ispettore ministeriale: «La ricostruzione dei fatti... evidenzia... la sussistenza di un grave caso di soppressione di atti d'ufficio (le carte fatte sparire dal comune e poi sostituite, ndr) nonconsiderata né dal pm né dal gip dottor Cirami».
Cirami insomma era distratto. La stessa distrazione che riaffiorò poi nell'esame del caso di un palazzo di sette piani, costruito in una zona dove la legge ne consentiva uno solo. «È la storia di via delle Primule», accusa Arnone, «l'ispettore ministeriale la ricostruisce con parole di fuoco.
<<Grazie ai provvedimenti abnormi di Cirami e del suo collega Miceli, qui c'è un costruttore che ha potuto, malgrado le nostre denunce, guadagnare fior di miliardi». La querelle tra il padre della legge sul legittimo sospetto e gli ambientalisti sarebbe poi sfociata nelle denunce per diffamazione presentate da Cirami contro Arnone, chiuse da una sentenza di assoluzione emessa nel '98 nella quale si dà atto, tra l'altro, che il Cirami politico haappoggiato «apertamente le tesi degli abusivi della Valle dei Templi».
Il senatore, del resto, alle battaglie controcorrente è abituato. Molti in Sicilia ricordano una sua telefonata pro abusivi all'emittente Teleakras durante un dibattito dei primi anni Novanta. E quando nel 1996 approda in Parlamento, il suo primo atto di rilievo è la presentazione di un disegno di legge in favore dei mafiosi che si dissociano da Cosa Nostra. Lui all'idea di concedere uno sconto di pena a chi si autoaccusa senza fare i nomi di
altri ci crede davvero. Spiega che «la proposta a certi giustizialisti non piace perché non implica la delazione». Poi aggiunge: «Bisogna anche avere il coraggio di ripensare il 41 bis (il carcere duro per i mafiosi)». Si apre così il dibattito. Quello palese che vede Piero Grasso e i procuratori antimafia inorridire. E quello occulto che vede l'onorata società farci unpensierino. Nell'estate '96 una microspia intercetta un boss del calibro di Carlo Greco mentre discute coi picciotti: «Se è un discorso collettivo, se c'è una direttiva», dice il capomafia, «allora si può fare. Perché c'è gente che sta morendo» (in carcere, ndr).

L'idea non ha successo. Così Cirami prepara il passo successivo: l'azzeramento di quel che resta di Mani pulite. Ma per farlo è necessario lasciare (almeno per un po') Berlusconi. Al seguito di Cuffaro si schiera con l'Udr di Cossiga e sostiene l'esecutivo di Massimo D'Alema. «Cossiga mi ha convinto», spiega, «mi ha detto che l'unico modo per distruggere la sinistra è mandarla al governo». L'operazione riesce, anche perché sotto la spinta di Cirami è stato già approvato l'articolo 513, che rende inutilizzabili le dichiarazioni accusatorie fatte in istruttoria o durante un processo diverso e non ripetute in aula.
Il principio che sta alla base della legge è giusto: tutti debbono poter controinterrogare il proprio accusatore. Peccato che fino a quel momento valessero regole diverse e che il legislatore non abbia previsto nulla per salvare i processi in corso. Al sottosegretario Giuseppe Ayala che di fronte alle centinaia d'imputati assolti e prescritti sottolinea come vi possano essere profili di incostituzionalità, Cirami risponde a muso duro. Poi nel
novembre del '98 interviene la Consulta: definisce irragionevole il meccanismo che consente «per il sol fatto di tacere» di rendere carta straccia «gli elementi legittimamente raccolti nell'ambito delle indagini».
Di fronte alla decisione della Corte l'ex pretore di Agrigento dice che i giudici supremi «si sono sbagliati». E lavora per superare la loro sentenza.
Come? Contribuendo a far approvare una norma costituzionale bipartisan: quella sul giusto processo che inserisce di fatto il 513 nella Costituzione.Anche Mani pulite e la Consulta sono sistemate.
Tutto è pronto per il suo rientro nel Polo. Nei mesi trascorsi a sinistra, Rino ha continuato a vedersi con Berlusconi. Il Cavaliere è disposto a riaccogliere lui e Cuffaro a braccia aperte. Per Totò "Vasa Vasa" è pronta la candidatura a presidente della Regione. Per Cirami un collegio quasi sicuro. Et voilà, ecco arrivare, alla mangiatoia di Arcore, dove sta per
nascere il secondo governo Berlusconi, l'ultimo dei Re Magi. Dopo Gasparri alle Telecomunicazioni e il Baldassarre alla presidenza Rai, Melchiorre Cirami, a salvare tutti quanti.

a cura di peter gomez


 

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