Senatore della Repubblica. Eletto nel
2001 nel collegio più chic di Milano. La legislatura precedente era deputato.
Tra i collaboratori più vicini a Berlusconi fin dagli anni Settanta, E'
considerato l'inventore, nel 1993, di Forza Italia. Accusato di bancarotta
fraudolenta per il crac Bresciano (un'azienda del discusso finanziere siciliano
Filippo Alberto Rapisarda). Arrestato nel 1995 dai magistrati di Torino per le
false fatture di Publitalia (la società che raccoglie pubblicità per le tv di
Berlusconi). Indagato per i fondi neri di Publitalia anche a Milano (nel 1994
aveva evitato l'arresto solo grazie alla soffiata del Tg5 di Enrico Mentana, che
dando la notizia aveva fatto cadere le esigenze di custodia cautelare). A Milano
Ë imputato pure di estorsione aggravata (per aver mandato il boss di Cosa nostra
Vincenzo Virga a fare il "recupero crediti" nei confronti di Vincenzo Garraffa,
titolare di una squadra di pallacanestro sponsorizzata da Publitalia). A Palermo
Ë accusato di concorso esterno nell'associazione mafiosa Cosa nostra e di
calunnia aggravata nei confronti di alcuni collaboratori di giustizia (Dell'Utri
aveva assoldato due falsi pentiti perchè raccontassero di essere stati convinti
in carcere ad accusare Dell'Utri di mafia). A Madrid, in Spagna, è accusato di
gravi irregolarità nella gestione di Telecinco.
Complessa la sua vicenda processuale, costellata di leggi su misura. A Torino,
nel 1998, Ë condannato in appello a 3 anni e 2 mesi per false fatture e frode
fiscale continuata della società Publitalia. Ma prima che la sentenza diventasse
definitiva, il Parlamento (a maggioranza Ulivo) approvò in tutta fretta una
legge che permetteva il patteggiamento anche in Cassazione: Dell'Utri la usò,
rimediando uno sconto che ridusse la pena a 2 anni e 6 mesi, sotto la soglia dei
3 anni oltre i quali si deve entrare in carcere. Restava aperto il problema
delle pene accessorie: 5 anni d'interdizione dai pubblici uffici. Perso, in
forza di quella pena, il seggio in Parlamento, Dell'Utri sarebbe finito in
cella, perchè nel frattempo i giudici di Palermo avevano chiesto il suo arresto
per la vicenda dei falsi pentiti. Dell'Utri chiede allora che gli sia applicato
l'indulto del 1989 (anche se gran parte dei reati contestati sono successivi).
La Corte d'appello di Torino respinge la richiesta, ma poi la Cassazione
l'accoglie: cosi niente pene accessorie, niente arresto. La pena definitiva
scende ancora, in sede d'esecuzione, a 1 anno e 8 mesi (sotto la soglia dei 2
anni, quindi senza neppure l'obbligo dell'affidamento ai servizi sociali),
perchè il governo Amato (centrosinistra) depenalizza alcuni reati fiscali e
finanziari. Da Milano, intanto, arrivano altre piccole pene per false fatture e
falso in bilancio, considerate in continuazione con la condanna di Torino. La
pena complessiva, dunque, risale oltre i 2 anni. Ci pensa la nuova legge sul
falso in bilancio (2001, governo Berlusconi), che risolve il problema. A Palermo
i due processi d'argomento mafioso (quello per concorso esterno squaderna una
imponente mole di prove della vicinanza tra Dell'Utri e Cosa nostra) arrivano
alle fase finali, quando una apposita legge (quella cosiddetta d'attuazione
dell'articolo 68 della Costituzione, che con il contributo del verde Marco Boato
dilata a dismisura i privilegi e le immunità dei parlamentari) si rendono
inutilizzabili, nei confronti di deputati e senatori, i tabulati telefonici.
Proprio i tabulati erano la prova dei contatti tra Dell'Utri e i falsi pentiti
assoldati per azzerare le accuse di mafia. L'accusa si oppone a gettare alle
ortiche quelle prove, perchè raccolte comunque prima del provvidenziale arrivo
della legge. Deciderà il tribunale.
Tutto questo non ha impedito a Silvio Berlusconi di candidarlo al Senato, nel
collegio più centrale di Milano. Marcello lo aveva confessato in tv: "Mi candido
per legittima difesa". Tra un processo e l'altro, si atteggia a uomo di cultura:
il 20 giugno 2003, per esempio, ha inaugurato la Biblioteca del palazzo del
Senato, alla presenza del presidente del Senato Marcello Pera e del capo dello
Stato Carlo Azeglio Ciampi.
Dicembre 2004 Dell'Utri
viene condannato a 9 anni per "associazione mafiosa"
I giudici della seconda
sezione penale del tribunale di Palermo, dopo tredici giorni di camera di
consiglio, hanno condannato Marcello Dell'Utri a 9 anni di reclusione con
l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore di Forza
Italia è stato anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre
all'interdizione dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni alle parti
civili, il Comune e la Provincia di Palermo. La sentenza è stata letta dal
presidente del collegio Leonardo Guarnotta, nell'aula bunker del carcere
Pagliarelli di Palermo. I pm Antonio Ingroia e Domenico Gozzo avevano
chiesto la condanna a 11 anni. A sette anni è stato invece condannato il
coimputato Gaetano Cinà. Una vicenda giudiziaria iniziata nel 1994, anno in
cui il senatore fu iscritto nel registro degli indagati.
da
http://www.pmli.it/condannatodellutri.htm
Nonostante i sensi "più
profondi di stima e amicizia" espressi pubblicamente al mafioso Marcello
Dell'Utri alla vigilia della sentenza di primo grado dal presidente della
Camera Pier Ferdinando Casini (la terza carica dello Stato), l'11 dicembre i
giudici della seconda sezione penale del tribunale di Palermo hanno
condannato il senatore di Forza Italia a 9 anni di reclusione con l'accusa
di concorso esterno in associazione mafiosa. Dell'Utri è stato anche
condannato a due anni di libertà vigilata, oltre all'interdizione perpetua
dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni alle parti civili: Comune e
Provincia di Palermo.
La sentenza è stata letta dal presidente del collegio Leonardo Guarnotta, a
latere Giuseppe Sgadari e Gabriella di Marco, nell'aula bunker del carcere
circondariale di Pagliarelli di Palermo. I pm Antonio Ingroia e Domenico
Gozzo al termine della loro requisitoria, durata per 18 udienze e supportata
da una memoria conclusiva di 2.500 pagine, avevano chiesto la condanna a 11
anni.
La sentenza è giunta dopo 13 giorni di camera di consiglio, 7 anni di
dibattimento, 256 udienze, migliaia di atti, centinaia di intercettazioni
ambientali e telefoniche e 270 testi ascoltati (di cui 40 collaboratori di
giustizia: da Salvatore Cancemi a Francesco Di Carlo, fino a Gaspare Mutolo,
Nino Giuffrè, Giovanni Brusca e Tommaso Buscetta, quest'ultimo sentito come
teste della difesa).
A sette anni più l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici è stato
invece condannato il coimputato Gaetano Cinà, il super boss mafioso di
Malaspina, finora incensurato, ma considerato dai giudici il trait-d'union
di Palermo tra "Cosa nostra" e la Fininvest.
Era stato il "pentito" Salvatore Cancemi a fare le prime dichiarazioni sulle
inquietanti frequentazioni di Dell'Utri il 18 novembre del '94, portando
all'apertura del fascicolo numero 6031/94, in cui sono confluiti via via
moltissimi atti processuali, fino a formare un dossier di centinaia di
migliaia di pagine. In quest'ambito è stato indagato per cinque volte anche
il neoduce Berlusconi, e altrettante sono state le archiviazioni decise
dalla Procura.
"è una sentenza che conferma la validità del materiale probatorio presentato
- ha commentato il pubblico ministero Ingroia - e spazza via tutti gli
insulti che ci sono stati rivolti durante questi sette anni".
Nelle requisitoria, durata per 18 udienze dal 5 aprile all' 8 giugno,
Ingroia e Gozzo, avevano definito Dell'Utri come "l'ambasciatore di Cosa
nostra", il garante degli interessi mafiosi, all'interno di uno dei gruppi
economico-finanziari più potenti del paese, la Fininvest" nonché uomo "a
disposizione dei mafiosi nell'arco di un trentennio, a partire dagli anni
'70 fino a oggi, il cui contributo risulta più che significativo al
consolidamento di Cosa nostra". Un rapporto di scambio con i boss, secondo i
Pm, che sintetizzano così: "Dell'Utri ha favorito, ma è stato anche
favorito".
Il dibattimento ha confermato che tutta l'attività di collaborazione esterna
con l'associazione mafiosa si è svolta tra la Sicilia e Milano
esclusivamente nell'interesse della Fininvest fin dalla sua fondazione, è
proseguita negli anni ed è andata di pari passo crescendo con le grandi
affermazioni imprenditoriali del gruppo e le consistenti accumulazioni
finanziarie di Berlusconi.
Penalmente però il presidente del Consiglio, grazie alle leggi ad hoc votate
dal parlamento nero e alle provvidenziali prescrizioni dei reati per
decorrenza dei termini, è riuscito fin qui a cavarsela. Ma è indubbio che
tutta la sua inquietante storia personale, politica e imprenditoriale si è
svolta all'ombra della P2 di Gelli ed è indissolubilmente legata a a doppio
filo nero con quella del mafioso Dell'Utri sul versante siciliano
esattamente come quella finanziaria è legata con il suo "avvocato degli
affari sporchi" Cesare Previti sul versante romano e dei giudici corrotti.
Per questo, anche se Berlusconi non è direttamente coinvolto nel processo, i
Pm durante la requisitoria hanno sottolineato che: "Certo, non possiamo
nascondere il rammarico per un'occasione mancata", cioè l'interrogatorio
rifiutato dal presidente del Consiglio. Il 26 novembre di 2 anni fa, il
Tribunale di Palermo si recò a Palazzo Chigi per sentire Berlusconi, che si
avvalse della facoltà di non rispondere: "Ci attendevamo che desse il suo
contributo di verità per chiarire i buchi neri: sull'assunzione e
l'allontanamento di Vittorio Mangano, sui rapporti con Dell'Utri, su certi
anomali movimenti di denaro nelle casse delle holding alle origini di
Fininvest", spiegano i pm. Berlusconi, in veste di imputato di reato
connesso (la Procura di Palermo lo aveva indagato per concorso esterno e
riciclaggio, accuse archiviate per cinque volte), "si avvalse della facoltà
di non rispondere, legittimamente. Un appuntamento mancato con la verità".
Una verità inconfessabile del neoduce dal momento che: "A un certo punto
dell'infiltrazione di uomini per mezzo del cavallo di Troia Dell'Utri -
affermano i magistrati - non si può nascondere la consapevolezza di
Berlusconi dello spessore mafioso di Dell'Utri" e del suo ruolo di emissario
della mafia a Milano con lo scopo di riciclare denaro e trovare gli agganci
giusti con la politica. Infatti nel quadro accusatorio il senatore di FI è
indicato come l'organizzatore nel 1974 di un incontro "diretto e personale"
fra Berlusconi e alcuni mafiosi dell'epoca come Stefano Bontade, Mimmo
Teresi, Gaetano Cinà e Francesco Di Carlo, quest'ultimo oggi collaboratore
di giustizia. E che fu ancora Dell'Utri, sempre nel '74, a "consigliare" a
Berlusconi l'assunzione del boss Vittorio Mangano, uomo d'"onore" morto in
carcere due anni fa, nella villa di Arcore, ufficialmente come fattore, in
realtà per proteggere il "Cavaliere" e i suoi familiari dall'anonima
sequestri.
Fino al 1977 Dell'Utri è ritenuto rappresentante degli interessi mafiosi di
Stefano Bontade e Mimmo Teresi all'interno di un altro gruppo
imprenditoriale milanese, quello di Filippo Alberto Rapisarda, dove viene
assunto proprio grazie al decisivo intervento di Cinà.
Nel 1979, dopo il rientro nel gruppo Berlusconi, Dell'Utri è ritenuto dalla
Procura ancora l'intermediario con "Cosa nostra" per lo sbarco delle antenne
del "biscione" in Sicilia. E sarebbe stato proprio Dell'Utri a consegnare a
Cinà le somme di denaro necessarie per ottenere la protezione degli
interessi televisivi del gruppo in Sicilia.
Il boss Gaetano Cinà della famiglia di Malaspina, ufficialmente solo l'ex
titolare di una lavanderia a pochi passi da dove fu ucciso il generale Dalla
Chiesa, non è mai comparso davanti i giudici di Palermo. Parlò solo la prima
volta che fu interrogato dai pubblici ministeri di Palermo, all'inizio
dell'inchiesta, quando ancora il processo era in fase istruttoria per dire
che: "Mio figlio giocava a calcio nella Bacigalupo, allenata da Dell'Utri.
Io stesso sono stato dirigente della squadra per dieci anni. è da allora la
mia grande amicizia con Dell'Utri, che io considero come un figlio". Ma è
proprio attraverso la sua lunga memoria difensiva che i Pm hanno cominciato
a scavare sul conto del senatore di Forza Italia. "Un giorno - disse fra
l'altro in quella occasione Cinà - Dell'Utri venne da me sfiduciato,
dicendomi che voleva partire missionario e voleva lasciare il lavoro. Io
cercai di dissuaderlo, anche perché lo considero persona di grande
levatura". E ancora: "Ammetto di conoscere Mimmo Teresi (il mafioso - ndr),
in quanto nipote di mio cognato Benedetto Citarda. Ma non conosco affatto
Bontade, persona che ritengo troppo importante per me".
E per ironia della sorte il primo importante riscontro a quell'antica
amicizia fra il boss mafioso Cinà e Dell'Utri che è alla base del processo è
arrivata ai giudici di Palermo proprio da Silvio Berlusconi. Nel processo,
il neoduce si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ma nell'87, ai
magistrati di Milano, aveva affermato: "Chiesi a Marcello di interessarsi
per trovare un fattore lui mi presentò il signor Vittorio Mangano come
persona a lui conosciuta, più precisamente conosciuta da un suo amico con
cui si davano del tu, che da tempo conosceva e che aveva conosciuto sui
campi di calcio della squadra Bacigalupo di Palermo, squadra di dilettanti".
All'epoca, il nome di Cinà non fu quasi notato dai giudici. Ma a distanza di
anni rischia di diventare l'epitaffio giudiziale di Dell'Utri.
Tra gli atti dell'accusa ci sono le registrazioni telefoniche. In
particolare quella del 20 dicembre del 1986, quando Cinà annuncia a Dell'Utri
l'arrivo della cassata siciliana, anche per Berlusconi: "La sua cassata è
grossa dieci chili, sto facendo fare la cosa dal falegname, adatta...". Alla
fine del colloquio Cinà chiese anche un consiglio su cosa fare incidere
sulla torta: "Lo stemma di Canale Cinque", suggerì Dell'Utri.
Dalla ricostruzione dei fatti prospettata dalla Procura emerge inoltre che
nel 1981, dopo la guerra di mafia e l'assassinio di Stefano Bontade, il
rapporto fra Dell'Utri e il clan Pullarà, mediato dallo stalliere Mangano,
sarebbe stato assunto personalmente da Totò Riina, per il tramite dell'asse
Ganci-famiglia Malaspina-Gaetano Cinà perché l'interesse di Riina era quello
di attivare, tramite Dell'Utri e Berlusconi, un possibile collegamento con
il PSI di Craxi, "per costituire un referente politico alternativo alla
Democrazia cristiana".
Nel 1990 "Cosa nostra" vuole ristrutturare i suoi rapporti con la politica.
In questo contesto, per l'accusa, matura la strategia degli attentati alle
sedi della Standa di Catania, appena acquisita da Berlusconi: "Dell'Utri fu
protagonista della trattativa politica messa in campo da Cosa nostra dopo le
stragi". Egli sarebbe intervenuto in prima persona per porre fine alle
intimidazioni, incontrando il capomafia catanese Nitto Santapaola. In quella
occasione, avrebbe offerto nuove garanzie (non solo finanziarie, ma anche
politiche) all'associazione mafiosa. E gli attentati cessarono.
Non a caso "Negli anni successivi al biennio terribile '91-'93 - dice
Ingroia - matura in Dell'Utri l'idea di fondare un movimento politico",
proprio "mentre Cosa nostra sta azzerando i rapporti con i vecchi referenti
politici. E tra l'ipotesi interna a Cosa nostra, con la `Sicilia Libera' di
Bagarella, e l'idea di Dell'Utri, viene scelta quest'ultima, perchè il
senatore ha dimostrato grande affidabilità". Il nuovo impegno di Dell'Utri
in politica lo rende tramite altrettanto prezioso per la realizzazione degli
interessi di "Cosa nostra" "a tutto campo". L'ultimo pentito che ha accusato
Dell'Utri è stato Antonino Giuffrè: "Il senatore di Forza Italia - ha detto
l'ex padrino della Cupola - fu protagonista della trattativa politica messa
in campo da Cosa nostra dopo le stragi Falcone-Borsellino". Ecco perché alle
politiche del '94, secondo i pm, "Riina fece votare la neonata Forza
Italia".
La prova dell'agire mafioso di Dell'Utri i Pm l'hanno avuta proprio dai
collaboratori di giustizia Giuseppe Chiofalo e Cosimo Cirfeta, citati a
difesa di Dell'Utri, che avrebbero cercato di convincere altri pentiti a
smentire Francesco Di Carlo e Francesco Onorato, due dei principali
accusatori di Dell'Utri. Una vicenda che per i pm è prova "della capacità di
inquinamento delle prove di questo processo da parte dell'imputato. Un
tentativo destabilizzante che avrebbe demolito non solo il processo a suo
carico" e parte di un piano per creare "una schiera di pentiti che avrebbe
giovato non solo a Dell'Utri, ma all'intera Cosa nostra".
Anche per questo Ingroia definisce Dell'Utri "l'uomo della provvidenza
mafiosa". E afferma che "Cosa nostra" "ha contribuito alla trasformazione di
Dell'Utri da manager a esponente politico col fine di riattivare i contatti
con la politica".
Alla fine della requisitoria i pm puntualizzano: "Nessun intento di
delegittimare Forza Italia: non è stato e non è il partito della mafia. Il
punto è che era il partito di Dell'Utri. E questo per Cosa nostra e per i
suoi affiliati era sufficiente". E chiedono una "una sentenza non esemplare,
ma equa", che tenga conto dei rapporti tra Dell'Utri e i mafiosi "sempre
boss di primo piano da Bontade, a Totò Riina, a Bernardo Provenzano".
Proprio quest'ultimo dovrebbe a Dell'Utri la propria sopravvivenza in seno
a "Cosa nostra". I due magistrati sostengono che "dopo l'epoca delle stragi
quando Riina viene arrestato, in Cosa nostra convivono due anime: quella
secessionista, capeggiata da Leoluca Bagarella, e quella della trattativa
con lo Stato. E se Provenzano alla fine si assume la responsabilità di
sostenere ancora la trattativa, è soltanto grazie alle garanzie che gli
provengono da Marcello Dell'Utri".
Con questa condanna Marcello Dell'Utri macchia ulteriormente la sua fedina
penale: ai nove anni per mafia subiti a Palermo va aggiunta la condanna
passata in giudicato a poco più di due anni per reati finanziari, deve
sommare due anni per tentata estorsione insieme al boss trapanese Vincenzo
Virga inflitta a Milano perché aveva tentato estorcere 500 milioni di una
fattura di Publitalia all'ex presidente della pallacanestro Trapani,
Vincenzo Garraffa.
Per il momento questa sentenza ci dice che le relazioni mafiose del senatore
Dell'Utri e il suo ruolo di ambasciatore della mafia presso la Fininvest,
sono state ampiamente provate; dalle motivazioni, che saranno rese pubbliche
entro novanta giorni, sapremo anche se esse si sono protratte, come
sostengono i Pm, sino alla stagione delle stragi, questione che rimane
ancora un capitolo oscuro su cui ora bisogna fare piena luce.
Per approfondire vedi :
Dossier Dell'Utri
BERRUTI MASSIMO
BRANCHER ALDO
CICCHITTO
FABRIZIO COMINCIOLI
ROMANO CIRAMI MELCHIORRI D'ALI ANTONIO DELL'UTRI MARCELLO
FIORI PUBLIO FORMIGONI ROBERTO
FRIGERIO GIANSTEFANO
GENTILE ANTONIO
GIUDICE GASPARE
JANNUZZI LINO
LO PORTO GUIDO
MACERATINI GIULIO MARTINO
ANTONIO MICCICHE'
GIANFRANCO MUSOTTO
FRANCESCO PALMA
NITTO PISANU GIUSEPPE
PREVITI CESARE
SCAJOLA CLAUDIO
SODANO CALOGERO
VITO ALFREDO
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